Ricordo ancora molto bene di aver dedicato, con eccezionale coinvolgimento, la mia prima recensione pubblicata on line all’ultima trasposizione cinematografica del più famoso romanzo di Jane Austen, Orgoglio e Pregiudizio. Se si considera che la Austen ha scritto complessivamente solamente sei romanzi (Ragione e Sentimento, Orgoglio e Pregiudizio, Mansfield Park, Emma, Persuasione e L’Abbazia di Northanger), e che da questi sono stati tratti ripetuti adattamenti sia per il piccolo che per il grande schermo, la recente pellicola diretta da Julian Jarrold, Becoming Jane – Il ritratto di una donna contro, appare come l’unica vera grande novità: per la prima volta infatti si tratta di un film sulla vita di Jane Austen, sulla vita della scrittrice inglese che con la sua acuta ironia e il suo versatile ingegno ha confezionato pagine indimenticabili, influenzando e entusiasmando intere generazioni.
Jarrold ce la propone con il volto dolce di Anne Hathaway (Il Diavolo veste Prada) e nell’ambientazione della campagna inglese concentra l’attenzione dello spettatore su un preciso episodio (nel film oltremodo romanzato), della vita della Austen, intorno al 1796, quando Jane, poco più che ventenne, incontra l’affascinante giovane Thomas Langlois Lefroy (interpretato da James McAvoy, che dopo Estinzione sembra essere invariabilmente condannato ad amori infelici), futuro giudice della corte irlandese, e intreccia con lui una breve ma intensa relazione amorosa. In realtà non si conoscono nel dettaglio i particolari del rapporto che legò la scrittrice allo studente in legge: il nome di Lefroy viene menzionato solo un paio di volte in alcune lettere inviate da Jane all’amata sorella Cassandra. E sebbene la figura di Lefroy serva da spunto per delineare il profilo del personaggio di Mr. Darcy, protagonista di Orgoglio e Pregiudizio, e nel film le schermaglie amorose tra Tom e Jane ricordino con invincibile nostalgia quelle tra Fitzwilliam ed Elizabeth, gli avvenimenti descritti hanno implicazioni tali da permettere a Jarrold di affrontare un tema quanto mai attuale, ricorrente anche nei romanzi della stessa scrittrice: la condizione femminile nella società. Jane Austen contravviene in qualche modo alle regole dettate dalle convenzioni del suo tempo, in una società dove le donne sprovviste di una dote e di adeguate risorse economiche sono necessariamente costrette, per sopravvivere, a contrarre un matrimonio d’interesse (e nel caso di Jane nessun uomo sembrerebbe essere alla sua altezza). Imprigionate nei ruoli atavici, e conseguentemente vittime dei doveri, di figlia, sorella, moglie, madre, le donne possono soltanto ambire ad un’unione coniugale che risollevi le loro sorti, sacrificando il sentimento, meramente auspicabile, in favore del denaro, decisamente indispensabile. Così le donne, a cui il decoro ordina l’ignoranza, si limitano a esercitare con grazia astuta il mestiere di civette ai balli in società e a sfoggiare un modesto umorismo senza sconfinare mai nella, agli occhi degli uomini, troppo pericolosa arguzia.
Ma Jane mostra coraggio e curiosità per quanto la circonda, la miseria e lo zitellaggio non la spaventano, sebbene la madre (Julie Walters) cerchi ostinatamente di convincerla a sposare il facoltoso Mr. Wisley, nipote dell’aristocratica Lady Gresham (una magnifica Maggie Smith!), mentre il padre, il reverendo George Austen (James Cromwell), le ricordi quale minaccia possa essere per lo spirito la condizione di povertà. Tra proposte di matrimonio rifiutate (quella da parte di Mr. Wisley non è affatto disprezzabile!) e una fuga d’amore malriuscita (quella con Tom Lefroy), la Austen non vuole sposarsi senza sentimento (ma non riesce a farlo neanche quando c’è!), né tanto meno rinunciare alla scrittura, nonostante le richieste di Lady Gresham, desiderosa di porre un freno alle aspirazioni della giovane: Jane vivrà della sua penna («I will live by my pen») e le sue dita macchiate d’inchiostro scriveranno del cuore (come rivela a Ann Radcliffe, pioniera del gothic novel), garantendo alle eroine dei suoi romanzi, dopo alterne vicissitudini, la felicità che non le ha concesso il suo destino.
È lei quella disposta a sacrificare l’amore lasciando l’egoista Lefroy, che, privato del sostegno economico dello zio, sarebbe certamente destinato alla rovina, trascinando nella sventura anche i suoi famigliari. Ma è sempre lei a ottenere con assoluta dignità il riscatto finale, quando in compagnia del fratello Henry e della cognata Eliza, a distanza di anni, incontra nuovamente Tom, e, incoraggiata dalla figlia di Lefroy (con la quale condivide il nome), tiene inaspettatamente (la Austen aveva sempre cercato di mantenere rigorosamente l’anonimato) una lettura pubblica del suo romanzo Orgoglio e Pregiudizio, suscitando per la prima volta l’ammirazione e la benevolenza di Tom per i suoi scritti.
Jane Austen ha pagato con la solitudine questa sua, per l’epoca, eccessiva modernità. È morta giovane, all’età di 42 anni, ma nei suoi romanzi non vi è mai alcuna traccia di amarezza o di rimpianto: le sue eroine lottano vivacemente, con onore, impegno e sentimento per un’esistenza felice e gratificante, priva delle rinunce a cui sarebbero potenzialmente assoggettate per nascita e classe sociale. E fortunatamente, per noi lettrici appassionate, riescono brillantemente nel loro intento.
Elisa Valentina Pestelli
(da Notizie radicali, 23 ottobre 2007)