Venti di guerra spirano un po’ in tutto il Medio Oriente. In queste ore gli appelli alla prudenza e alla moderazione si moltiplicano; la situazione rischia però di precipitare sempre più. Quanto accade al confine tra Turchia e Kurdistan iracheno è solo l’ultimo di una lunga serie di episodi.
L’imboscata dei guerriglieri curdi del Pkk nella regione sudorientale di Hakkari, al confine con Iran e Iraq, costata la vita a numerosi soldati di Ankara (e altri ne risultano rapiti) obbedisce a una logica: a meno di tre mesi dalle elezioni politiche, ieri si è votato per approvare il pacchetto di riforma istituzionale promosso dal governo. Difficile stabilire ora se e quanto questi episodi hanno influito nel voto dei 42 milioni di turchi chiamati ad esprimersi su cinque punti referendari, tra cui l’introduzione dell’elezione diretta del capo dello Stato. La Turchia ha già bombardato villaggi curdi, e ucciso una ventina di ribelli; una spirale che rischia di diventare incontrollabile, anche se il premier Ergodan promette decisioni non sull’emotività, ma figlie di “calma e buon senso”.
Il fatto è che “calma e buon senso”, anche quando ci sono, non bastano. Si tratta di una polveriera, e tanti fumano apparentemente indifferenti a dove può cadere il mozzicone acceso.
Il parlamento turco ha dato via libera a possibili azioni nel nord Irak per liquidare i campi del Pkk. Una decisione che ha suscitato una dura reazione da parte degli Stati Uniti. I rapporti Ankara-Washington non sono dei migliori: i turchi non hanno gradito la posizione assunta sulla mai sanata questione del genocidio armeno; alti esponenti delle forze armate turche – che hanno sempre garantito la laicità dello Stato e fatto argine alle spinte integraliste musulmane – hanno lasciato intendere che vi potrebbe essere un’inversione di rotta.
Bush ha evocato lo spettro di un conflitto nucleare, il ministro degli Esteri francese Bernard Kouchener ha ammonito che occorre “prepararsi al peggio”; il Pentagono e i generali israeliani prefigurano attacchi “chirurgici” con la distruzione dei siti nucleari iraniani; che non resterebbe senza risposta: Israele sarebbe a sua volta attaccata, si scatenerebbe un’ondata di attentati da parte di Hezbollah in Libano e Hamas a Gaza, basi e obiettivi americani in Arabia Saudita verrebbero colpiti, lo stretto di Ormutz, da cui transitano decine di milioni di petrolio per l’Occidente, bloccato. Il Libano esploderebbe, la Siria, legata all’Iran da un patto di assistenza militare, difficilmente si potrebbe chiamare fuori. Israele attaccata, reagirebbe; il regime alawita di Assad potrebbe frantumarsi; la dissoluzione del baathismo siriano rafforzerebbe i movimenti estremisti, come i Fratelli Musulmani. L’Arabia Saudita, ricchissima e fragilissima, verrebbe anch’essa coinvolta, rischiando di esser travolta… Insomma: uno scenario da incubo.
C’è un’alternativa? È una “follia” che richiede fantasia, pragmatismo, coraggio, prudenza, saggezza, spregiudicatezza: accettare la Turchia nell’Unione europea, favorendo in questo modo quel processo di laicizzazione che la maggioranza della popolazione turca chiede e invoca; allargare l’Unione europea a Israele: lo chiede – rivela un recentissimo sondaggio di Eurobaromatro – il 75 per cento degli israeliani; in quanto all’Iran, che un giorno sì e l’altro pure invoca la cancellazione dell’entità sionista: sapere che dietro Israele c’è l’Ue, mezzo miliardo di persone, costringerebbe perfino Ahmadinejad si muoverebbero con maggiore prudenza. Nulla garantisce che questa sia la soluzione per disinnescare la polveriera mediorientale. Ma è una soluzione possibile e che bisognerebbe praticare. Viviamo un tempo in cui una quantità di crisi si aprono, e nessuna se ne chiude. Forse l’apparente “follia” potrebbe rivelarsi una proposta saggia e opportuna. Ma in campo non se ne scorgono altre. §2 un’occasione, un’opportunità formidabile. Sarebbe insensato e criminale non fare di tutto perché questa “follia” non diventi realtà.
Valter Vecellio
(da Notizie radicali, 22 ottobre 2007)