Deborah Solomon: Hai appena trasformato la tua acclamata serie di novelle grafiche in un lungometraggio, Persepolis, una storia stranamente incantevole, perché tratta del crudo soggetto del crescere in Iran durante la rivoluzione islamica. Ti definiresti una romanziera grafica?
Marjane Satrapi: Non mi piace tanto questo termine, la “novella grafica”. Penso che l’abbiano creato per non spaventare i borghesi con la parola “fumetti”. Una cosa del tipo: ecco, questi sono fumetti che puoi leggere, basta che non li chiami così.
– Il problema con il termine “novella grafica” è che suona come un libro vietato ai minori, o almeno dal contenuto piuttosto esplicito.
Esatto. Chris Ware ha detto qualcosa di grande, al proposito. Ha detto che quando sente il termine “novella grafica” pensa a L’amante di Lady Chatterley.
– Pensi che ai disegnatori di fumetti sia ormai riconosciuto il loro merito artistico?
No. Di solito alla gente o piace scrivere o piace disegnare. E a noi piace fare tutti e due. Siamo i bisessuali della cultura. La gente non ha grossi problemi con te, se tu sei omosessuale o se sei eterosessuale, ma se sei bisessuale ne hanno un sacco.
– Ma se questo fosse vero, perché tutti tollerano i film, che sono una forma ancora più ibrida di scrittura, musica, fotografia eccetera?
Be’, sai, i fumetti sono nati nello stesso periodo in cui è nato il cinema. Ma il cinema è diventato molto rapidamente una delle arti maggiori, e i fumetti no. E c’è una ragione per questo. Le persone non sanno come maneggiarli.
– Quanto è costato fare il tuo film?
Otto milioni di dollari. Ma è niente, proprio niente: abbiamo pagato una squadra di 100 persone per due anni di fila. Ci sono circa dodici immagini disegnate per secondo.
– Il film certamente sembra fatto a mano: per lo più in un raffinato bianco e nero, senza nessuno dei trucchi dell’animazione generata a computer. Eri preoccupata di conferire il processo della creazione di immagini ad una legione di animatori?
No. È che spesso ti si presenta un’opportunità e non capisci che lo è. Mi hanno detto: “Perché accidenti vuoi fare un film? Distruggerà la tua reputazione.” Okay, forse ho fatto un brutto film, e allora? Almeno ci ho provato.
– Quando lo vedremo nelle sale?
A partire dal 25 dicembre. Perché non vederlo come qualcosa per Natale che vada oltre Babbo Natale? “Babbo Natale sta arrivando!” Non ho mai avuto regali da lui. Non è mai venuto.
– Tu sei musulmana, giusto?
No, non sono una persona religiosa.
– Nei tuoi libri denunci il fanatismo islamista, particolarmente laddove limita i diritti delle donne. È questo il tema principale di cui ti occupi?
No, forse sono più un’umanista che una femminista.
– Però, nei tuoi disegni, c’è costantemente il tentare di contrastare il tuo piacere per il cibo, o per le sigarette, e per la gratificazione dei sensi, con atti di auto-negazione come quelli richiesti dai mullah, tipo l’indossare il chador.
È un problema che le donne hanno ovunque, non importa la religione o in che società ti trovi. Se nei paesi musulmani le donne le vogliono occultate, in America tentano di farle sembrare pezzi di carne.
– Stai suggerendo che coprire e scoprire una donna è ugualmente riduttivo? Io non sono d’accordo.
Sto solo dicendo di dare uno sguardo a dove siamo. Perché tutte queste donne si sottopongono ad interventi di chirurgia plastica? Perché? Perché dobbiamo diventare dei mostriciattoli con dei labbroni che sembrano un ano? Cosa c’è di così sexy in questa roba? Cosa c’è di sexy nell’avere la bocca che sembra il buco di culo di un’anatra?
– Non ho mai considerato l’anatomia delle anatre.
Io ho dato un’occhiata mentre mi trovavo in una fattoria, in Francia.
– Perché vivi a Parigi?
Mi piace vivere lì perché posso fumare ovunque, ma questo sta cambiando. Forse andrò a stare in Grecia, perché là puoi ancora accenderti una sigaretta dove ti pare. Probabilmente alla fine lasceranno un solo paese in cui si permette di fumare, per tutti quelli che al mondo non vogliono smettere, e io andrò là. Fumare ti uccide, ma la vita ti uccide comunque, e se proprio non vuoi morire allora chiuditi in frigorifero appena nasci, così non ti capiterà nulla.
Deborah Solomon
(per The New York Times, 21 ottobre 2007 - trad. Maria G. Di Rienzo)