Gianni Minà regista
protagonista per nove ore consecutive
Fidel Castro parla a ruota libera
e difende la sua dittatura
Non mi sembra il miglior modo per presentare all’Italia un partito che si dichiara democratico quello di organizzare un Festival del Cinema e invitare un autore che per tre giorni proietta filmati celebrativi della Rivoluzione Cubana e del suo leader maximo. Il Festival di Roma dovrebbe essere un biglietto da visita per Walter Veltroni, che ha fatto cose buone e interessanti, anche perché è un vero esperto di cinema. Goffredo Bettini, numero due del sindaco, ha organizzato la rassegna ed è sua la scelta di inserire una maratona castrista di tre giorni a cura dell’immancabile Gianni Minà.
Il Festival non ha proiettato veri capolavori come Fragola e Cioccolato, Guantanamera e Lista d’attesa, ma neppure il divertente Biciclette ai tropici di David Riondino. Forse erano film troppo critici e liberi nei confronti della Rivoluzione, girati da intellettuali onesti e ispirati che rimproverano alla dittatura errori e mancanze. In compenso sono stati proiettati cinque inutili documentari girati in ginocchio da Minà, giornalista noto per una totale mancanza di spirito critico nei confronti del regime.
Abbiamo avuto modo di vedere la storica Intervista a Fidel del 1987, Il papa a Cuba, Un giorno con Fidel, Cuba trent’anni dopo, Castro racconta Guevara e una pellicola dedicata al Comandante Marcos. Una vergogna assoluta per i veri democratici e per chi conosce la realtà cubana, anche perché le pellicole sono passate sul grande schermo senza il minimo contraddittorio. Un vero e proprio momento di propaganda di una dittatura che costringe all’esilio gli uomini migliori e mantiene centinaia di prigionieri politici in carcere.
Abbiamo dovuto sentire dalla viva voce di Minà assurdità come: «Questo mio lavoro ha subito anni di embargo in Italia, mentre tutto il mondo lo applaudiva. Solo da noi esiste un pregiudizio che impedisce a queste pellicole di circolare». Roba da pazzi. Mi auguro che cubani indipendenti e dissidenti che vivono in Italia come Carlos Carralero abbiano sentito questa frase e che rispondano per le rime. Se in Italia esiste un silenzio complice è tutto a vantaggio di Fidel Castro e di un regime dittatoriale, visto che la sola rivista che parla di Sudamerica è nelle mani di Gianni Minà, editore e giornalista tuttofare con la borsa ricolma di contributi cubani.
Vorrei proprio sapere chi produce le pellicole girate da Minà, acritiche genuflessioni davanti a un Comandante che non ha mai avuto tanta pubblicità. Oliver Stone non ha saputo fare di meglio, compagno Minà. Il giornalista (ma chiamarlo così è un eufemismo) ringrazia Veltroni per lo spazio concesso e per la grande visibilità. I veri democratici, invece, non possono ringraziare Veltroni e cominciano a dubitare se sia il caso di nutrire fiducia in un segretario del Partito Democratico che spalleggia un dittatore. I cubani che ogni giorno rischiano la vita per raggiungere la libertà non vengono citati dai documentari di Minà. Per lui non esistono. Per lui esiste solo la Rivoluzione. Hasta cuando, comandante Minà?
Gordiano Lupi