La quarta edizione di “Concerti Contemporanei”, emanazione di “Angelica Festival”, è stata dedicata alla figura innovativa e sperimentale di Cecil Taylor in diversi contesti e proposte. Tre serate tra Modena, Bologna e Reggio Emilia, di cui due previste in duo e l'ultima con l'Historical Quartet.
Ho scritto “previste” perché in realtà l'unica serata che ha rispettato il programma è stata la prima, l'incontro tra il pianista e il batterista inglese Tony Oxley. Una serata di grande livello, con un incontro tra due musicisti che già avevano sperimentato la formula in album e concerti. Oxley si è messo al servizio di Taylor, rinunciando ad un confronto, ma piuttosto assecondando il fiume in piena che ha inondato la platea con grappoli di note (cluster), invenzioni ritmiche e perfino momenti di pensoso lirismo.
La seconda serata prevedeva il duo con Anthony Braxton, ma, al riscontro dei fatti tutto è successo ma del duo non s'è vista traccia. Dopo una iniziale performance di liriche lette da Taylor è seguito un duo pianoforte-contrabbasso, infine si è aggiunto il sassofonista, ma dopo quindici minuti Taylor è uscito inspiegabilmente di scena.
L'ultima serata prevedeva il quartetto ma per almeno un'ora si è visto tutt'altro. Un iniziale duo per voce e percussioni, con Taylor impegnato in vocalizzi e liriche in un inglese (ammesso che lo fosse) incomprensibile. Un solo prima al flauto diritto poi al contrabbasso di William Parker che niente ha aggiunto a quello che di positivo già si sa di lui, e che in fondo sembrava più un riempitivo che non un discorso pertinente. Una performance solistica di Braxton con uso di sopranino, soprano e alto. Un momento artisticamente riuscito, propulsivo e dall'andamento circolare, come le strane giravolte che il musicista eseguiva mentre suonava. Nulla di nuovo ma certo la conferma della strabiliante abilità strumentale e dell'unicità dell'universo musicale braxtoniano.
Poi il momento più alto della serata: quindici minuti di solo pianoforte con una musica scintillante per inventiva, freschezza ed originalità. L'intero universo tayloriano condensato: ottave insistite sulla parte grave della tastiera, rapidi cluster ed una ormai non inusuale vena lirica di assoluta bellezza ed originalità. Una musica da camera contemporanea, colta, ricca di riferimenti e colma di mistero. A seguire, e finalmente, il quartetto. Da subito appare chiaro come la personalità musicale di Taylor sia preponderante e totalizzante. Braxton cerca di insinuarsi negli spazi e nelle pieghe del tessuto musicale con un lungo passaggio in respirazione circolare. Ma è evidente che non si tratta tanto di un quartetto bensì di un trio più un ospite. Non c'è coagulo, non c'è dialogo, non è possibile per il sassofonista che ricoprire una parte marginale e da comprimario. L'assalto al pianoforte da parte di Taylor produce note strappate, ritmicamente tachicardiche e convulse: la sezione ritmica lo segue e, manifestamente, si rivolge apertamente solo a lui. La musica è una cavalcata senza attimi di ripensamento, un lungo travolgente assolo del pianoforte sorretto da contrabbasso e batteria e sempre più raramente intersecato dai fiati. Molto bello, ma rimane il rammarico di un incontro a metà, parzialmente fruttuoso e, quasi certamente, senza futuro.
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Roberto Dell'Ava