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Marco Cipollini: Venti aforismi per Tellusfolio. Epigrammi per Pier Giorgio Odifreddi
Pier Giorgio Odifreddi
Pier Giorgio Odifreddi 
15 Ottobre 2007
 

(L’Arte dell’aforisma). Il primo a non prendere troppo sul serio un aforisma è il suo autore. Se la sentenza è impettita, del tipo “il cielo stellato sopra di me, la legge morale in me”, non va, e dire che Kant era anche spiritoso; purtroppo era tedesco, e filosofo. Se fosse stato italiano avrebbe aggiunto: “e sotto i piedi, attenzione alle merde”. L’aforisma, anche il più tragico, deve saper sorridere. È un frutto stitico della saggezza vorace, e se ti prende la mano si fa diarrea incontrollabile. La brevità è l’eccellenza. Ma funziona anche se lunghetto, purché il finale sia netto e spiazzante. Fondamentale è che vi si respiri un’aria frizzante, anticonformistica, per cui la certezza genera un dubbio, e viceversa. L’aforisma non è scrittura ortogonale, ma leggermente sghemba (il clinamen di Lucrezio). La sua verità è e non è, ma sicuramente è, e soprattutto è perché anche un po’ non è, e quindi per un poco che non è bisogna che un po’ anche sia. Non è destinato ai popoli afflitti da artrosi monoteistica. Nessuno vedrebbe un Mosè scendere dal Sinai fumante e tonante con due lastre di calcare scalfite con aforismi. L’islam, poi, non tollera alcun dubbio; nel dubbio, zac! Collo e testa si separano per magia. Invece accetta l’aforisma il monopoliteismo cristiano, che si basa su dogmi soavemente irrazionali. La sua crux è la croce, cioè l’incarnazione del creatore nel mondo creaturale, dove muore e risorge. È il tutto che contiene l’oltretutto, anche la sua negazione: puro e sublime aforisma. Godrei se un giorno il Papa dal finestrone dicesse ai fedeli: “figlioli karissimi, vi benedico in nome di Dio. Benedicendo voi, io ne resto fuori; ma non ve la prendete, tanto son già Benedetto”. Sarebbe un aforisma con calembour, passabile per un teologo sofisticato qual è. (Ma è tedesco!) Giova sperare.

P.S. E attenti a dove mettete i piedi.

 

Marco Cipollini

 

 

 

VENTI AFORISMI

 

1

L’arte moderna è qualcosa che non si sa bene cosa sia, e la cosa ci turba profondamente; ma il fatto che ostenti la sua insignificanza assoluta, be’, questo è un bel sollievo.

 

2

La bellezza non è bella e la verità non è vera, ma vera è la bellezza e bella la verità.

 

3

Di un sano e robusto erotismo si possono accennare due o tre cose fondamentali. Il resto è fantasia indecente.

 

4

Una poesia è come una donna bellissima che, leggendola, ti si spoglia davanti. Il buon lettore ci fa l’amore e ne resta innamorato per sempre; il critico ci fa l’amore e poco gentilmente ne parla a giro, dandole il voto; il filologo le fa una visita ginecologica e si convince di conoscerla “dentro”.

 

5

La verità non ti verrà col tempo, ma, se mai verrà, oltre l’intero tuo tempo.

 

6

L’antico paradosso dello scrittore autentico: credimi perché sono un bugiardo.

 

7

Lo scrittore che giura di dire solo e sempre la verità è il puro nichilista.

 

8

Ci sono aforismi di tutti i colori, ma la verità che testimoniano è unica, così come nel buio un raggio di sole attraversa un prisma scomponendosi. L’integralista non accetta che la luce sia formata da molti colori.

 

9

Il tempo, che cos’è? Ascoltalo in silenzio.

 

10

Tutti credono a qualcosa, soprattutto coloro che credono di non credere a nulla.

 

11

Un orologio fermo segna l’ora esatta due volte al giorno, ma non si sa mai quando essa sia; un orologio funzionante tenta continuamente di segnarla, ma non sarà mai quella esatta. Quale dei due è più vicino alla verità del tempo?

 

12

Le lacrime di una donna commuovono, quelle di un uomo contristano. Gli occhi che si rifiutano di piangere mettono angoscia.

 

13

Se Maometto non va alla montagna, la montagna va a Maometto… E se s’incontrassero a metà strada? Il compromesso è la chiave della saggezza.

 

14

Come mai in un film i personaggi cattivi attraggono più di quelli buoni? Chiedetelo al grande esperto, il diavolo, ma attenti che vi parlerà ingannevolmente delle persone.

 

15

Due neonati prossimi di culla. Uno trent’anni dopo ucciderà l’altro. Entrambi hanno un buon motivo per piangere.

 

16

Fa’ quel che vuoi, nessuno ti giudicherà. Fu l’inizio della vicenda umana. E forse sarà la causa della sua fine.

 

17

Verità e mondo, la grande dicotomia. Per lo scienziato si risolve in una tautologia; per il poeta si compone in un ossimoro; per il religioso è una contraddizione inconciliabile. Per il nichilista non c’è alcuna verità né, alla fin fine, il mondo.

 

18

L’uomo incapace di mentire non ha alcun merito morale nel dire sempre la verità. Chi non avverte mai il fascino della menzogna è un amorale.

 

19

Non c’è uomo che non si senta in colpa per qualcosa, ma sono ben pochi ad avere il senso del peccato.

 

20

Ci sono criminali intelligentissimi. Eppure quanto sono ingenui e stupidi credendo di essere giudici e Dei del proprio destino.

 

 

 

EPIGRAMMI PER L’UBIQUO EGR. PROF. PIER GIORGIO ODIFREDDI

 

Eccetto (forse) i pastori isolati sull’Appennino o nel Gennargentu, tutti ormai conoscono l’egr. prof. Pier Giorgio Odifreddi: televisione, giornali, siti web, libri, ovunque si apra uno spiraglio mediatico, l’egr. prof. c’incastra il piede per ribattere col suo sorrisino acido che Dio non esiste, che la religione — qualsiasi, ma il suo astio si acuisce ulcerosamente su quella cattolica, che lo stesso Jacques Lacan, ateo confesso, definisce “la vera religione” — è un cumulo di sciocchezze inculcato nei cretini da preti disonesti, e così via. La rozzezza callosa, di per sé, non colpirebbe più di tanto, se non fosse per l’aspetto ridicolo e patetico di questa sua vera e propria missione ateistica, che proclama il contrasto insanabile tra la religione (cattolica!) e la matematica. Siccome la logica e la matematica sono l’unica verità universale (ciò significa cattolica) e il cattolicesimo afferma verità di fede incompatibili con la matematica (il Dio trinitario, ecc. ecc.), chi è cattolico è, detto esplicitamente, un perfetto idiota oscurantista, di più, pericoloso, appartenendo alla «metà della popolazione [che] ha un’intelligenza inferiore alla media» (La repubblica, 09/05/04). La matematica spiega tutto e al di fuori di essa tutto è menzogna, «condizionamento umanistico (mitologico, religioso, filosofico) che fa a pugni con quella stessa mentalità e quello stesso metodo» (Lr, 03/08/07).

Non si tratta di additare al pubblico ludibrio solo qualche beghina attardata nelle superstizioni o i pellegrini miracolistici di Padre Pio, ma l’intero «pensiero irrazionale e antiscientifico dei filosofi nostrani, che dagli idealisti Croce e Gentile ai continentali Cacciari e Severino, hanno sistematicamente frainteso e denigrato la scienza e la matematica» (ibidem). Va da sé che se la matematica a scuola è la bestia nera degli studenti, la colpa è della religione (dell’ora di religione!) e si sa bene quanto il pensiero religioso permei il mondo emotivo e intellettuale degli studenti! E gli studenti asiatici, indiani in particolare, notoriamente bravi in matematica? Sono tutti atei? Gli indiani! Se conoscessero questa castroneria odifreddiana si sganascerebbero dalle risate. Fare della scienza la nuova e ultimativa religione è la pretesa totalizzante di molti scienziati odierni. Perché non solo le leggi universali si spiegano e piegano alla matematica, ma qualsiasi facezia. Come la letteratura: «si può dunque immaginare che la letteratura matura [sic!] possa (o debba) avvalersi di metodi matematici per l’analisi dei testi, e che i dipartimenti di matematica possano (o debbano) diventare le nuove sedi della critica letteraria, in sostituzione di quelli ammuffiti e stantii nei quali si continuano a praticare le letture accademiche, adolescenziali o infantili aborrite da Nabokov» (Lr, 27/03/004). È proprio cretino, non è vero? Del resto, che cos’è la poesia? Aria fritta: «E allora che si leggano pure nelle aule e nelle piazze i versi di Dante e Leopardi, per il piacere che l’aria smossa dalla voce di chi li declama dà all’orecchio di chi li ascolta» (Lr, 31/08/06). Che rispetto gli deve uno come me, che della poesia ha fatto il senso della propria vita?

L’egr. prof. tollera la parola “Dio” solo in senso traslato — e qui contraddicendosi, perché qualsiasi deviazione metaforica, per sua ammissione, va contro la logica matematica, — per ciò che, secondo Spinoza o Einstein, “Dio” si deve intendere in senso pantetistico, e quindi ateo. In tal senso arriva ad affermare che «la matematica è il linguaggio in cui Dio ha scritto le leggi dell’universo» (Lr, 19/08/02). Cercare coerenza linguistica in Odifreddi è come prendere l’acqua con un colino. Del resto ogni sua ostentazione ateistica non può che passare attraverso la vecchia, oscurantistica istituzione del linguaggio figurato, dato che la matematica è inabilitata a ogni ricerca di senso morale. E chi pensa “Dio” in modo tradizionale? È semplicemente un matto, anche se, guarda un po’, è un matematico grandissimo (come aspirerebbe a essere il nostro povero egr. prof.): «Georg Cantor pensava di aver ottenuto la sua fondamentale teoria degli insiemi per diretta ispirazione divina. Ma finì in manicomio, e chi avesse preteso di santificarlo ci sarebbe finito pure lui» (Lr, 31/10/04). Odifreddi è preso da una tale sfrenatezza integralistica che, attribuendo esclusivamente alla scienza e alla matematica tutta la verità e nient’altro che la verità, le rende, realmente, un feticcio, pura superstizione. Perché quello che dà noia all’egr. prof. è l’idea stessa di libero arbitrio, dato che se uno agisce logicamente non c’è che una sola scelta da compiere (è quindi una non-scelta). Riferendosi a una correzione di rotta operata dall’astronauta Amstrong per evitare un ostacolo imprevisto, conclude: «la coscienza è come quella correzione di rotta, necessaria fino a quando la navicella umana [queste metafore, egr. prof., queste metafore!] si sarà sufficientemente evoluta per poter procedere completamente col pilota automatico, come [attenti!] già fanno altre specie che noi con infantile superbia riteniamo e chiamiamo ‘inferiori’» (Lr, 28/08/07). L’uomo come un computer programmato, per poter essere, finalmente, istintivo come un animale. Un altro passettino e siamo alla famigerata “bestia bionda”.

Ora, anch’io penso che gli animali siano in qualche modo “razionali” nel loro agire istintivo; ma è proprio la nostra dote “irrazionale” (uso qui l’aggettivo in senso odifreddiano, pur non condividendone l’indigenza semantica) che ci rende diversi da essi e tali da guardare oltre alla natura, alla ricerca di un senso necessitante. Ma è proprio questo di cui non vuol sentir parlare l’egr. prof., perentorio profeta del Nulla — o meglio, dello Zero — che è la vera sostanza dell’essere. Ovviamente, anche qualsiasi rappresentazione che ricerchi un significato è una pretesa demenziale. Odifreddi perciò predilige i «quadri non dipinti di Lucio Fontana, che alla mancanza di pittura uniscono anche buchi o tagli che rappresentano il vuoto» (Lr, 05/06/02). Tutto è Nulla, e peculiarmente «nella scienza e nella matematica, dove la presenza del nulla si è fatta problematica e inquietante, ed esso ha ormai assunto un ruolo altrettanto fondamentale, se non addirittura maggiore, della stessa realtà apparente» (ibidem). (A sceverare logicamente, parola per parola, queste e altre affermazioni, sarebbe da mettersi le mani nei capelli.) Pertanto, continua l’egr. prof. taoista (senza avere del taoista il dono dell’atarassia), «come l’aritmetica è costruita a partire dallo zero, così la teoria degli insiemi, e dunque l’intera matematica moderna che su di essa si basa, è costruita a partire dall’insieme vuoto. Essa si riduce così a un edificio di pure forme, che si dissolve in ultima analisi nel nulla» (ibidem). (Chissà che Georg Cantor non sia finito in manicomio non perché credeva in Dio, bensì in questa ateologia nichilista!) Insomma, la matematica e la logica come “inquietanti” — lo afferma lui stesso — scienze del Nulla. Dunque, Odifreddi Pier Giorgio, tu non sei altro che un nulla parlante, in attesa di divenire un nulla silenzioso: il perfetto Zero.

Mi piace riportare qualche parola di Umberto Galimberti, che di certo non è un chierichetto, in risposta a un lettore, anch’egli fisimosissimo contro gli “inutili riti” e le “inutili cattedrali”, per le quali tante energie economiche e psico-fisiche sono state bruciate: «Il suo argomentare non farebbe una piega se l’uomo fosse governato dalla sola ragione. Ma la ragione, già ce lo ricordava Kant, “è un’isola piccolissima nell’oceano dell’irrazionale”, che profondamente ci abita e di cui quotidianamente sentiamo gli effetti, ogni volta che ci innamoriamo, ci adiriamo, ci abbandoniamo ai margini della vita nella speranza ormai delusa di reperire un senso che non c’è» (Lr delle donne, 15-3-03). (Di certo per Odifreddi l’amore sarà solo una questione ormonale o un algoritmo da risolvere logicamente…) Se Galimberti, «nella speranza ormai delusa di reperire un senso che non c’è», da parte sua concede tanto all’«rrazionalità», perché Odifreddi è così reciso e intollerante? Perché è un matematico integralista, e quindi al pari di qualsiasi altro integralista ha un pensiero unidimensionale: è così e solo così. È lecito inferire che l’egr. prof. in un suo realizzato regno talebanico farebbe fuori ogni oppositore, in quanto appartenente a quella metà della razza umana scarsamente intelligente?

Quello che manca a Odifreddi è l’umiltà, virtù che dovrebbe appartenere a qualsiasi ricercatore della verità (o presunta tale). Lui è sicurissimo di tutto. Sarebbe da citare lungamente una sua intervista a Robert Laughlin, premio Nobel per la fisica nel 1998, il quale a Odifreddi osannante la matematica come «il linguaggio in cui è scritto il libro della natura» (di memoria galileiana), risponde: «[…] Io preferisco questa citazione di Arthur Eddigton: “La matematica non c’è, fino a quando non ce la mettiamo noi”». [Odifreddi:] «Cosa vorrebbe dire?» «Che la matematica deriva dalla natura, e non viceversa. L’idea che sia la natura a derivare dalla matematica è meravigliosa, logica e confortante, ma sfortunatamente è confutata dagli esperimenti» (Lr, 01/02/06).

Non ci sarebbe in realtà da pigliarsela più di tanto con un presuntuoso simile e simile coglione, se non fosse per la sua invadenza insistentissima, che ha qualcosa di patologico: cioè, irrazionale. Rispettare comunque la persona? E perché, se tanto è il disprezzo e l’irrisione che riversa addosso a chi la pensa diversamente da lui? E poi questi pochi epigrammi, nati in margine alle sue noiose balordaggini, soneranno cosine innocue all’orecchio purissimo di un logico che, siamo certi, leggendole tirerà fuori il suo sorrisino acido, scotendo la gran chioma riccioluta, che lui pensa dargli quella cert’aria da Einstein, disperatamente. Sì, sono aria fritta (tantopiù se lo sono quelle di Dante e di Leopardi!), ma dànno «il piacere che l’aria smossa dalla voce di chi le declama dà all’orecchio di chi le ascolta». Al contrario delle sue, acrimoniose e tristi.

 

 

Matem’ateo Piergiorgio, non soffrire

al fegato di calcoli… Dio esiste?

Sono tutti sbagliati. Ma più triste

se giusti fanno zero: il tuo svanire.

 

                       * * *

 

Odifreddi Piergiorgio, il tuo anagramma

ridi oggi, o Fred, ride poi” si espande

bene chi ride ultimo, alla fiamma”?

Ti puzzan di bruciato le mutande.

 

                        * * *

 

Odifreddi, d’esser ti vanti il diavolo?!

Fosse così, varrebbe men di un cavolo.

Punzecchi e ronzi assai più di un’anofele…

Perché ridicolizzi Mefistofele?

 

                        * * *

 

Odifreddi allo specchio. Lì, in mutande,

si ammira: il genio della matematica.

Distruggerò la Chiesa e le sue bande!”

Sorride fiero (si gratta una natica).

 

                        * * *

 

Odifreddi sul cesso. Plof, plof. Pensa:

noi a immagine di Dio!” Ridicchia, sbronzo

di boria. Ma poi (plof, plof) ci ripensa:

e se Lui fosse il culo, ed io lo stronzo?!”

 

                        * * *

 

Odifreddi in tivvù. È il benchiomato

nella stalla di Augias, parla, parla

contro la Chiesa e Dio, parla eccitato.

Irrita anche Corrado. E parla, parla…

 

                          * * *

 

Matematica, arte, religione.

Il quesito più semplice si pone:

tra Odifreddi, Piero della Francesca,

Gesù Cristo, dei tre il cretino esca.

 

                         * * *

 

Odifreddi, i tuoi libri a ruba vanno

tra gli stitici, sei un gran guaritore.

Tu esageri però, è questo il danno:

la diarrëa colpisce il tuo lettore.

 

                         * * *

 

Ma perché ce l’hai tanto con i preti?

Piergiorgino, facesti il chierichetto?!

(Pedofilia!) I tuoi occhietti sempre inquieti…

Provi ancor nostalgia lì nel culetto?

 

                          * * *

Di paradossi è esperto, si fa vanto.

Più contro Dio argomenta, più convince

che c’è: se no, perché insistere tanto?

Lui è il paradosso: un cieco occhio di lince.

 

                               * * *

 

         Finale di partita

 

Spunta il sole ed Odifreddi

risgaletta: “Dio non c’è!”

C’è chi nasce e ha i piedi freddi,

non si scaldan col caffè.

 

Che sia un mistico il Piergiorgio

rifiutato da Jahwé?

E io su Te bestemmie forgio!”

Se l’è presa per corvè.

 

Vuole fare il ragazzaccio,

ma sapete poi com’è…

Finirà anche lui nel laccio,

con un prete al canapè.


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