Leggendo l’intervento dell’onorevole Della Vedova, in merito all’assegnazione del Nobel ad Al Gore, sono rimasto piuttosto deluso. E perplesso.
Sinceramente ho trovato le sue argomentazioni non solo molto povere, ma anche piuttosto errate.
L’onorevole dice di non volersi dilungare, nell’articolo, sulle ragioni che sostengono la sua posizione. Eppure farebbe bene a farlo, perché ci sono alcuni punti delle stesse che mi pare giusto mettere in discussione.
Innanzitutto, quando esprime ancora dubbi sulla fondatezza scientifica del climate change: sinceramente, spero si sia trattato di una leggerezza, perché è dal 2001, con la pubblicazione del rapporto dell’IPCC (insieme ad Al Gore vero vincitore del Nobel per la pace) che non si può più parlare di probabilità, ma di certezza.
Non dovesse bastare, nel 2007 è uscito il nuovo rapporto dell’International Panel on Climate Change e, un anno prima, il monumentale lavoro del governo inglese noto come Stern Report e diretto, appunto, da Sir Nicholas Stern, apprezzato economista già vice direttore della Banca Mondiale.
La quantità di evidenza empirica a disposizione dei climatologi per dimostrare la correlazione tra attività antropica e cambiamento climatico è, francamente, spaventosa. Spiace che un parlamentare della Repubblica italiana sia ancora scettico al riguardo, dopo che anche il presidente Bush, da anni ostile all’ambientalismo che Della Vedova definisce ideologico, si è ricreduto (anche a fronte della pubblicazione di un rapporto del Pentagono che conferma le conclusioni degli scienziati dell’IPCC).
Devo ravvisare del pressapochismo anche nel modo in cui l’onorevole confonde cambiamento climatico e global warming: le due espressioni non sono sinonimi. Il cambiamento climatico è un fenomeno complesso e non lineare, una delle cui manifestazioni è, certo, il global warming. Ma non solo.
Quanto, poi, alle proposte, anche in questo caso mi pare che l’intervento dell’onorevole Della Vedova sia piuttosto debole: si appella al mercato e al liberismo attaccando il protocollo di Kyoto, senza tenere conto di alcuni aspetti che vanno sottolineati.
Primo: i beni ambientali, essendo beni pubblici globali, hanno le proprietà di non rivalità nel consumo e non escludibilità che impediscono la regolazione della loro distribuzione attraverso il meccanismo di prezzo. In microeconomia, non a caso, si parla di fallimenti di mercato.
Secondo: varrebbe la pena sottolineare, in ogni caso, che proprio il protocollo di Kyoto ha istituito il meccanismo dell’emission trading, attraverso il quale proprio la logica di mercato ispira lo scambio di crediti e permessi di inquinamento servendosi, come moneta, della CO2.
Ma andiamo avanti: a dire il vero il governo Berlusconi si è distinto per una miopia incredibile, in termini di politica ambientale. L’anno venturo ci sarà il primo appuntamento proprio con gli obiettivi di Kyoto: l’Italia, che ha avuto nei cinque anni di maggioranza, di cui faceva parte anche l’onorevole Della Vedova, un atteggiamento inerte più volte ripreso dall’Unione Europea, si troverà in posizione di debito e dovrà acquistare permessi di emissione. I Piani Nazionali del governo Berlusconi sono stati ripetutamente bocciati dagli organismi competenti, in quanto fondati su una logica che, in sostanza, era tesa proprio al non rispetto del protocollo di Kyoto. La speranza era quella che il protocollo venisse affossato dall’atteggiamento ostile del governo statunitense: l’entrata in vigore di Kyoto, con la ratificazione della Russia, e le nuove evidenze sul cambiamento climatico (di cui anche Bush, ripeto, si è reso conto... Basti pensare a Katrina) hanno scombinato i piani miopi del governo di centro-destra.
L’onorevole Della Vedova parla della necessità di investire sul nucleare: anche questa è un’argomentazione che, non mi si voglia male, è intrisa di approssimazione.
Di quale nucleare parla l’onorevole? Se allude a quello su cui stanno investendo la Cina (che punta decisamente alla fusione) o alla Francia (fissione di quarta generazione), posso essere d’accordo con lui sul fatto che si tratti di tecnologie interessanti e dagli sviluppi promettenti. Tuttavia, credo che l’onorevole dovrebbe sapere che l’Italia non dispone delle strutture necessarie per avviare in tempi brevi questi investimenti: per seguire la strada di Francia e Cina, ci vorrebbero almeno 30 anni e non mi pare che questo risponda agli obiettivi di efficienza che, credo, Della Vedova auspica. L’Italia potrebbe al massimo, allo stato attuale, realizzare in tempi brevi solo impianti nucleari di seconda generazione, che presentano ancora molti problemi in termini di scorie.
La verità, semplice quanto banale, è che bisognerebbe immediatamente investire sulle fonti rinnovabili che tanto successo stanno avendo ovunque, in Europa: l’eolico off-shore (le coste del Mediterraneo presentano una velocità del vento ideale per la realizzazione di questo tipo di centrali), il microeolico e le nuove generazioni di fotovoltaico.
Il tutto unito ad un piano di risparmio energetico che razionalizzi le risorse.
Dopo di che, certo, sono necessari parallelamente investimenti in ricerca e sviluppo.
Ma il governo Berlusconi non si è certo distinto in questa direzione.
Questo, dunque, è lo stato delle cose: tutto il resto, me lo si lasci dire, è letteratura.
Luciano Canova