Un Nuovo Concilio Mondiale Cattolico. Per verificare e rilanciare una Chiesa a servizio dell’umanità.
“Aggiornamento”. È la parola chiave che ha caratterizzato il Concilio Vaticano II, cioè la Chiesa cattolica. Quel concilio che si è andato delineando negli anni come l’opportunità di “dialogo” verso un mondo che fino a quel momento veniva considerato dalle gerarchie ecclesiastiche ‘altro’ da sé anche se immerse nello stesso in mille modi e in mille maniere. Eppure è trascorso quasi mezzo secolo da allora e proprio da allora non si è fatto alcuna ‘verifica’ ufficiale su cosa abbia voluto dire – fino ad oggi e dopo tutto questo tempo – conoscere, comprendere, interpretare e applicare questa nuova impostazione metodologico-contenutistica dell’essere e del ‘fare’ Chiesa nella società mondiale.
Oggi, e da tempo, molti vescovi e curiali sanno lamentarsi molto della ‘secolarizzazione’, cioè di quella che allora al Concilio non ha trovato posto esplicito, ma che in realtà è stato il fantasma che ha aleggiato su quell’assise: apertura al mondo nel quale la Chiesa è immersa totalmente “pur non essendo del mondo”.
E quindi la Chiesa – che si trova a vivere e operare nel mondo – è qui che deve trovare il modo di testimoniare il suo Signore. E anche la Chiesa – cioè gli uomini e le donne di questa comunità credente, dal papa fino all’ultimo fedele – dovrebbe ‘perdersi’ (leggi ‘donarsi’) nei percorsi umani di questa nostra società per annunciare il Messaggio di salvezza a tutte le persone e ‘ritrovarsi’ (riconoscersi) nell’amore di tutti gli uomini. Ma i limiti – proprio perché umani – non mancano. E ciò che viene detto a parole non sempre è pensato e ancor meno attuato. E questo vale anche per molti uomini di Chiesa.
Nel 1995 la Chiesa italiana fece svolgere dall’Università Cattolica di Milano una ricerca sociologica – l’ultima più vasta e professionalmente valida, pubblicata perfino da Mondadori, con nomi altisonanti del mondo accademico – sulla situazione e la risposta che questa ha e riceve nel nostro Paese. I risultati non sono stati entusiasmanti. Ma dal card. Ruini all’ultimo prete ben pochi si sono preoccupati di presentarla e discuterla soprattutto nei luoghi addetti cioè le parrocchie, le diocesi, nei media cattolici. Poteva essere un’occasione per fare una riflessione comune e dialogata su un’analisi sociologica interessante; anche da completare semmai con altri contributi inter-disciplinari come la comunicazione, la psicologia, la didattica, la pedagogia. Cioè quelle branche del mondo scientifico non confessionale alle quali la Gaudium et spes e la Lumen gentium fanno riferimento per valorizzare le qualità della società secolare anche a fini di una conoscenza e di una crescita ecclesiale nell’interesse della persona della comunità umana nella comune ricerca della Verità. E invece no. Tutto è rimasto lì ben scritto e basta. Perché analizzarsi disturba. Mettersi di fronte alla realtà delle cose e delle relazioni crea disagio sulle responsabilità pratiche e sui criteri dottrinali e teologici dell’istituzione proprio di fronte ai drammi personali dell’essere cristiani cattolici sia come singoli, sia come gruppi, come chiese locali. E quindi si scantona, si evita e si ‘domina’ anziché di ‘servire’ perché tanto chi decide è ancora e sempre il papa, i vescovi e i preti secondo la strutturazione gerarchico-piramidale che la Chiesa si è data utilizzando tipologie di ‘società’ medioevali in cui il potere è assoluto nelle mani di pochi, cioè un’oligarchia ecclesiastica e maschile. Quindi occorre almeno inquadrare bene i problemi reali e fondamentali dell’essere Chiesa oggi nel mondo.
Fare il punto della situazione di una Chiesa cattolica – dopo la perdita di Giovanni Paolo II –, significa registrare un notevole vuoto. Non tanto un vuoto di contenuti, che pur ci sono stati ma che non hanno molto influito se non come conseguenze logiche di un’impostazione ecclesiastica ‘conservatrice’ (si pensi solo alle centinaia di ‘processi dottrinali’ avanzati contro teologi non in linea con la teologia polacco-ratzingeriana…), quanto d’immagine. E ora Benedetto XVI annaspa freneticamente per limitare questo divario tra la personalità di Wojtyla e la sua. E che il grande marketing massmediologico cattolico doc non riesce a colmare nonostante l’enfasi con cui i media ‘controllati’ continuino a ‘lanciare’ ovunque nello spazio comunicativo libri e articoli, con trasmissioni radio-televisive – anche in campo nazionale grazie ad aziende pubbliche come la Rai –, ma concretamente asservite al potere ecclesiastico. Anche se il tono teologico più puntuale dà per certi aspetti una qualificazione più specialistica che pastorale, a papa Ratzinger manca una vera mission del suo pontificato: cosa vorrà fare ‘da grande’ per contraddistinguere – e lasciare il segno – nella storia del suo governo ‘universale’ cattolico?
Vedremo cosa ci rivelerà. Per ora non lo ha dato a vedere chiaramente e non l’ha nemmeno detto se non di camminare sulle orme del suo predecessore. Ma anche Giovanni Paolo II aveva detto lo stesso: ma tra Montini e Luciani con Wojtyla c’è stato in comune solo il nome, nient’altro. Poi la ‘politica’ che ha svolto è stata tutta all’insegna di una novità contraddittoria tra le aperture e le chiusure, l’originalità ed un ritorno al passato. Benedetto XVI – dopo essere stato circa un ventennio sulla sedia di Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, l’ex sant’Ufficio (Santa Inquisizione) fondato da Pio V, ora si trova in prima persona a cercare di ‘governare’ questa Chiesa cattolica in questo mondo del XXI secolo.
Ecco alcuni punti cruciali di fronte ai quali occorre interrogarsi dopo decenni dall’ultimo concilio e di fronte ad un mondo che in questo tempo ha sviluppato dei cambiamenti a tutti i livelli tali da non poter non condizionare ogni persona e ogni comunità tra cui anche la Chiesa cattolica. E di fronte al quale ogni cattolico ed ogni struttura ecclesiale ed ecclesiastica si sarebbe dovuta adeguare. Ma si è adeguato il ‘mondo cattolico’ a questo nuovo messaggio conciliare?
È proprio vero e reale che ogni cattolico – laico o prete o religioso – conosca i documenti del Concilio Vaticano II e soprattutto li abbia messi in pratica e come nella sua vita e nella parrocchia, nella diocesi, nelle congregazioni, nel monastero, nella curia Romana, in Italia, in Europa, come in Africa, in Asia, nelle Americhe e in Oceania?
Quale formazione – per metodo e contenuto – abbiamo ed abbiamo avuto – nel dopo concilio – nei seminari cattolici di fronte alla varietà dei candidati al presbiterato per cultura, età, provenienza geo-politica?
Quale “dialogo” la Chiesa ha avuto col ‘mondo’ a livello interculturale, interreligioso, interspirituale, interdisciplinare e intercomunicativo?
A tali quesiti bisognerebbe che la Chiesa ufficiale rispondesse, non tanto per noi quanto per se stessa. E per rispondere non bastano le visite ad limina che i vescovi di una regione, di una nazione fanno al papa per riferirgli la situazione del loro territorio e della loro popolazione, quanto un nuovo Concilio mondiale. Preparato da milioni di sinodi (assemblee dei vari ambiti di una chiesa diocesana dalle associazioni, alle parrocchie, ai gruppi, ai fedeli tutti) delle chiese locali, i cui ‘prìncipi-vescovi’ (per il dominio assoluto che hanno – in termini di fede e morale – su tutti e su tutto), sono molto restii ad interrogarsi e mettersi in discussione. Sinodi che si organizzino in autentici luoghi di reale confronto, dialogo e comunione inter-umana ed inter-ecclesiale. Dove il metodo e i contenuti siano ancorati all’Evangelo e al Concilio.
Ma dopo Paolo VI ed il breve pontificato di papa Luciani è saltato fuori il papa polacco. E dopo i 28 anni di questo ‘globtrotter’ della fede in giro per il mondo è stato scelto il ‘guardiano’ dell’ortodossia di germanica estrazione: papa Ratzinger. E i segnali che il ‘numero Uno’ della Chiesa cattolica manda – anche a livello subliminale – si fanno sempre più consistenti. Dopo la riscoperta e la riproposta della messa in latino – quale segno di uno strisciante ritorno alla rivalorizzazione di concetti, metodi e prassi ecclesiastiche dell’epoca pre-concialire – si colgono le occasioni più a vasto raggio. La riprova di ciò la ritroviamo nel messaggio urbi et orbi di Benedetto XVI nel giorno di Pasqua: un messaggio che pone lo spartiacque tra Chiesa e mondo. Per Ratzinger la Chiesa non sta ‘dentro’ la storia come dice il Concilio, dove sentirsi parte integrante e indivisa con l’umanità; ma la ‘guarda’ separandosene e indicando la Chiesa come ‘unico’ luogo di salvezza. Il dolore umano lo considera come ‘tramite’ e ‘mezzo’ di conversione per la redenzione escatologica. I “segni dei tempi” di Giovannèa memoria, sono qui con Benedetto XVI squalificati a mera cronologia storica e non come ‘rivelazione’ del divino nell’umano. Quindi il messaggio è un messaggio di pericolo: “il male è causa vostra, state sbagliando, la strada giusta è un’altra, la nostra”. Noi – potrebbe dire – non condividiamo questa storia umana. Ciò capovolge completamente il messaggio di Giovanni XXIII: non una Chiesa per il mondo, ma un mondo per la Chiesa con una Chiesa al di sopra – cioè fuori – del mondo. L’incitare al ‘timor di Dio’, non fa che creare paure. Ed il ‘Papa buono’ ebbe modo di bollare come “prevaricazioni e rovina” ciò che “i profeti di sventura” annunziavano come eventi infausti annunzianti la fine del mondo: eppure nel 1962-65 Joseph Ratzinger – che sedeva al Concilio come consulente dell’arcivescovo di Colonia – scriveva libri inneggiando alla teologia conciliare.
Oggi, sembra che la Provvidenza come la Misericordia, cioè la Grazia e l’Amore – nonostante i ‘messaggi’ etichettati come tali ed inviati al mondo cattolico e non – vengono concretamente riposte nell’arcano spazio della dottrina anticonciliare.
Mentre nel mondo si stanno sempre più aprendo spazi nuovi di opportunità comunicative e in divenire, dove i nuovi paradigmi dell’universo umano si stanno ridisegnando, i vertici della Chiesa cattolica cercano il futuro nella ragione di se stessi e dei propri principi dottrinali: dalla immutabilità, alla perfezione alla all’indefettibilità.
Piero Cappelli