Certo che si sbagliava, è una colomba sfigata quella di Rafael Alberti: «Per andare al Nord andò al Sud / Pensò che il grano era acqua / Si sbagliava. / Pensò che il mare era il cielo / e la notte, la mattina / Si sbagliava. / Che le stelle eran rugiada, / e il caldo, una nevicata / Si sbagliava. / Che la tua gonna, era la tua blusa / e il tuo cuore, la sua casa. / Si sbagliava».
Però volava, quella colomba, nel nome di Gòngora: l’unica ragione per cui volare ha un senso. Quanti volano, sono capaci di volare di questi tempi? Interessa ancora, per esempio, quello che sta accadendo in queste ore in Birmania? A giudicare da quanto si legge sui giornali, o si vede in TV poco o nulla. La Birmania è lontana, più della lontana Cina. Si conferma la regola che vale per tutti gli oppressi: devono pregare innanzitutto che strumento della loro oppressione siano gli Stati Uniti o Israele, condicio sine qua non per ottenere la solidarietà del mondo. Se a opprimere non sono americani o israeliani commozione e indignazione non scattano. E infatti non un corteo, non una manifestazione, non un appello, una denuncia: il movimento senza “se” e senza “ma”, tace: tanti “boh” e molti “chissà”.
In Birmania la lotta vede in prima fila monaci. Incarnano, letteralmente, una religione della libertà; non sono diversi dai Montagnard in lotta da anni in Vietnam, e perseguitati tra la generale indifferenza – anche della chiesa romana, in altro impegnata – perché cristiani, credenti. Così simili, nella loro richiesta di libertà e democrazia a quei bonzi vietnamiti che negli anni Sessanta si uccidevano dandosi fuoco, e che non vennero ascoltati e aiutati dagli Stati Uniti e dal resto del mondo libero: loro, che costituivano l’unica, credibile alternativa ai vietcong comunisti e alla dittatura sud vietnamita. Non averli ascoltati e aiutati ha comportato quel che tutti sappiamo.
Religiosi che si battono per la libertà; ed è automatico pensare ad altri religiosi, mobilitati per reprimere e opprimere: quelle religioni di cui si fanno scudo da una parte il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad e i talebani (che certamente ignorano le “Robaiyyat” di Omar Khayyam); e dall’altra il pontefice tedesco e la sua Curia: fanatici e senza misericordia.
Da che parte stia la colomba, pur con tutti i suoi voli contraddittori è evidente. Così come è altrettanto evidente che i monaci birmani siano cosa fastidiosa; come la Cecenia, il Darfour. Un qualcosa che è meglio ignorare, perché pone problemi imbarazzanti. Proprio per questo non bisogna stancarsi di indossare qualcosa di rosso, e – magari – cominciare a toglierci le scarpe e camminare scalzi; come i monaci birmani; come un tempo quei monaci di cui ora sembra essersi smarrita la memoria, sostituiti da altri il cui dio sembra sempre più coincidere con Mammona.
Valter Vecellio
(da Notizie radicali, 4 ottobre 2007)