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Valter Vecellio. Punti e appunti per un possibile dibattito
03 Ottobre 2007
 

A voler fare una battuta, si potrebbe dire che comincio a capire il mio non capire. Di tante cose si dovrebbe e mi premerebbe ragionare: delle battaglie fatte e che faremo, di come farle e come le abbiamo fatte. Del governo, del poco di buono che ha saputo e potuto fare, del tanto di sbagliato che fa e di come – nonostante – non si veda alternativa credibile e neppure auspicabile, almeno fino a quando nel centro-destra non vi sarà una concreta, non nominale componente liberale, riformatrice, laica. Si potrebbe e dovrebbe parlare e ragionare di Beppe Grillo, le cui scempiaggini fanno presa, che pongono una serie di problemi. Perché fanno presa, in che tipo di società viviamo; e siamo ancora capaci di leggerla; oppure se cominciamo anche noi a non saper cogliere e interpretare gli umori che la percorrono, se insomma il processo degenerativo alla “Isola dei famosi”, alla “Grande fratello”, abbia fatto più presa e danni, e incida e influisca molto più di quanto si creda e si immagini.

Grillo è un problema per la sinistra, perché è a sinistra che lucra e saccheggia; e fossi nei DS ne sarei molto preoccupato: perché le vere primarie le sta facendo lui. Anni fa Dario Di Vico sul Corriere della Sera ci segnalò che nel Nord d’Italia molti iscritti alla CGIL votavano Lega; aver sottovalutato il fenomeno ha portato alla situazione di oggi. Oggi la risposta al “grillismo” mi pare inadeguata e lacunosa, incerta e confusa. Ma è un problema in certa misura anche per noi. Grillo ora è un fenomeno di cui tutta la città parla, ma quando ha raccolto in un giorno le sue 200-300 mila firme, era ignorato da tutti. Grillo ha saputo utilizzare con sapienza gli strumenti telematici e Internet; e indubbiamente può contare su una struttura che dà supporto al suo “dire”. Ma è amaro per me constatare che si è stati i primi a far ricorso a questo strumento, e che oggi non riusciamo a coglierne i frutti.

Come sia il “grillismo” è un fenomeno che dobbiamo cercare di comprendere. Come si ha il dovere di capire e non solo esorcizzare il movimento della pace senza “se” e senza “ma”, o no-global; e naturalmente chieder conto con rigore e forza perché manifestano contro gli Stati uniti e Israele, e non per la Cecenia e contro Putin, e nulla fanno contro i generali birmani, come ieri nulla hanno fatto contro Saddam. Davvero sono tante le cose di cui si dovrebbe e potrebbe parlare e riflettere.

 

Voglio invece provare a dire qualcosa di noi; e parto dalla moratoria: questa grande iniziativa politica che ci ha visto e ci vede protagonisti. Mi costa un po’ dire quello che dirò; vi confesso una sorta di mio disagio, che ad un certo punto ho sentito di provare, e che mi porta alla battuta iniziale: il mio forse cominciare a capire il mio non capire. Non ho dubbi sull’iniziativa, sul fatto che sia giusto farla, e farla nel modo in cui l’abbiamo fatta. Non ho dubbi che si sia stati determinanti, oltre che trainanti; e sono stato tra quanti erano d’accordo nell’intraprendere la seconda fase del digiuno.

Eppure al tempo stesso mi sono sentito solo, durante questo digiuno; e a dirla tutta, anche il mio essere duro di cervice, il mio non volermi dare per vinto, ad un certo punto ha dovuto fare i conti con questa mia realtà, con questo mio stato d’animo e con questo mio sentire. Al punto che una sera ho mangiato. Non era tanto la fame, quella la sopportavo e la sopporto. Era qualcosa che mi si era bloccato dentro, avrei potuto benissimo fare quello che ho fatto altre volte, prendere il latte macchiato. Quella sera no, qualche “lancetta” si era fermata, e ho mangiato anch’io. E m’interrogo ancora sul perché di quel calo di tensione ideale, e perché mi sono sentito così solo.

Questo fatto mi dà la possibilità di riflettere un po’ su di noi; credo che ce ne sia bisogno, ma prima una premessa doverosa e necessaria: nessuno pensi che in quello che dico vi sia anche solo l’ombra di una critica o dissociazione rispetto a quello che ha fatto e cerca di fare questa segreteria. Anzi. Dirò che a Rita, a Elisabetta, a Maria Antonietta, a tutte le compagne e i compagni che collaborano con loro, si deve essere grati: hanno un grande, enorme merito; hanno raccolto una pesantissima eredità, difficile, e sono riuscite a far navigare il fragile vascello radicale. Dunque, nessuna critica, nessuna dissociazione, nessuna presa di distanza, anzi, piena, totale, incondizionata condivisione. Su questo vorrei essere chiaro, vorrei che non ci sia alcun equivoco o fraintendimento.

 

Qualcuno ricorderà una frase che Marco Pannella ogni tanto cita, io ricordo di averla letta la prima volta in una lunga intervista che realizzò Giulia Massari nel 1975 per Playboy: «Il ragionevole sregolamento dei sensi», di Arthur Rimbaud; e devo dire che come per altre cose, un po’ mi sono spaccato la testa per cercare di capire che cosa si intendesse dire. Perché non bastava dire che Rimbaud aveva intuito quello che i cibernetici hanno intuito a livello scientifico, che il dramma era la ragionevolezza. 

Questo lo si coglie anche leggendo Erasmo da Rotterdam. In fin dei conti il suo Elogio della follia raccomanda innanzitutto di avere il coraggio di essere pazzi. Pazzi nel senso migliore che si può dare al termine, di pretendere in tutta serietà di mutare quello che viene ritenuto immutabile. Se volete, un po’ quello che un poeta definisce «l’assurdo che ci sfida, per spingerci ad essere fieri di noi».

 

Per tornare al ragionevole “sregolamento dei sensi”: aiuta molto a capire il “mio non capire” un recente intervento di Sergio Stanzani alla riunione dei segretari e dei tesorieri di qualche settimana fa. Un intervento importante, illuminante, che ho fatto poi sbobinare e pubblicato su Notizie Radicali: «Il nostro obiettivo è quello di essere radicali». Ecco, quella frase di Rimbaud credo di averla capita grazie a quell’intervento di Stanzani; e non mi ripeto perché se volete, lo potete leggere o rileggere con vostra comodità. Solo un piccolo brano qui voglio riprendere, per nostra memoria: «Siamo riusciti con poco a fare molto. Il problema è se sia sufficiente; ma noi non possiamo perdere la consapevolezza di essere unitari. Il mio dissenso con Capezzone è questo: lui non è mai stato unitario. È stato un singolo, si è sempre occupato di se stesso. Ed è per questo che io sono qui, voi con le vostre presenze, i vostri volti, e lui sta da un’altra parte». Un “irragionevole regolamento dei sensi”, mi verrebbe da dire.

 

Con Gianfranco Spadaccia qualche giorno fa confidavo un senso di inadeguatezza che provavo, e che credo appartenga a molti di noi, rispetto alle sfide che lanciamo e che ci vengono lanciate. Ora non è che voglia mitizzare quei compagni, ma davvero credo si possa dire che, per un motivo o per l’altro, avevano una marcia in più. Spadaccia mi ha dato una risposta che mi ha fatto pensare: «C’era Marco, motore e sole del sistema radicale». Ma Marco c’è ancora. «E poi c’eravamo noi», e ha aggiunto, per descriversi: «Noi disadattati». È evidente che il significato da dare a quel “disadattati” è molto simile a quello che Erasmo da Rotterdam dà a “follia”, e va nel senso di Rimbaud. Ma allora: forse noi siamo diventati un po’ meno “disadattati”; siamo – o abbiamo la tentazione – di diventare un po’ “adatti”? Oppure – e la cosa non esclude l’altra – c’è una società, un mondo che rispetto allora, un mondo ad allora, vive altre “disattitudini”?

 

Chiedo scusa per quello che può sembrare un Delenda Carthago, ma abbiamo un grande problema, si chiama informazione; e specificatamente RAI. Il comportamento della RAI sulla moratoria in particolare, su cento altre questioni e temi, è indecente e insopportabile, senza “se” e senza “ma”. Credo che dobbiamo in qualche modo reagire al fatto che pur essendo riprese le trasmissioni di approfondimento politico su tutte e tre le reti pubbliche si continui con sistematica pervicacia ad eludere quei temi che pure la commissione parlamentare di vigilanza aveva prescritto di trattare, e che la stessa dirigenza del servizio pubblico aveva assicurato avrebbe trattato.

Non è solo un problema relativo alla moratoria. Il tumore è una metastasi che aggredisce ovunque. A qualunque ora del giorno e della notte voi accendete il televisore, sarete sommersi da notizie che riferiscono di delitti, violenze, stupri, rapine. Non è che non ci siano, per carità; ma intanto vien da domandarsi perché c’è una specie di sindrome in base alla quale ogni fatto di sangue è realizzato sempre da uno che ha beneficiato dell’indulto. E la notizia viene data con enfasi. Poi viene fuori che non è vero: l’assassino non ha beneficiato di alcun indulto, e la rettifica non viene data. In questo caso i censurati non sono i radicali, ma il ministero di Giustizia, che diffonde i suoi comunicati tra la generale indifferenza.

Mi pare sia stato Angiolo Bandinelli a osservare che ci deve essere una sorta di intelligenza in base alla quale si devono enfatizzare queste notizie per creare un “clima”. Peccato solo che i dati certifichino che l’altro anno ci siano stati circa 650 delitti, e dieci anni fa il doppio. Ora non è che 650 delitti sian pochi; e quando si tratta di ordine pubblico, non si può fare una mera contabilità. Però sia voluto o meno, si alimenta un clima di allarmismo e di paura, che dà i suoi frutti velenosi. Basta salire su un autobus o andare in un mercato per accorgersene. Come si è fatto con lo sciopero della pasta, forse bisognerebbe fare lo sciopero della TV, un giorno di disintossicazione. Anche perché il discorso sulla giustizia è un discorso serio che va affrontato in modo ben diverso da come fa un “Porta a porta” che con Garlasco si è messo in pista nello stesso modo in cui ha trattato la vicenda di Cogne. Credo per esempio che sia raccomandabile la lettura di un libro, Toghe rotte, di un magistrato di Torino, Bruno Tinti. Io chi sia questo Tinti non lo so; si abbandona ad affermazioni che non sono suffragate da fatti, come «le strade si sono affollate di rapinatori e ladri che hanno subito ricominciato...». I dati a disposizione documentano che i recidivi che avevano beneficiato dell’indulto sono una percentuale che va dal 17 per cento, fisiologica; e che molto superiore, del doppio, è la percentuale di chi – dopo aver scontato interamente la pena – è tornato a delinquere. Al di là di questo aspetto, Tinti ha ragione quando osserva: si volevano sfollare le carceri, e allora perché si sono compresi nell’indulto reati come falso in bilancio, frode fiscale e altri reati di questo tipo per i quali non c’era nessuno in prigione? Ecco, questa è una bella domanda, credo che sarebbe stato interessante ascoltare una possibile risposta, che questa era la condizione posta dalla “Casa della Libertà” e da qualche settore dei DS per far passare l’indulto. Comunque questa riflessione di Tinti credo che meriti: «A questo punto sapete chi ci sta in carcere? Qualche omicida, qualche rapinatore, una sterminata quantità di extracomunitari che hanno rubacchiato o spacciato qualche dose; e – per poco, pochissimo tempo – qualche delinquente che il Pubblico Ministero o il Giudice per le indagini preliminari hanno arrestato mentre si svolgono le indagini e che, per scadenza dei termini o perché il tribunale della Libertà li ha messi fuori, sono usciti dopo due o tre mesi. Pronti a trascinare il processo fino alla prescrizione».

Insomma, il giudice Tinti parla di quella amnistia strisciante, quotidiana e di classe che tanti preferiscono alla nostra proposta di amnistia. Ma – e mi avvio alla conclusione – quello che credo sia maggiormente apprezzabile nel discorso di Tinti, è che forse pagherà – è la parte in cui denuncia la casta, la sua casta: «Perché i giudici e i loro organi costituzionali non sono immuni al degrado del paese in cui vivono. E alla fine, all’interno della magistratura, è accaduto qualcosa di molto simile a ciò che è accaduto all’esterno, nei palazzi della politica... Il governo della magistratura è il Consiglio Superiore della Magistratura, i ‘partiti’ sono le cosiddette correnti. Sono le correnti che fanno propaganda per questo o per quest’altro e che, in pratica, garantiscono che nessuno, ma proprio nessuno – se non un altro aderente ad un’altra corrente – possa fargli concorrenza...».

Tutti hanno una caratteristica: fin dall’inizio, dal loro ingresso in magistratura, «studiano per diventare da “grandi” componenti del direttivo centrale dell’Associazione Nazionale dei Magistrati, segretari di questa o quell’altra “corrente”, componenti del Consiglio Giudiziario. Insomma, si tratta dello stesso triste, squallido, corporativo sistema che ha ucciso la politica nel nostro paese. Questo fatto è drammatico e sta rodendo come un cancro tutta la magistratura».

Sono certo che il libro di Tinti subirà la stessa sorte del libro di Salvi e di Villone sui costi della politica. Non se ne parlerà, non ci sarà alcun dibattito, confronto, riflessione, conoscenza.

 

Da ultimo. Tutti voi conoscete le voci, insistenti, di possibili bombardamenti mirati e preventivi sui siti nucleari iraniani. Ci sono già piani predisposti, se ne parla apertamente. occorre riprendere la “bandiera” di Irak libero e tutto quello che Irak libero significa e ha significato; credo che si stia annunciando e prefigurando qualcosa di molto più grave e terribile, per tutti.

Per questo credo vada raccolto l’invito di Umberto Gambini per un momento di riflessione comune che consenta di riprendere l’iniziativa su quella che è la nostra politica estera, e che è costituita da quel pacchetto di proposte che vanno da Israele e la Turchia nell'Unione europea, alla comunità delle democrazie. È qualcosa di urgente e che incombe. E se non noi, con noi, non riesco a immaginare né chi altri, né come.

 

Valter Vecellio

(da Notizie radicali, 3 ottobre 2007)


 
 
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