Non si fa in tempo ad approvare la legge ex Cirielli sui tagli ai tempi di prescrizione per i reati (e che spazza via, contestualmente, la legge Gozzini, rapido e brutale colpo di spugna contro un cardine della nostra civiltà giuridica), e il ministro della Giustizia Roberto Castelli si accorge di una realtà devastante con cui molto presto dovremo fare i conti. Uno degli effetti della nuova normativa, dice Castelli, sarà infatti un ulteriore sovraffollamento delle carceri. Ora se ne accorge, ora lo dice e lo ammette? Un doveroso “ripensamento” anche questa volta? Castelli batte cassa. Per far fronte alla nuova emergenza, dice, nessun nuovo finanziamento è stato fino ad ora previsto. E lo dice a noi? Lo dica al presidente del Consiglio, per il quale questa è una legge sacrosanta e praticamente perfetta. Si faccia valere al Consiglio dei Ministri, lui e i suoi compagni della Lega; ne parli ai vertici del lunedì ad Arcore quando i capi della Lega vanno a mangiar risotti ad Arcore. Potevano dirlo in Aula quando si discuteva la legge. Ma non ci dica il ministro quello che da mesi, inascoltati, diciamo, e veniva negato.
«Una stima prudenziale sugli effetti a medio termine della Cirielli, dimostra che potrebbero essere alcune migliaia i detenuti in più che andranno ad affollare le carceri», ammette Castelli: «Una stima precisa non è possibile perché non siamo in grado di prevedere quanti detenuti torneranno a delinquere, ma la stima è nell'ordine delle migliaia». Un detenuto, osserva sempre il ministro, negli Stati Uniti costa 63 dollari al giorno. In Italia 125 euro. Magari sarebbe opportuno essere un po’ più precisi, e cercare di capire come e perché sia questa differenza di “costi”. Ad ogni modo, se ci sono degli sprechi come si potrebbe adombrare dalla dichiarazione del ministro, a chi compete accertare come e perché quello che negli Stati Uniti “costa” 63 dollari in Italia “costa 125 euro? «Se continua così non mi assumo responsabilità per quanto potrà accadere», ha ancora detto Castelli. Proprio no: dell’incancrenirsi di questa situazione, sono direttamente responsabili. Non possono pensare pilatescamente, ora, di lavarsene le mani. Proprio no. Non siamo a “Scherzi a parte”.
«Non siamo a scherzi a parte» bisogna dirlo anche al presidente del Consiglio. Ieri è intervenuto a una manifestazione dei Riformatori Liberali a Roma. Tra le cose dette, che in questa legislatura non è stata approvata una sola legge che abbia arrecato vantaggio personale a lui e ai suoi cari. È uno scherzo? No, Berlusconi era serissimo, e questo suo dire evidentemente si inquadra nella campagna di verità e di smascheramento delle menzogne che a suo dire sarebbero architettate ai suoi danni dai “comunisti”. Falso in bilancio, rogatorie, legittimo sospetto (Cirami), patteggiamento allargato, lodo Schifani, per dirne di alcune tra le più clamorose: invenzioni, menzogne? Lo si dica al corsivista di quel giornale sovversivo e comunista che si chiama Sole 24 Ore, organo di Confindustria: «Norme che per un anno e mezzo sono state difese con ogni mezzo, ma con scarsi argomenti giuridici, solo per interessi processuali contingenti. Tutto tempo sottratto alle buone riforme. Quelle che hanno gambe e fiato per andare lontano». Poi le parole del presidente del Consiglio. Eppure non siamo a “Scherzi a parte”.
C’è poi la riforma elettorale, che si sta discutendo in queste ore al Senato. Non la si vuole considerare una riforma ad personam, concepita e voluta perché in questo modo la maggioranza intende limitare i possibili danni di una sconfitta possibile e forse anche probabile alle prossime elezioni politiche? Riforma discutibile da un punto di vista generale. Odiosa nel caso specifico che sancisce una discriminazione per la Rosa nel pugno, l’unico soggetto politico nuovo che si affaccia sulla scena, e che proprio per questo viene “punita” con l’obbligo di dover raccogliere decine di migliaia di firme autenticate di cittadini sotto le le sue liste. Gli altri partiti no, quest’obbligo non ce l’hanno, e potranno con comodo modellare e definire le candidature fino all’ultimo giorno utile. La Rosa nel pugno invece dovrà chiudere le sue liste con settimane di anticipo, perché altrimenti non avrà il tempo di raccogliere quasi duecentomila firme spalmate su tutto il territorio nazionale, che – beffa nella beffa – potranno essere autenticate solo da notai e cancellieri. Per usare un’immagine calcistica: è come se dieci squadre possano beneficiare di un tempo X per la loro campagna acquisti dei giocatori. All’undicesima squadra – la squadra Calimero evidentemente – questo tempo X non viene riconosciuto, per lei c’è un tempo Y, molto più ridotto rispetto alle altre squadre. Di che ci si lamenta, ha commentato ineffabile un senatore di Forza Italia. Se la Rosa nel pugno sarà l’unica a dover raccogliere le firme, non avrà concorrenti. E dunque ne avrà un vantaggio. Eppure non siamo a “Scherzi a parte”.
Gualtiero Vecellio
(da Notizie Radicali, 1° dicembre 2005)