La protesta dei genitori di Morbegno sull’eventuale giustificazione per far uscire da scuola i propri figli durante l’ora di Religione, ripropone un problema annoso e pernicioso che coinvolge chi opera nella scuola e presiede alla sua organizzazione, chi impartisce le regole, chi deve esprimere l’opzione e lo fa in base alle alternative che la scuola offre ma che non sempre ottempera anche per mancanza di fondi.
La scelta dell’ora di Religione è un problema serio, che invita tutte le componenti che operano nella scuola a riflettere per un’adeguata soluzione.
Una materia che viene lasciata alla libera scelta degli studenti o di chi opera per essi e la cui presenza crea nell’utenza scolastica dissapori e divergenze, perde in parte la sua funzione e viene svilita nel senso più profondo del suo significato se può essere barattata con altre attività. La scelta opzionale non solo non convince, ma si pone agli antipodi del processo educativo.
Ma perché si rinuncia all’ora di Religione? Le risposte potrebbero essere molteplici ma nessuna plausibile al bene dello studente; forse perché non se ne condividono i principi? Sorge il dubbio che tale rinuncia non sia un modo per prendere una boccata d’aria, per studiare ciò che si è tralasciato a casa per altre mansioni, per scegliere di seguire corsi divertenti o perché si dorme un’ora in più o si mangia un’ora prima; scelte opinabili, che non apportano benefici concreti allo studente e che non gli consentono di utilizzare proficuamente il tempo-scuola che gli spetta di diritto come monte-ore in un anno scolastico.
Se l’ora di Religione è stata voluta per legge, bisogna gestirla, in termini didattici, nel contesto educativo, nella forma più adeguata a soddisfare i bisogni dello studente e della classe nella sua globalità e le aspettative dei genitori.
In una società scolastica sempre più caratterizzata dalla presenza di studenti stranieri, si avverte il bisogno di saperne di più in termini di culture e religioni, per capire, confrontarsi e predisporsi al dialogo, alla tolleranza e alla convivenza civile.
Quale migliore lezione di Religione sul piano etico e umano di uno studio a impianto storicistico sulle problematiche che investono la società nella sua diversità? Gli studenti sono solleciti alle novità in termini di curiosità e di informazione. La stessa Religione, posta in relazione con altre religioni e altre culture, potrebbe diventare il crogiuolo di un discorso globale di confronti e di scelte consapevoli; potrebbe interagire in modo propositivo con le altre materie con attività di approfondimento e di ricerca nel campo storico-letterario e artistico-musicale nonché sociologico, per citarne alcune, o con altri percorsi, scelti in relazione all’utenza delle singole classi, agli interessi espressi dagli studenti e sostenute possibilmente da esperti.
Se l’ora di Religione venisse inserita, nel contesto della programmazione didattica, in un rapporto interattivo con le altre discipline, come riflessione sullo stato esistenziale di popoli indigenti, di violenze e sopraffazioni lesive della dignità umana e di tante altre problematiche che investono adulti e bambini, diventerebbe il fulcro di un momento etico eccezionale e di una crescita collettiva, quale dovrebbe essere il senso di ogni religione in seno alla comunità mondiale.
Lo studio delle Religioni, diventerebbe in tal senso, per tutti un efficace strumento educativo per un confronto aperto e civile.
Penso che di fronte a tale proposta, nessun genitore e nessuno studente si negherebbe questa possibilità.
Se soluzioni di questo tipo o altre innovative sono state già adottate in qualche scuola, che siano divulgate, perché è nel confronto e nella comunicazione la crescita dell’impianto scuola; una scuola che può crescere in qualità solo con il contributo di tutti coloro che ne sentono la responsabilità e impiegano in essa forze e capacità.
Vogliamo pensare che sia questa la scuola che si attendono studenti e genitori: una scuola che sia garante di un’educazione a 360°.
Anna Lanzetta