Cartesio sognava di vivere in una città progettata e costruita da un unico ingegnere / architetto, sapientemente guidato dall’acume di chiunque avesse in mano il potere politico. Figlio del suo tempo, il grande filosofo immaginava e teorizzava la città del principe.
Mi è venuto in mente Cartesio proprio passeggiando per Parigi e leggendo il bel libro di Stefano Moroni, La città del liberalismo attivo.
Mi è venuto in mente perché, guardando Londra, Berlino, Parigi (e immagino anche Amsterdam o Barcellona), si coglie un’idea comune di città.
Luogo di incontro e di scambio; di gestione razionale della casualità; di funzionalità al servizio della dimensione umana.
Poi penso a Milano.
In realtà, spesso, mi pare che erroneamente la si identifichi con il simbolo dello sviluppo industriale capitalista: emblema del circuito denaro–merce–denaro.
Io direi, piuttosto, che, in una perversa degenerazione del pensiero cartesiano, Milano rappresenti, ancora oggi, proprio la concretizzazione del concetto di Città del Principe.
L’unico problema è che non siamo più in tempi di monarchie illuminate: ci vantiamo di incarnare la modernità della democrazia occidentale, con processi decisionali sempre più inclusivi. Le città, in Europa, hanno seguito lo sviluppo del pensiero politico avvicinandosi, sempre più, all’ideale di apertura, di contaminazione, di un centro che si irradia lontano senza mai perdere di vista la propria identità.
Milano, a mio modo di vedere, si sta perdendo e sta perdendo tutto questo: sempre più città del Principe, senza dover fare necessariamente il suo nome, essa incarna l’ideale e i sogni dell’uomo che la possiede e che ne governa i nuclei vitali.
L’edilizia, il potere politico, i mezzi di comunicazione, le leve finanziarie...
Ad apertura si oppone chiusura, come in un giardino privato che esclude chi è fuori dal recinto (Paolo Sarpi? I Rom?); alla contaminazione si oppone messaggio omologante (happy hour in Corso Como?); alla fantasia si impone lo strapotere dell’immagine seriale (Mura Spagnole invase da marchi ed icone, neon che campeggiano instancabili sulla facciata del Duomo?).
Le potenzialità enormi di questa città sono come strozzate in un tombino dove gli scarichi della brodaglia culturale televisiva inondano la superficie. E tanti fiori isolati si deprimono in una nevrotica frustrazione.
Tuttavia, coraggio. Sono certo che non si debba disperare: questa città è già stata capace di ricostruirsi dalle sue ceneri più volte.
Da tanto concime è possibile progettare insieme un nuovo modo di intendere la comunità. Perché la città del principe possa diventare la Principessa della Città.
Luciano Canova