Dopo la pausa estiva, riprendo a dialogare di Arte, humus fecondo per lo spirito e il pensiero, con gli studenti e i docenti e con i lettori-navigatori di TELLUSfolio.
Quale momento più ricco di sapere per gli studenti che si accingono a iniziare l’anno scolastico di una mostra che offre la possibilità di coniugare Arte, Storia e Letteratura.
La mostra Vincenzo Cabianca e la civiltà dei Macchiaioli, allestita a Villa Bardini, recentemente restaurata e riaperta al pubblico, grazie al contributo dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze, ripercorre il viaggio artistico di Cabianca in uno scenario in cui l’arte interagisce con la natura stessa del luogo, solare e aprico.
Le opere in mostra provengono dalla Galleria d’arte Moderna di Palazzo Pitti, dalla Galleria d’arte Moderna di Roma e da collezioni private.
È dal 1927 che non veniva dedicata una retrospettiva al pittore veronese.
La mostra, a cura di Francesca Dini, si compone di quasi cento dipinti dell’artista, di cui alcuni inediti, come Vendemmia in Toscana (o L’uva malata) del 1854, di capolavori come Il mattino e di altri non più visti come Marmi a Carrara Marina e di circa venticinque opere di altri artisti che nell’insieme, offrono l’opportunità di approfondire la conoscenza del movimento dei Macchiaioli e consentono una loro comparazione con Cabianca, tra questi: Telemaco Signorini, Le acquaiole di La Spezia, 1860 circa e Giovani pescatori, 1860 ca.; Silvestro Lega, Motivo dal vero presso Firenze (o Orti a Piagentina), 1864ca.; Cristiano Banti, Riunione di contadine, 1861; Nino Costa, Giardino fuori Porta San Frediano, 1860-1865; e Odoardo Borrani, Vada veduta da Castiglioncello, 1864 circa.
Dopo i primi studi condotti a Verona, dove era nato nel 1827, Cabianca si trasferisce a Venezia e studia all’Accademia, ma nuove pulsioni lo agitano e il desiderio irrefrenabile di sperimentare nuovi linguaggi espressivi, lo porta a spostarsi in vari luoghi.
Nel 1853 si trasferisce a Firenze, allora animata da nuovi fermenti artistici e culturali; frequenta il Caffè dell’Onore e dal 1855 il Caffè Michelangelo; entra in contatto con Signorini e con Borrani e incomincia a dipingere dal vero paesaggi della campagna toscana, affascinato dagli effetti della luce.
La ricerca di luoghi in cui la luce sia elemento ispiratore per la sua arte lo porta a spostarsi di continuo e il viaggio diventa per lui ricerca di luce e la luce l’elemento essenziale per rappresentare il reale.
La mostra ricostruisce le varie fasi della sua ricerca artistica: da una pittura ancora di stampo accademico a una pittura in cui a prevalere è la sua stessa soggettività.
L’influenza sulla sua arte dei fratelli Induno, si allontana gradualmente mentre si passa dalla prima alla seconda sala e si evidenzia il suo legame con la poetica del “vero”; mutata è la condizione storica nell’ambito del Realismo e con essa la società. Soggetti di indagine diventano il proletariato urbano, la piccola e media borghesia, gli ambienti rurali, la vita quotidiana, e l’arte, superati i canoni della pittura accademica, documenta la realtà, usando nuovi strumenti espressivi, quali la luce e il colore.
Sono gli ambienti esterni ad affascinare l’artista che sperimenta l’uso della “macchia” per rappresentare i paesaggi, le marine, la campagna, i contadini, i lavoratori e utilizza l’effetto della luce per definirne o evidenziarne i particolari: Ritorno dai campi, dipinto del 1862 che apre la mostra, ci immerge in un tratto della campagna toscana; la macchia definisce le cose, l’ambiente e i personaggi con un gioco cromatico; l’ombra dell’albero nudo, indica la posizione del sole e scandisce l’ora del tema indicato.
La luce è per Cabianca elemento cardine per rappresentare la realtà e per documentare momenti di vita, come si può notare già nel dipinto L’abbandonata del 1858 e nel quadro I novellieri toscani del secolo XIV (1860), presentato nel 1861 alla Promotrice fiorentina, ancora di soggetto storico-accademico.
Nel 1861 Cabianca si reca con Signorini prima a La Spezia e poi a Parigi, per condurre nuove ricerche sugli effetti della luce e per conoscere gli artisti che avevano dato vita tra il 1830 e il 1850 alla Scuola di Barbizon (villaggio della Francia settentrionale, presso Fontainebleau), artisti paesaggisti accomunati dal desiderio di rendere i particolari della natura che più sentivano e tra questi: J. F. Millet (1814-74), Théodore Rousseau (1812-67), C. Corot (1796-1875).
La ricerca di luce è per Cabianca anche ricerca di sé stesso, un bisogno interiore, lo specchio della sua intima realtà che si riflette nelle sue opere, in un rapporto inscindibile tra arte e vita. La mostra evidenzia questa sua ricerca che egli esplicita con la scelta dei soggetti, con la rappresentazione del dato naturale, che lo stacca sempre più dai Macchiaioli, proiettandolo verso il nuovo sentire dell’arte novecentesca.
Il connubio tra natura e arte è sorprendente in questo luogo; l’occhio si sposta dai quadri agli scenari naturali in una comparazione tra arte e natura.
La mostra ha il pregio, nel silenzio del luogo, di suscitare in noi emozioni in una simbiosi con i luoghi rappresentati: Lungomare,1860; Avanzi della chiesa di San Pietro a Portovenere, 1860; Contadina a Montemurlo, 1861; Castiglion Fiorentino, 1862; Canale della Maremma Toscana,1862, Strada campestre (Valdinievole), 1863; Marmi a Carrara Marina, 1861; Cipressi al Poggio Imperiale, 1863; La passeggiata (o Il padre e la sorella del pittore),1867; Effetto di sole, 1868-1872. Vendemmia in Toscana (o L’uva malata) del 1854.
Le monachine (o il mattino) del 1861 ha nell’insieme una resa efficace, grazie all’effetto della luce: il cielo è limpido, l’aria è tersa, l’atmosfera solare. Il muro delimita gli ambienti e la linea azzurra del mare crea il senso dell’infinito. L’impressione che se ne ricava è di staticità: si percepisce uno stato di contemplazione, sguardi protesi all’infinito, un silenzio che avvolge le figure immobili e la forte luce che proietta ombre a indicare l’ora del giorno.
Il tema delle monachine come quello dei chiostri ritornerà spesso nelle opere di Cabianca quali: I segreti del chiostro, 1861, Le monachine del 1863, Il portico di San Zeno a Verona, 1867 quasi a sottintendere una sorta di spiritualità che diventerà sempre più evidente.
Nel 1870, Cabianca si trasferisce a Roma; le grandi città, come Roma e Parigi lo affascinano ma non rispondono alle sue attese; sono i luoghi storici del territorio che circondano Roma a fornirgli una visione delle cose più intima come Strada a Palestrina.
Il suo trasferimento a Parma nel 1863, i suoi ripetuti soggiorni a Castiglioncello, il suo soggiorno a Roma nel 1869; dal 1870 al 1876 a Venezia, di nuovo a Castiglioncello, sulla Costa Amalfitana, a Ischia e poi in Inghilterra indicano un animo irrequieto alla ricerca di un’elevazione poetica della sua arte, un lirismo che colpisce in Nevi Romane del 1893 e che esplode nel magnifico Neve in Ciociaria, dove la tecnica dell’acquerello raggiunge una resa eccezionale.
Cabianca utilizzava l’acquerello anche su carta; pennellata dietro pennellata per una perfetta resa, incurante di strappi che rattoppava pur di ottenere l’effetto desiderato: Le monachine, 1863, Canale della Madonna dell’orto a Venezia del 1889, Nell’isola di Murano, 1889 circa, ne testimoniano l’abilità.
Nel 1902 il pittore moriva inabile, per una paralisi che lo aveva colpito nel 1893 ma che fino all’ultimo non gli aveva impedito di dipingere per rappresentare ciò che vedeva e ciò che sentiva: Mattutino del 1901, acquerello su cartone, esprime il punto di arrivo della sua ricerca con la resa di elementi essenziali: l’acquerello gli consente di ottenere efficaci cromie. La linea di demarcazione chiaroscurale, pone in evidenza la Croce simbolo graduale del passaggio dal buio alla luce verso l’infinito eterno, rappresentato dall’azzurro del mare.
Il pittore della malinconia potremmo definire questo artista in cui è palese l’identità tra arte e vita.
Si resta esclusi dal suo mondo poetico, dalla sua ricerca di luce che non ci coinvolge perché appartiene o al dato oggettivo stesso o alla sua spiritualità; colpiscono l’immobilismo e la staticità degli elementi; non voci, non rumori ma un silenzio e un isolamento che avvolge le cose e i personaggi; sguardi che non s’incontrano e non comunicano, manichini che non interagiscono con l’ambiente circostante. Cabianca dipinge una realtà pregna di soggettività; vorrebbe un mondo diverso: il ritorno ai valori ancestrali, alla famiglia, alla quotidianità, alla campagna, al riscatto degli umili ma non fattibile per contingenze storiche.
L’interesse di Cabianca per la luce assume ben altri significati in una ricerca che, partendo dal dato storico, sfocia nell’elemento reale per diventare viaggio dell’anima.
L’artista, in genere, è la voce più autentica di un popolo ed è l’espressione di un cambiamento epocale, che traduce con immediatezza nelle sue opere scegliendo tecniche ed elementi espressivi più idonei a rappresentare la realtà o la sua idea, proprio come fa il poeta, lo scrittore o il musicista nella scelta della parola, del verso, della nota o del genere. Una scelta non casuale ma dettata dal bisogno di comunicare concretamente un messaggio o il proprio pensiero; Cabianca sceglie l’elemento primo della vita: la luce, intesa come bisogno di conoscenza: Chiesa a Forio d’Ischia del 1900 ne dà negli elementi connotativi una lettura precisa nel passaggio dell’uomo dalla vita verso la spiritualità.
Cabianca si annovera tra il gruppo dei Macchiaioli ma se ne distacca per una visione più intima e soggettiva della realtà che offre con le sue opere, riflessi delle sue aspirazioni.
Visitare la mostra di Cabianca vuol dire scoprire un artista, apparentemente semplice ma complesso nella conoscenza che ci fa riflettere e comparare, e ci invita a esprimere il nostro senso critico condivisibile o non.
I Macchiaioli tra Storia e Letteratura
“Macchiaioli è il nome di un gruppo di artisti che nella seconda metà dell’Ottocento diedero vita a una delle più importanti manifestazioni pittoriche del verismo italiano, che costituisce il maggiore sforzo di adeguamento della tradizione italiana al rinnovamento artistico europeo. Tale movimento si sviluppò prevalentemente in Toscana tra il 1850 e il 1870 a opera di pittori come Cristiano Banti, Serafino De Tivoli, Telemaco Signorini, Silvestro Lega, Adriano Cecioni, Giovanni Fattori che legano l’arte al territorio e del critico Diego Martelli, ma deve intendersi come un filone particolare del grande movimento unitario verista risorgimentale in cui confluirono artisti di tutta Italia, dal romano Nino Costa al ferrarese Giovanni Boldini, al veneto Vincenzo Cabianca al napoletano Giuseppe Abbati, al pisano Odoardo Borrani, al pesarese Vito D’Ancona, a Giuseppe De Nittis di Barletta, al fiorentino Raffaello Sernesi, a Federico Zandomeneghi,.
I macchiaioli (titolo che gli fu attribuito per caso e in senso ironico da un critico della Gazzetta del popolo nel 1862 e che Telemaco Signorini accolse come identità di gruppo) che si riunivano a discutere al Caffè Michelangelo sito in via Larga, oggi via Cavour a Firenze, propugnavano un antiaccademico rifiuto del disegno e della forma per una pittura che riproducesse «l’impressione del vero» (Fattori).
Alla base del rinnovamento era la tecnica rivoluzionaria della “macchia”, basata sui forti contrasti di ombra e luce ottenuti non solo con il disegno e il chiaroscuro, ma anche con l’accostamento di toni diversi di colore.
Le tematiche si rinnovavano; si abbandonavano i quadri storici e mitologici, si rivolgeva maggiore attenzione al sociale e si traevano spunti dal vero. (Grande enciclopedia, Istituto Geografico De Agostini- Volume XII)
A porre le basi del movimento furono però due artisti napoletani: Domenico Morelli e Saverio Altamura, che suscitarono interesse per l’effetto della luce-colore: la poetica dei Macchiaioli è verista e sostiene che l’immagine del vero è data da un contrasto di macchie.
I Macchiaioli cercano una pittura che distingue le varie forme in base al contrasto di luce o di colore. Ottengono così una pittura più vera che, unita ai temi della vita quotidiana, caratterizza il movimento stesso come realista.
Dal 1862 al 1871, i Macchiaioli vissero il periodo di massima creatività; ritraevano dal vero gli aspetti della vita quotidiana, i pascoli, la vita nei campi e nei borghi, le marine, gli ambienti urbani, gli interni, gli edifici monumentali, i soggetti storici e militari, e si dedicavano al ritratto; ritraevano dal vero luoghi conosciuti: la campagna di Staggia e della Maremma; i luoghi intorno a Firenze: Piagentina, Montemurlo, Settignano, Montelupo Fiorentino; la costa di Livorno, S. Marcello Pistoiese e Piantravigne, (in provincia di Arezzo); La Spezia e le Cinqueterre:
Giovanni Fattori, Buoi al carro; Cristiano Banti, Riunione di contadine; Telemaco Signorini, Piagentina; Fattori, La rotonda di Palmieri; Giuseppe Abbati, Campagna di Castiglioncello e Veduta di Castiglioncello; Telemaco Signorini, Tetti di Riomaggiore.
Pittura nella poesia di Sirio Vivaldi: “In Riomaggiore”
Vigneti terrazzati, delle Cinque Terre,/ di Riomaggiore,/ battuti dal Libeccio, riarsi dal sole./ Vigneti dei Magnati, della Denega, di Serra, sassi/ dei muretti/ a secco edificati da uomini in equilibrio come/ capretti./ Terra sassosa impastata di sudore antico sparso/ per amore e non per castigo.
L’ esperienza artistica dei Macchiaioli si coniugava con il loro impegno politico; parteciparono attivamente alle lotte per l’unità d’Italia, nelle campagne militari del 1848 e del 1859 e ne documentarono, nelle loro opere, alcuni momenti: Silvestro Lega, Bersaglieri che conducono i prigionieri.
Il tema militaristico ritorna soprattutto nella pittura di Giovanni Fattori, l’illustratore principale dell’unificazione risorgimentale, Il campo italiano dopo la battaglia di Magenta, 1862.
Giuseppe Abbati fu un fervente patriota, perse l’occhio destro nella campagna garibaldina del 1860 e fu fatto prigioniero dagli austriaci nel 1866.
Vincenzo Cabianca partecipò ai moti del 1848 in difesa di Bologna e fatto prigioniero, subì il carcere.
Raffaello Sernesi, garibaldino, cadde durante la campagna del 1866.
Presente in alcune opere è il tricolore italiano: La prima bandiera italiana portata in Firenze nel 1859, di Saverio Altamura e Il 26 aprile 1859 in Firenze di Odoardo Borrani, che commemora il giorno precedente la partenza da Firenze del granduca Leopoldo II, costretto dal popolo a lasciare la Toscana.
Giuseppe Mazzini, da esperto critico d’arte sosteneva l’ideale di un’arte unitaria e nazionale, con la quale si potesse affermare il valore dell’unità della nazione italiana. Egli apprezzava molto le opere del Romanticismo ma rivolse il suo interesse anche ai Macchiaioli, poiché le loro opere rappresentavano realisticamente, la vita quotidiana del popolo.
Nei quadri realizzati intorno al 1859, si scorgono a volte accostamenti di bianco, rosso e verde, segnali di fervore patriottico che unisce gli italiani oppressi, è il caso di Contadino a dorso di somaro e erbaiola, 1859 ca. di Luigi Bechi
Stretto è il connubio tra arte e letteratura; esso allarga l’orizzonte di conoscenza e sposta l’occhio indagatore sugli elementi connotativi che assumono un significato preciso nella mente dell’artista. e che tale si traducono nel verso del poeta o di chi ne esprime con la parola nessi e significati.
La rappresentazione dal vero della vita quotidiana: la vita semplice dei campi e gli ambienti rurali, considerati puri e genuini trovava il corrispettivo in Letteratura;
da Miricae di Giovanni Pascoli:
Arano:
«Al campo, dove roggio nel filare
qualche pampano brilla, e dalle fratte
sembra la nebbia mattinal fumare,
arano: a lente grida, uno le lente
vacche spinge; altri semina; un ribatte
le porche con sua marra paziente;
perché il passero saputo in cor già gode,
e il tutto spia dai rami irti del moro;
e il pettirosso: nelle siepi s’ode
il suo sottil tintinno come d’oro».
Poesia e Pittura si fondono nel connubio Pascoli-Fattori
Giosuè Carducci, “Il bove”
T’amo pio bove; e mite un sentimento
Di vigore e di pace al cor m’infondi,
O che solenne come un monumento
Tu guardi i campi liberi e fecondi
O che al gioco inchinandoti contento
L’agil opra de l’uom grave secondi:
Ei t’esorta e ti punge, e tu co’l lento
Giro de’ pazienti occhi rispondi.
E del grave occhio glauco entro l’austera
Dolcezza si rispecchia ampio e quieto
Il divino del pian silenzio verde.
G. Carducci, “Traversando la Maremma toscana”
Dolce paese, onde portai conforme
L’abito fiero e lo sdegnoso canto
E il petto ov’odio e amor mai non s’addorme,
pur ti riveggo e il cuor mi balza tanto.
Pace dicono al cuor le tue colline
Con le nebbie sfumanti e il verde piano
Ridente ne le piogge mattutine.
In relazione Giovanni Fattori, Buoi al carro, 1870.
Opera dipinta durante la permanenza dell’artista a Castiglioncello: buoi in una chiara mattina assolata, tipicamente maremmana.
L’esperienza dei Macchiaioli maturò nell’ambito della corrente del Realismo, che mirava ad una rappresentazione della realtà, scevra da ogni intervento soggettivo. La corrente, nata in Francia per il mutarsi della situazione storica che rendeva protagoniste le classi sociali più umili, si diffuse in molti paesi europei e in Italia assunse un carattere regionale col nome di Verismo.
Il legame dei Macchiaioli con il verismo toscano è rappresentato da Mario Pratesi (Santa Fiora, 1842-Firenze,1921), legato alla tradizione risorgimentale e all’ambiente toscano, di cui studia, in alcune opere, il mondo contadino, “Il mondo di Dolcetta” e “L’eredità” e da Renato Fucini (Monterotondo Marittimo, Grosseto,1843-Empoli,1921) con la raccolta di novelle “Le Veglie di Neri: paesi e figure della campagna toscana”, 1884, ambientate prevalentemente in Maremma e le raccolte “All’aria aperta” e “Nella campagna toscana”; suoi motivi prediletti furono: la vita agreste della Maremma e i borghi dell’Appennino pistoiese
I suoi personaggi bizzarri, divertenti o patetici, sono ambientati in un paesaggio arioso ed essenziale che ricorda quello dei contemporanei pittori macchiaioli, a mo’ di esempio, si riporta un brano tratto
da “ALBA”:
«Il primo sole del novembre si affaccia malinconico alle ultime cime della montagna, già biancheggianti per la neve caduta di fresco e, mandando i suoi languidi raggi attraverso ai rami brulli dei castagneti, tinge di rosa la croce di ferro del campanile e l’asta della bandiera fitta sulla vecchia torre del castello.
Qualche nuvola bianca sta fissa sui monti più lontani, uno strato bigio di nebbia allaga la pianura, e il villaggio dorme ancora sotto un freddo e splendido sereno d’autunno.
I cacciatori sono già tutti partiti, dopo che Doro ha sonato la campana dell’alba, vi è stato allora un breve segno di vita, qualche latrato, qualche fischio, qualche colpo alle porte per destare i compagni addormentati, eppoi deserto e silenzio turbato soltanto ad intervalli dal fruscio delle foglie secche dei platani della piazzetta, che bisbigliano lievi lievi, menate in giro sul lastrico da radi sbuffi di tramontana».
R. Fucini, Da Le veglie di Neri
Ogni mostra supera la semplice connotazione espositiva e diventa un ottimo strumento educativo.
Alcune immagini della mostra:
1-Giovanni Boldini, Ritratto di Vincenzo Cabianca,1865 circa
2-V. Cabianca, Ritorno dai campi, 1862
3-V. Cabianca, Le monachine (il mattino), 1863
4- V. Cabianca, Nevi romane, 1893
5-V. Cabianca, La chiesa di Forio d’Ischia, 1900
6-V. Cabianca, Mattutino, 1901
P.s.
Il movimento dei Macchiaioli, importante per l’arte e la cultura italiana e toscana in particolare, è stato molto rivalutato negli ultimi anni, grazie al proliferare di mostre sul territorio che gli stanno dando la giusta collocazione.
Per saperne di più, si suggerisce di visitare la Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti che contiene una vasta esposizione dei Macchiaioli nell’ambito di un ampio e significativo panorama della pittura toscana dell’Otto-Novecento.
Cabianca e la civiltà dei Macchiaioli
12 luglio/14 ottobre 2007
Firenze,Villa Bardini,
Giardino Bardini
Costa San Giorgio, 4
Catalogo
Pagliai/Polistampa
Info mostra e prenotazioni
Firenze Musei 055 2654321
www.mostracabianca.it
Orari mostra
Settembre e ottobre 8:15-18:30
Chiusura:primo e ultimo lunedì del mese
L’ingresso alla mostra è gratuito da Costa San Giorgio,4