Diritti animali. Vogliamo parlarne? Ebbene sì, facciamolo in un partito come il nostro che nel corso della sua storia ha sposato le cause più impensabili non per vezzo o per il gusto di andare ostinatamente controcorrente ma per scelta progettuale.
A molti, purtroppo, soprattutto negli ultimi anni, sono sfuggiti nessi e intrecci che invece sono stati e devono tornare ad essere peculiari di una visione politica alternativa.
E' innegabile che il radicalismo, per come è stato impostato ed è incarnato da Marco Pannella, costituisca una forma di umanesimo allargato ben radicato nella nonviolenza.
Umanesimo allargato significa com-prendere natura e altri esseri senzienti non nei termini di un antropocentrismo nefasto, violento, dominante, distruttivo, cui va imputato lo sconvolgimento dell'ecosistema, ma attraverso un punto di svolta biocentrico.
Un conto è concepire l'uomo come dispotico centro, secondo un filo che da Aristotele attraverso la teologia scolastica si snoda fino alle esasperazioni positivistiche transitando per il riduzionismo cartesiano (umiliante, tra l'altro, per l'uomo stesso ridotto strumentalmente a mera razionalità), un altro inquadrarlo, invece, come parte interrelata ad una complessità vivente.
Nel primo caso viene meno qualsiasi criterio di responsabilità e attenzione per l'altro, poiché è chiaro che se l'uomo e soltanto lui è soggetto depositario di diritti ogni scempio commesso nei confronti del pianeta trova giustificazione e motivazione in un opportunistico utilitarismo.
Nel secondo, invece, c'è la consapevolezza della com-presenza e dell'arricchimento proveniente in natura da ogni ordine e grado.
La differenza non è di poco conto e su di essa fa perno la legittimazione o meno dell'inutile barbarie della vivisezione, della sperimentazione riguardante sia le industrie farmaceutiche che quelle cosmetiche, della diffusione degli allevamenti intensivi di animali destinati al macello e alla produzione alimentare nonché di quelli utilizzati come pellicce o pellame.
Non si possono non condividere le affermazioni di Theodor Adorno, secondo cui “Auschwitz inizia ogni volta che qualcuno guarda a un mattatoio e pensa: sono soltanto animali”, e di Isaac Bashevis Siger, premio Nobel nel 1978, per il quale, alludendo ad una similitudine tra campi di concentramento nazisti e impianti industriali di allevamento e macellazione, “Treblinka, purtroppo, dura in eterno”.
Se si è nonviolenti, se ci si richiama alla nonviolenza come metodo e come scelta di vita, se, appunto, da nonviolenti si è convinti che il fine è sempre prefigurato dal mezzo adoperato per il suo conseguimento, non è ammissibile che si protragga tra di noi un tabù sui diritti animali così come risulta assurdo, insensato, non assumere la questione animale all'interno di un cartello di proposte riguardanti l'ambiente e, perché no, l'economia.
Ambientalismo e animalismo non solo non si escludono ma sono aspetti di un'unica visione, dello stesso approccio all'esistente. Anche se forse certi ambientalisti nostrani si dichiarano amici o difensori degli animali solo in quanto introdotti all'interno della catena alimentare, per cui, se scomparissero, verrebbe danneggiato anche l'uomo. Questa visione, oltre a non riconoscere agli animali la titolarità di alcuni diritti fondamentali si dimostra anche assolutamente specista ed antropocentrica perché ancora una volta gli animali sono considerati solamente come servi dell'animale-uomo.
Ci si chiede, infatti, come si possa guardare seriamente all'ecosistema nella sua globalità escludendone uno dei fattori più importanti.
Certo, tutto è possibile. Ma allora si dica chiaramente che si è ispirati da parzialità per timore di misurarsi con la biodiversità, di accogliere le sue sfide.
Se l'uomo è, come è, parte di un tutto, se egli è, come è, olisticamente e darwinisticamente interdipendente con gli elementi naturali e la diversità della specie, non si capisce perché il suo agire debba essere svincolato dalla consapevolezza e dalla cura degli altri esseri.
Nel radicalismo la nonviolenza non è un accessorio. L'umanesimo allargato è umanesimo radicale perché radicalmente affranca l'uomo dalla riduzione dualistica, tipica del cattolicesimo come del cartesianesimo, per inquadrarlo in una prospettiva di più ampio respiro in cui limite e debolezza prevalgono su arroganza e prevaricazione. Chiediamo che quanto prima si lavori ad un cartello di proposte ecosofiche in cui finalmente si consideri con maturità e compiutezza la questione animale sotto molteplici angolazioni e implicazioni. La nonviolenza, lo ripetiamo, non è un ornamento ma la base su cui costruire un presente e un futuro possibili.
Francesco Pullia e Alessandro Rosasco
(da Notizie radicali, 11 settembre 2007)