Questo Prete ha qualcosa da dirci, parla direttamente alle nostre coscienze e faremmo bene ad ascoltarlo con attenzione. Io ho potuto farlo attraverso Radio Radicale che ha trasmesso la conferenza stampa di Don Sante, passato alla Santa Inquisizione cattolica e mediatica perché reo di amare una donna e, forse, di aver concepito un figlio con essa o di esserne semplicemente padre putativo.
La storia di quest’uomo mi incuriosisce, non tanto per il coraggio di uscire allo scoperto e affrontare le eventuali conseguenze del suo amore e di quel fuoco sacro che da sempre abita il suo animo, evidentemente un po’ ribelle. Come egli stesso ci confessa, Don Sante è “un provocatore”. Mi convince e appassiona, non per il gran parlare che se ne fa o per i retroscena eventuali da svelare, bensì per la lucidità, la metodologia scientifica e la chiarezza che si scorgono nelle parole di quest’uomo.
Alla conferenza stampa tenutasi a Monterosso in provincia di Padova, paese del chiacchieratissimo prete, tutti i giornalisti in sala, appiatti alla morbosità clericale e mediatica, erano interessati a sapere se Don Sante fosse casto o meno, se il figlio fosse suo, se non fosse quasi quasi come le gemelle di Garlasco, se non stesse strumentalizzando se stesso e il suo caso per approdare magari all’isola dei Famosi. Nessuno si è soffermato sulle poche cose cristalline che egli ha detto, di gran lunga più importanti del bailamme mediatico e della funzionalità o meno del pene di quel prete. Perché quel prete, signori, si è denudato davanti a noi tutti, seguendo il più bell’esempio di San Francesco. Quel prete ha messo un dito in un occhio a Milingo e pure al Papa, e non nella piaga, perché egli crede, e credere non significa non dubitare.
C’è una bella frase che appartiene a Bertold Brecht nella sua Lode del dubbio, che dice: «Tu, tu che sei una guida non dimenticare che tale sei perché hai dubitato delle guide. E dunque a chi è guidato permetti il dubbio!». Quel prete ha tirato fuori Sant’Agostino, l’amore, il vivere e l’impegno. Don Sante ha chiesto perché i preti come pure le suore debbano nascondere il proprio corpo, i propri attributi sessuali, come fossero una vergogna, una vergogna ritenuta necessaria e obbligatoria per essere più vicini e addirittura degni di accogliere il divino: non fu forse Gesù Cristo il primo ad essere nudo o quasi sulla croce e continua ad essere lì a ricordarci come il corpo sia importante, la sofferenza, il mettersi a nudo, dopo duemila anni? Pensiamo ancora a Maria Maddalena e a quando Gesù la scagiona dal suo essere pubblicamente una prostituta per ridarle la dignità che le appartiene, cioè la dignità dell’essere umano.
Don Sante mette in discussione la Chiesa che si spinge con un’ostinazione quasi perversa verso l’autodistruzione, continuando a vivere e ad imporre il conflitto tra spirito e corpo, tra vivere, vissuto e fede. Quel prete è un uomo prima di tutto e da uomo, anche di scienza, chiede, pone domande cui nessuno al momento risponde e che la stampa non coglie, perché egli ama le scienze e la statistica e la matematica. Ma a nessuno frega nulla che a un prete piaccia la matematica e la statistica, mentre a me interessa molto, perché si capisce dal metodo che egli usa per spiegarci delle cose o meglio per farci porre delle domande, e perché no, forse insinuarle fino all’orecchio di Papa Benedetto XVI.
That man, God, what a man! È un uomo che si chiede perché la Chiesa Cattolica si stia privando delle sue migliori risorse e stia utilizzando i più rigidi e frigidi tra i propri fedeli e discepoli, quelli meno umani, al contrario di quanto la stessa fede cattolica professa, crede, visti gli esempi di cui andiamo fieri – almeno da quanto ci raccontano – e di cui ci nutriamo. Tutti i santi, i più riconosciuti, hanno vite terribilmente umane e arrivano a capire, percepire il divino e a portarlo fra gli uomini proprio perché sono uomini che non rinunciano all’amore, al prossimo. Perché quel prossimo lo toccano, lo stringono, con il prossimo condividono qualcosa.
Abbiamo recentemente scorto proprio sulle pagine dei quotidiani il grande peso e vuoto che abitava nell’anima di Madre Teresa di Calcutta, colei che è unanimemente riconosciuta come la matita del signore. È stato io credo un gesto responsabile quello di rendere note le lettere di Maria Teresa di Calcutta a tutti, fedeli e non, per rendere più umano e comprendere l’animo e la fede di una piccola grande donna. Perché non proseguire su questo esempio?
Quel prete usa l’esperienza, il metodo empirico e pone domande. Perché, lui che sa e ha visto, deve lasciare che la Chiesa scelga i seminaristi che si dimostrano più rigidi, e se magari vedono qualcuno tra gli aspiranti preti parlare con una donna o comportarsi in modo socievole, lo rimandano dritto dritto in seminario? Forse non ha imparato bene la lezione? E, di grazia, quale sarebbe la lezione?
That man si nutre di scienza e coscienza ed è in grado di superare questa grave ingiustizia che è l’idiosincrasia tra corpo e spirito, tra scegliere e imporre, sa sintetizzare il conoscere per deliberare meglio di molti filosofi, politici, gente comune. Lo fa con linguaggio semplice e ci lancia una sfida. Speriamo che continui, anche se sarebbe forse troppo chiedere a quel semplice uomo di essere un eroe. Questo prete usa il dubbio, come il migliore dei cristiani. Ma forse, ancora oggi esser cristiano è lontano centinaia di anni dall’esser cattolico, quasi quanto l’abito dei preti è distante dai poveri stracci e dalla fisicità di Gesù Cristo.
Valeria Manieri
(da Notizie radicali, 04/09/2007)