Delle prossime liberalizzazioni se ne sente parlare con frequenza, specialmente in un periodo come questo dove, quasi alla ripresa dei lavori parlamentari, i politici di governo e non si alternano ai vari palchi delle feste di partito. Il quadro, dal nostro osservatorio fatto di concretezza e “piedi per terra”, è abbastanza fumoso e, viste le esperienze precedenti, ci sentiamo di dare alcune indicazioni al ministro Pierluigi Bersani.
Per quanto riguarda le urgenze, ne mettiamo solo una: l'approvazione dell'azione giudiziaria collettiva, quella class action che, per il fatto stesso di esistere (non come soprammobile del comò degli industriali, così come paventato da alcune proposte), rappresenterebbe un deterrente contro le numerosissime azioni illegali e truffaldine che i fornitori di servizi di largo consumo (telefonia in primis) perpetuano nei confronti dei consumatori.
Il metodo, invece, è il cardine di tutto.
Le difficoltà maggiori delle precedenti tornate sono state che all'annuncio non c'è stato seguito o –peggio– è accaduto il contrario (la vicenda dei taxisti grida vendetta). Calibrare, quindi, dove e su cosa fare proposte, che abbiano non solo un valore ideale ma una possibilità concreta di divenire leggi e regole mandando a casa monopoli, oligopoli e corporazioni.
Ci rendiamo conto che non è facile, ma indirizzare i propri sforzi su poche cose fattibili, serve a tutti e spianerebbe meglio la strada alle prossime liberalizzazioni. Il ministro Bersani probabilmente ha intuito non poche difficoltà e, per questo, ha paventato anche l'arma del referendum per superare l'immobilismo e le croste del Parlamento. Crediamo sia sbagliato e populista: il referendum previsto dalle attuali leggi non è agibile se non si è supportati da grandi mobilitazioni e dai partiti che contano in Parlamento. Anche senza entrare nel merito dei limiti imposti dal fatto che si tratta di referendum abrogativi e che alcune materie ne sono escluse, fintanto che i referendum saranno considerati validi solo se partecipa al voto il 50% più uno degli aventi diritto, questi strumenti di democrazia diretta sono solo in mano a chi ha già il potere (di governo o di opposizione poco importa) e può controllare/manipolare i flussi di partecipazione. Paesi in cui i referendum funzionano e contribuiscono al processo legislativo (Svizzera e California, per esempio) non hanno questi quorum.
La centralità del Parlamento, allo stato, non è quindi in discussione e non possiamo che adeguarci. Il ministro, selezionate le tematiche realmente suscettibili di avere nuove regole liberalizzatrici, potrebbe stimolare un ampio confronto in tutto il Paese, anche sui media, coinvolgendo tutti i soggetti interessati, perché diano il loro apporto di idee e consigli per aiutare il Parlamento ad essere più veloce e concreto. Questo confronto non dovrebbe essere affidato solo all'estemporaneità di questa o quell'altra festa di partito o degli interessi delle categorie coinvolte, ma potrebbe essere proprio pianificato, così come si fa per una campagna pubblicitaria dove, però, non sarebbe sufficiente il messaggio dal committente all'utente passivo, ma è necessaria l'interattività tra i due soggetti. Uno spot sulla televisione, per esempio, non dovrebbe essere fine a se stesso ma dovrebbe chiamare alla partecipazione, a dire la propria ad un interlocutore, sia in un luogo fisico che virtuale.
Vincenzo Donvito, presidente Aduc