Il preannuncio di nuove linee guida per l'applicazione della legge 194 con particolare riferimento all'aborto terapeutico e alla diagnosi prenatale, saranno una sorta di test per misurare la laicità del ministero della Salute. Sarà in grado il nostro ministero di reggere all'assalto del Vaticano e della Chiesa Cattolica e di coloro che sono contrari alla legge 194 limitando ulteriormente una legge che già pone molti limiti, oppure si piegherà recependo alcune richieste e costringendo le donne a tornare ad abortire all'estero?
Purtroppo la cronaca degli ultimi anni non fa presagire nulla di buono e i cattivi presagi su ciò che avrebbe comportato la legge 40 sulla fecondazione assistita prima e sull'esito referendario poi, sembrano avverarsi. Vietare la diagnosi preimpianto in un Paese in cui è consentita la diagnosi prenatale (villocentesi o amniocentesi) non aveva senso, a meno che non fosse stato il primo passo per andare a vietare anche ciò che è consentito.
Secondo gli ultimi dati, sono quadruplicati i pazienti che vanno all'estero come effetto della legge 40: un ulteriore segnale di come il nostro Paese stia consegnando la gestione della sanità all'estero. Sull'argomento, il ministero della Salute sembra voler rivendicare un ruolo tecnico e non politico, demandano al Parlamento e all'Istituto Superiore della Salute l'iniziativa di intervenire.
Negli anni 70 il turismo sanitario all'estero delle donne che volevano abortire contribuì a far approvare la specifica legge. Oggi speriamo basti ricordare ciò che si è già vissuto e cosa potrebbe nuovamente accadere relegando ad altri Paesi la libertà delle donne italiane.
Il ministero della Salute avrebbe già avuto modo di intervenire sulla 194 ammettendo anche in Italia il ricorso alla RU486 -aborto farmacologico-, rivedendo il divieto di praticare le interruzioni volontarie di gravidanza nelle strutture private, nonché abolendo l'obbligo di certificazione medica per la decisione di interrompere la gravidanza e, infine, monitorando il ricorso all'obiezione di coscienza, che in alcune realtà si traduce nell'impossibilità per le donne di accedere al servizio. Ancora molto si sarebbe potuto fare nella prevenzione: informazione su anticoncezionali mirata a giovani e immigrate (le fasce in crescita nel ricorso all'aborto) e nelle scuole, eliminare l'obbligo di ricetta medica per la pillola del giorno dopo e potenziare i consultori evitando che siano solo i volontari del Movimento per la Vita a suggerire altre strade rispetto all'aborto.
Donatella Poretti