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Matteo Tuveri. Iran: diritti umani e voglia di cambiamento
23 Agosto 2007
 

«Pegah Emambakhsh (40) è una donna lesbica iraniana. Rischia di essere condannata a morte dai giudici della Repubblica Islamica Iraniana per la sua omosessualità. Si è rifugiata a Sheffied, Gran Bretagna, dove ha chiesto asilo politico», questo l’appello lanciato dalla IRanian Queer Organization (IRQO), già Persian Gay & Lesbian Organization, insieme al gruppo EveryOne che si occupa da anni di diritti umani e delle comunità omosessuali, e agli eurodeputati Marco Pannella e Marco Cappato.

Il punto focale della drammatica situazione vissuta da Pegah Emambakhsh, e da molte altre persone omosessuali, come Jasmine K. in Germania, è che la loro condizione possa apparire non chiara per le autorità inglesi che potrebbero non rilasciare l’autorizzazione al permesso d’asilo perché la condizione della richiedente, così come dichiarato, non appare dimostrabile allo stato dei fatti. Scelta che porterebbe ad una rottura mediatica fra le organizzazioni omosessuali europee e lo stato inglese e che, sicuramente, porta alla ribalta uno stato di cose su cui è necessario fare una riflessione mirata a constatare lo stato di effettiva attuazione della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo che, occorre ricordare, sanciva e sancisce l’uguaglianza di tutti i membri della famiglia umana senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione. Inoltre, sempre tale dichiarazione, all’Articolo 5, dichiara esplicitamente che nessun individuo potrà essere sottoposto a trattamento o punizioni crudeli, inumani o degradanti. Queste parole, fortemente edificanti, sono oggi, in tutte le parti del globo, dimenticate e violentate, così come coloro che si trovano a dover fare i conti con una società arretrata e intrisa di razzismo e violenza che, ad aggravare ancor di più le cose, è spesso avvallata da leggi inadeguate e incivili.

La situazione della donna iraniana esule in Gran Bretagna porta alla ribalta nei dibattiti e sui maggiori organi di informazione la situazione dei diritti umani in Iran, in special modo la situazione della donna e della comunità omosessuale che, numerosa sul suolo persiano, ribolle di speranze e di vita, con l’auspicio che una forte spinta dal basso, ormai autonoma ed endemica, possa portare ad un miglioramento delle condizioni umane più elementari. Non è, infatti, lontano il giorno in cui i giornali, fra una notizia di politica estera e interna, comunicarono che due giovani erano stati sottoposti a pedinamento da parte delle Guardie della Rivoluzione e poi ad arresto e pestaggio da parte della milizia che, infine, li aveva condotti al patibolo pubblico e umiliante della forca. Come in un America golosa di punizioni pubbliche e di sedie elettriche televisive, così l’Iran si è svegliato nel pianto di una intera comunità, quella omosessuale, che a detta del Pubblico Ministero della Rivoluzione a Teheran, sarebbe una invenzione occidentale, una immagine viziosa inventata dal Grande satana che tramerebbe di contaminare il paese con strumenti come i capelli lunghi o l’abbigliamento “inadeguato”. Lungi dall’essere “normale”, per fortuna o per sfortuna, l’Iran è ben altro da quanto dichiarato dagli uomini di potere e lo dimostra, senza possibilità di fraintendimenti, un film-documentario, l’unico esistente attualmente sul tema, girato proprio nelle strade della capitale della Repubblica iraniana, che la CBC ha puntualmente pubblicato sul proprio sito web, un folto gruppo di ragazzi omosessuali, guidato da Mani Zaniar, occhiali da sole e look sobrio che spiega, insieme ad Arsham Parsi, uno dei fondatori della Persian Gay & Lesbian Organization, poi diventata IRQO, come le persone sorridenti e sedute in quello che sembrerebbe un normalissimo pub, stiano rischiando la vita perché omosessuali e pronte a vivere la loro vita: «Veniamo qui per incontrarci, per ridere, per stare a nostro agio» racconta Mani, davanti alla telecamera, mentre alcuni prendono qualcosa da bere e qualcuno fuma una sigaretta. Mani Zaniar sorride, mentre spiega che la sua vita da presidente dell’unico movimento clandestino per i diritti dei gay sul suolo iraniano non è semplice, sa di essere seguito anche quando naviga su internet alla ricerca di contatti che gli permettano di muovere dal di dentro quella grande sete di affermazione della propria identità che lo accomuna a tutte quelle persone sedute nel pub. Mani è fuggito dall’Iran poco tempo dopo aver girato il film-documentario.

Arsham Parsi, invece, è emigrato da tempo in Canada, non ha avuto una vita facile nel suo paese, proprio a causa di internet e delle Guardie della rivoluzione che navigano sui siti web e nei blog omosessuali, cercando di ottenere falsi appuntamenti per poter poi effettuare gli arresti. Arsham, in una breve intervista, descrive i giovani iraniani come un nutrito gruppo di persone con la voglia bruciante di cambiare le cose, di rischiare e lottare per il proprio paese. La mia definizione di Iran, espressa nel breve saggio L’Iran è un pesciolino rosso, lo colpisce e afferma che i suoi coetanei sono proprio così, «come il pesciolino della favola di Samad Behrangi, come tutti i giovani del mondo, sia omosessuali che eterosessuali. Credono al cambiamento dal di dentro, lavorando perché esso avvenga, senza aspettarsi che tutto possa avvenire mentre dormono. Una sorta di democrazia voluta e raggiunta in casa propria, a misura di nazione e senza arrecare offese o discriminare qualsivoglia gruppo. È cruciale che in questo momento noi compiamo un percorso cauto verso il cambiamento, creando un movimento culturale che sia in grado di rappresentare tutti». La IRanian Queer Organization (IRQO) porta avanti questo discorso dal 2001 quando, alcuni membri, si riunirono su internet sotto il nome di Rainbow Group, con la speranza di tenersi in contatto e, dunque, di poter smuovere una situazione che sentivano stretta, chiusa fra una politica arretrata, fin troppo condizionata dalla classe religiosa, e un’America opprimente, spinta coi media fino alle porte della nazione e con l’opposto risultato di inasprire gli animi e le reazioni politiche.

L’associazione «ha l’obiettivo di difendere i diritti della comunità GLBT iraniana. Essa fa il punto sulle violazioni dei diritti umani, fornisce supporto ai rifugiati iraniani omosessuali con lettere e appelli e impiega tutte le sue forze contro l’omofobia. La IRQO è membro ufficiale della International Lesbian and Gay Association (ILGA), con sede a Bruxelles, della International Lesbian and Gay Cultural Network (ILGCN) con sede a Stoccolma, del Rainbow Railroad Group a Toronto e dell’Advisory Committee of the Hirschfeld-Eddy Foundation for LGBT Human Rights di Berlino». Arsham Parsi tiene a precisare che l’azione della IRQO è trasparente e che è possibile vistare il suo sito web all’indirizzo www.irqo.net.

La mia domanda, forse la più delicata, ma anche la più pressante, è quella che riguarda l’essere omosessuali in un paese come l’Iran: cosa dice la legge iraniana a proposito dell’omosessualità?

«Nel Medio Oriente l’Iran si distingue per una severità estrema nei confronti dell’omosessualità fra adulti consenzienti. La sodomia, detta Lavat, intesa come atto sessuale fra individui di sesso maschile, è punita con la pena di morte. L’Articolo 111 del Codice Penale Islamico dice che “Lavat è punibile con la morte qualora i partners siano maturi, nelle piene facoltà mentali e consenzienti”. Gli articolo 121 e 122 del Codice Penale prevedono, inoltre, per il reato di Tafkhiz (atti sessuali non penetrativi fra uomini) cento frustate per ognuno dei partners. La reiterazione del Tafkhiz per la quarta volta è punibile con la morte. L’Articolo 123 del Codice Penale, prevede, inoltre, che “se due uomini, non imparentati, giacciono nudi sotto le stesse coperte senza che questo sia causato da comprovata necessità, siano condannati alla pena di 99 frustate ciascuno”». Inoltre, prosegue: «Un uomo può essere incriminato se quattro uomini “di provata fede” testimoniano l’atto o se egli stesso confessa l’atto sessuale quattro volte. Inoltre, i giudici possono avvalersi della cosiddetta “conoscenza del giudice”, ovvero della facoltà di decidere se indizi circostanziali possano essere considerati un prova del reato stesso. Si aggiunga che la pratica della tortura è prevalente in Iran e che è cosa comune torturare i prigionieri per ottenere confessioni. Confessioni forzate sono comunemente accettate come evidenza dello stesso crimine».

Le elezioni presidenziali del 2005, che hanno visto la vittoria schiacciante di Ahmadinejad, hanno portato nuovamente l’Iran sotto i riflettori della politica internazionale, le parole chiave della campagna elettorale di Mahmud Ahmadinejad erano “ripresa economica, sostegno alle classi povere, ai reduci di guerra, e lotta alla corruzione”. Tutti valori che parte dell’elettorato iraniano ha dimostrato di condividere e apprezzare, insieme all’immagine mediatica del nuovo presidente, uomo schivo e dal profilo defilato. Tuttavia, è ora evidente come la politica internazionale aggressiva, supportata da un’America che non nasconde una certa arroganza, abbia preso il sopravvento sullo stesso programma sociale ed economico della campagna elettorale. Cosa si potrebbe dire a tale proposito?

«La vittoria elettorale di Ahmadinejad è il risultato di una serie di promesse di prosperità economica e di pulizia etica in materia di frode e cattiva amministrazione delle risorse nazionali. Non c’è da stupirsi che tutte queste promesse siano volate via insieme ai volantini elettorali. Dal momento che tutti i candidati presidenziali sono soggetti alla approvazione del Leader Supremo è abbastanza logico che essi portino avanti programmi simili, sebbene presentati in modo diverso».

Ancora una volta, guardando in faccia l’Iran, si ha la sensazione di trovarsi davanti ad un paese meraviglioso, controverso, dalle risorse economiche e umane sprecate e con una grande storia alle spalle che, proprio grazie ai giovani iraniani (circa il 70% della popolazione), motore del cambiamento, guarda ad un grande futuro.

 

Matteo Tuveri

(fonte: www.radicali.it, 22/08/2007)


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