Oggi mi capita tra le mani un libretto ingiallito.
Un amor de leyenda, si intitola. Ricordo che me lo dettero al Cementerio Colon qualche mese fa. Ero andato là con Juliana. Non vado mai nei cimiteri, io. Non sono credente e per fortuna non ho morti da visitare. Quella volta però Juliana ci teneva troppo che l’accompagnassi. Sfoglio in fretta le pagine, leggo la dedica, le orazioni, la storia descritta in brevi capitoli. Amelia dei miracoli, la Milagrosa, una delle tante superstizioni di questa terra che affida la sua sorte a messe spirituali e assurdi riti. Amelia è nata per essere madre, protegge la famiglia e accompagna le partenze. Morì di parto insieme alla figlia e fu seppellita con la bambina tra le gambe. La leggenda narra che quando i familiari scavarono la tomba trovarono il suo corpo intatto e videro che teneva la bambina in braccio.
I cubani mancano di tutto ma non della superstizione. Se si mangiasse con quella le tavole sarebbero sempre imbandite. Juliana non fa eccezione. Prima di partire per Miami doveva far benedire suo figlio e invocare la protezione di Amelia. Quando si parte per un viaggio si va dalla Milagrosa, soprattutto se è un viaggio importante, un viaggio che può cambiare la vita. E quello di Juliana lo era, purtroppo. Aveva vinto il bombo e lasciava per sempre il paese. Una lotteria assurda ne aveva estratto il nome dalla lista dei disperati. Per bontà di chi ci affama. Per la magnanimità di Fidel. Juliana fuggiva grazie al bombo e non a bordo di una zattera. Il futuro restava incerto, però intanto evitava gli squali. Adesso mi manca Juliana, come mi mancano i momenti trascorsi a ricordare il passato. Io bevevo rum e scrivevo, lei raccontava scavando nei ricordi e parlava di quel che le succedeva per le strade della capitale. Vita da jinetera è quel che è venuto fuori da quelle serate passate sulla veranda d’una casa coloniale di Luyanò. Un romanzo che adesso è in mano a un editore italiano.(1) Senza di lei non avrei scritto una pagina, perché Juliana è un personaggio reale, come è vero che adesso non può invitarmi a cena per mangiare un ajiaco come solo sua madre lo sa cucinare. Sfogliare le pagine di quel librettino mi fa ricordare quel giorno al Cementerio Colon.
“Prima di partire si deve venire dalla Milagrosa” dice Juliana.
“Ma tu ci credi?” chiedo stupito.
Lei abbassa la testa rassegnata.
“Non posso farne a meno”.
“Perché?”.
“È un viaggio troppo importante”.
Amelia protegge chi parte, soprattutto le madri. Veglia sul futuro dei figli, stende il suo braccio protettivo sulla famiglia. La Milagrosa sembra la sentinella del cimitero, appoggiata alla croce di marmo con lo sguardo fiero, tiene la bambina in braccio e pare scrutare chi si ferma a pregare. Mentre io e Juliana parliamo si avvicina una donna. Mi colpiscono le sue forme abbondanti e i fianchi generosi da mulatta avanera. Tremenda mulata ... fuego a la lata... direbbe Willy Chirino. Tiene in mano alcuni librettini con l’immagine di Amelia in copertina.
“Conoscete la storia della Milagrosa?” domanda.
Caso mai è una leggenda, penso.
Faccio cenno di no. Non è che me ne importi molto di Amelia, però la mulatta non è niente male e mi piace sentirla parlare. La sua voce è una cantilena che ne tradisce le origini orientali. Purtroppo dopo poche parole ci fa capire che ha scelto di consacrare la sua vita al servizio di Amelia.
Non sai quel che perdi, penso.
Alla fine del discorso ci consegna due librettini di poche pagine. Juliana le dà venti pesos. La mulatta le augura buona fortuna.
“Quando sarai a Miami recita ogni sera l’orazione ad Amelia e tieni il librettino nella camera del bambino” conclude.
Poi si allontana ondeggiando quel sedere enorme. La osservo mentre cammina e mi soffermo a lungo a studiare il movimento dei fianchi. Tutto quel ben di Dio sprecato… penso.
Le parole di Juliana mi distraggono dal culo della mulatta.
Meglio così, tanto non c’è niente da fare.
“Il mio passato è nelle mani di Amelia e tu ne sei testimone” dice.
“È anche nel mio romanzo, però” ribatto.
“Alejandro, questa è una cosa seria...” fa lei spazientita.
“Va bene. Come vuoi tu”.
Il pensiero torna sulla mulatta. Aveva una voce così bella... e non soltanto la voce, a dire il vero. Lei parlava ma io non ascoltavo, catturavo la musica delle frasi, scrutavo la scollatura che faceva intravedere il seno piccolo e dritto, poi passavo alle cosce piene e sode per arrivare a quel sedere enorme davvero indimenticabile. La storia potevo sempre leggerla sul librettino, ma la mulatta chi l’avrebbe più rivista? Tanto valeva approfittarne.
Juliana intanto termina il rito. Deposita un mazzo di fiori bianchi, poi fa tre passi senza voltarsi indietro e prega con le frasi dell’orazione. Fa una promessa e chiede protezione.
“Adesso affido alla santa il mio futuro” dice con enfasi.
“Spero che serva” rispondo scettico.
Juliana mi fulmina con lo sguardo.
“Serve a me, Alejandro. Ma tu non puoi capire”.
Eh già, io non posso capire. Da un po’ di tempo a questa parte me lo dicono in troppi. Anche il marito di mia cugina dice che non posso capire le regole dell’editoria italiana e che ho troppa fretta di pubblicare. Non posso capire perché sono cubano e non ho nessuna voglia di andarmene dalla mia terra. Bene, se è questo il motivo sono proprio contento di non poter capire. Peggio per voi che capite. E poi mica è vero che non comprendo. Un conto è far finta. Un conto è non capire. E io anche se non credo conosco tutte le leggende che raccontano i vecchi. Ho persino uno zio palero, ma questa è un’altra storia che devo ancora raccontare. Non si può lasciare Cuba senza far visita alla Milagrosa. Lei ti proteggerà ovunque andrai. Oggi però non è capace di asciugare le lacrime, le piccole gocce di pianto che rigano il volto di Juliana. Per quelle ci sono io, anche se non posso capire.
E adesso giro tra le mani il librettino ingiallito che ci dette la mulatta. Juliana è andata via da qualche mese, subito dopo che abbiamo finito il romanzo. Adesso è a Miami. Ha cambiato vita. Non deve più fare la jinetera per mantenere suo figlio. Ha vinto il bombo, la lotteria di stato che regala libertà e sogni. Adesso fa un lavoro onesto e vive in una casa che non minaccia di sbriciolarsi al primo colpo di vento. In America sono attrezzati per tutto, non temono neppure i tornados.
Io vorrei soltanto sapere una cosa alla fine di questa giornata di caldo torrido passata a scrivere e a ricordare. Vorrei sapere se a Miami Juliana è davvero felice e se riesce ancora a sognare. Soltanto questo mi interessa. Non i dollari che guadagna, non la vita che fa. Spero che Amelia la protegga davvero, povera amica mia. Ne ha bisogno, come ne hanno bisogno tutti coloro che scappano in cerca di speranze, perché la nostalgia è una brutta bestia. Noi che restiamo sappiamo quel che ci attende. Un futuro che sarà come il presente. Lottare. Inventare. Cercare una via d’uscita. Ma una zattera non ci interessa e neppure il bombo. Meglio una bottiglia di rum, le cosce di una donna, una musica rapida a tempo di salsa. Ci basta poco per affogare i dolori e non ci passa mai la voglia di sorridere. Nonostante tutto.
Alejandro Torreguitart Ruiz
(1) Il libro è poi uscito nel 2005: Edizioni Il Foglio, pagg. 150, € 10,00; l'illustrazione di questo racconto ne riproduce la copertina (di Oscar Celestini).