martedì, 07 agosto 2007
E caddi come corpo morto cade
Oggi pomeriggio, mentre staccavano la corrente, anche io sono stato preso da una sonnolenza strana, come se avessero tolto energia pure a me...
Così, nel dormiveglia, ho avuto una visione del nostro lontano futuro: diciamo tra 1000-2000 anni. Ecco cosa i posteri riporteranno nelle loro enciclopedie di Interpretazione Simbolica.
CULTURA ROM
(illustrazione d'apertura)
Quella riprodotta è l'antica bandiera dei Rom, attuale popolazione leader della Federazione degli Stati Uniti d'Europa: un tempo tale comunità era oggetto delle peggiori discriminazioni. Il simbolo sulla bandiera, di matrice indiana, ha molteplici significati: richiama il nomadismo della comunità, ma anche concetti più arcani. Qualunque strada si prenda da un centro, infatti, le mille diramazioni riconducono sempre alle proprie origini. E, d'altra parte, dallo stesso punto di partenza, possono nascere mille rivoli diversi.
CULTURA REM
(in calce, illustrazione 1)
Pare che, in una fase cloroformizzata della civiltà umana, questo fosse il simbolo di uno studio associato di psicoterapia di gruppo: le cronache dell'epoca narrano di una sorta di rituale collettivo per cui alcune persone libere si costringevano in una casa privata mentre, pubblicamente, in altre case, milioni di persone erano costrette a sentirsi liberi di adorarli.
CULTURA RAM
(illustrazione 2)
La funzione della memoria ha sempre avuto un'importanza seminale per la storia dell'umanità. Ecco qui l'immagine di un hard disk da 2 Giga: vi si conserva un pezzo della Shoah e le prime settimane del Partito Democratico italiano.
CULTURA RUM
(illustrazione 3)
Questo è invece il simbolo di una minoranza di seguaci del trotzkismo internazionale: annegarono la loro disperazione nell'alcool, soprattutto perché, durante il cambiamento climatico che generò un surriscaldamento globale del pianeta Terra, divenne parecchio difficile estrinsecare il concetto di Palazzo d'Inverno.
CULTURA RIM
(illustrazione 4)
Riabilitazione Invalidi Mentali. Pare si trattasse di una ONLUS che dava asilo alle persone più disagiate delle comunità alpine. Il simbolo rappresenta un Sole verde per effetto del diossido d'azoto, altamente concentrato nella bassa pianura padana. Ad alcuni di questi invalidi fu concesso di amministrare dei territori del Nord Italia, una delle regioni oggi più sottosviluppate al mondo. Pare che, in mezzo al deserto di Segrate, svettasse un tempo l'antenna di un costruttore di palazzi milanese, benefattore di questi emarginati: su di lui tace la storia, ma sembra fosse riuscito a costruire un conflitto di interessi che, insieme alla Muraglia Cinese, era l'unica opera umana a vedersi dallo spazio. I ricercatori nutrono, oggi, molte speranze di far luce sulla sua oscura vicenda, essendo riusciti a rintracciare i resti della sua casa materna, 400 milioni di vecchie lire nascoste dentro una scatola Made in Pechino e, soprattutto, la madre stessa, che è ancora viva e conservata splendidamente nella formaldeide.
mercoledì, 08 agosto 2007
Das Kapital...
Parlo raramente del mio lavoro, ma credo sia giunto il momento di farlo.
In questi giorni discuto di continuo con i ricercatori della Banca Mondiale e ne leggo i rapporti: niente da dire, per carità, ma sia sulle loro che sulle mie analisi empiriche comincio ad avvedermi di qualcosa che non va.
La linea di povertà, qui, è fissata a circa 4.800 lek al mese (40 euro).
Per intendersi, pensate ad una specie di limbo all’incontrario: l’asticella viene fissata, più o meno consapevolmente, da qualche omnisciente arbitro internazionale.
Chi sta sopra non è povero; chi sta sotto lo è.
Questo senza tenere conto del fatto, per esempio:
a) che io posso anche avere 2.500 euro al giorno, ma il problema rimane stringente se, per esempio, vivo immobilizzato su una carrozzina oppure… se compro un televisore al plasma da 1.000 pollici e mi tagliano l’elettricità 7 ore al giorno, proprio quando c’è la partita o il film che voglio vedere;
b) chi guadagna 4.900 lek è fuori da qualsiasi programma di aiuti, ma è esattamente vulnerabile come il fortunato che è riuscito a passare sotto l’asticella del sopra citato limbo.
Insomma, il maestro sommo ed eccellentissimo Enrico mi capirà quando affermo che la povertà è un concetto fuzzy (confuso/vago). Non si può dire, di un uomo, che sia povero o ricco: si può affermare piuttosto che ogni persona sia povera (o ricca) ad un certo grado.
A dire il vero, le analisi della Banca Mondiale sono sempre più ampie e sfaccettate, attente alla multidimensionalità di ogni concetto… Eppure, non si scappa: il benessere si misura ancora precipuamente attraverso il reddito.
Nulla in contrario: il reddito è una buonissima approssimazione, il più delle volte, del well-being e costituisce un’informazione essenziale sulle opportunità di una persona. Ma questo non è necessariamente vero ovunque.
In Albania, innanzitutto, perché non dice tutta la verità. Qui una miriade di negozietti, infatti, popolano le strade: si tratta di stanzine arredate alla buona, spesso facenti parte delle abitazioni stesse dei venditori, in cui si comprano generi alimentari, sigarette, etc. Insomma, quel famoso sommerso che non rientra in alcuna statistica ufficiale.
Secondo: i negozietti fanno credito. I supermercati (che cominciano a fiorire anche qui, CONAD in testa) no. Questo lo dovreste ricordare anche voi, almeno dall’infanzia: la mitica lista del commerciante di fiducia che, a fine mese, chiede il conto.
Quando uno percepisce, come a Tirana, una pensione di 100 euro al mese, un meccanismo del genere mostra tutta la sua importanza nel garantire un minimo di supporto solidaristico.
E ancora: che dire degli stati d’animo, della rete di amicizie (se un opulento magnate si trovasse, di sera, in un quartiere povero di Tirana, senza sapere una parola d’albanese, a chi chiederebbe informazioni? Alle Pagine Gialle, col telefonino?): in due parole, della vita vera?
La Banca Mondiale ha riconosciuto la rilevanza di tali osservazioni, introducendo nelle sue analisi il concetto di capitale sociale.
Prima domanda: perché cazzo (scusate ma ci vuole enfasi), ogni volta che si deve parlare di qualcosa, le nostre menti cercano rifugio nel capitale?
Il mio non è delirio antisistema: è semplice constatazione di una nevrosi cosmica.
Problemi con l’inquinamento? Capitale naturale…
Problemi con la società? Capitale sociale…
Problemi con l’educazione? Capitale umano…
È come se, per paura che la struttura crolli, cementiamo le nostre definizioni con un rassicurante termine monetario.
Le relazioni umane sono maledettamente importanti ma, soprattutto, non sono un capitale!!! Sono qualcosa che va al di là, che ha una sua essenza innata: bisogna uscire da questo meccanismo perverso. Lungi da me il disconoscere i meriti del mercato: ci sono cose, però, che esistono e, in quanto esistono, meritano rispetto e dignità, più che un prezzo con cui quantificarle.
Io, qui, mi occupo di analisi della vulnerabilità e tento di trovare un modo per misurarla tenendo conto di ciò: dicevo ad Erjon, economista alla Banca Mondiale, che le mie stime (ovviamente da prendere con le pinze) mi dicono, in soldoni, che, scontando il rischio e l’incertezza che ognuno incontra nella sua vita quotidiana, 1.000 euro a Tirana ne valgono, in realtà, 600.
Erjon non è rimasto molto colpito, anche se mi ha chiesto di inviargli l’articolo, una volta scritto.
Del resto, che dire? La Banca Mondiale ha sede nel quartiere posh di Tirana, è circondata da hotel di lusso, con un bellissimo generatore che produce sempre energia, lontano dai problemi e, come dire, dalla realtà.
Erjon è gentile e preparato ma, senza voler fare della dietrologia, l’altro giorno sbuffava perché hanno chiuso la palestra dove fa, abitualmente, la sua pausa pranzo.
Insomma, problemi coi muscoli?
Capitale importanza…
Luciano Canova