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A. Torreguitart Ruiz. Miguel Barnet parla dalla Colombia
Miguel Barnet
Miguel Barnet 
12 Agosto 2007
 

Oggi sono un uomo fortunato, ché alla televisione parla Miguel Barnet.

I cambiamenti che avvengono a Cuba servono per migliorare il socialismo e non certo per distruggerlo, dice. Pure se Fidel muore il socialismo mica scompare, si modifica, migliora, prende strade nuove nel solco del passato, insomma resta vivo e vegeto, sentinella sul nostro domani, garante del futuro per noi che attendiamo fiduciosi.

Barnet è uno che Che Guevara mica l’avrebbe fatto scrivere, lui che era un grande diceva se sei poeta scrivi, se non lo sei copia, magari leggi parecchio, imparati a mente i versi degli altri, gente come Neruda, Martí, pure Guillen, guarda, anche se a scuola me l’hanno fatto ingurgitare in tutte le salse rivoluzionarie. E invece Barnet scrive e nemmeno poco, ma non solo, va pure in Colombia come araldo della poesia cubana, mica a farsi le canne. Barnet me lo fanno studiare da anni e io non lo reggo, che poi si limitasse a scrivere poesie sulla santeria, tanto tanto, sviolinasse retorica sul negro, su Guillen, sull’uomo che gli porta le conchiglie, sullo cimarrón e tutti gli schiavi liberati, farebbe poco danno. No, lui parla pure di politica, deve far sapere che è tanto riconoscente alla Rivoluzione e soprattutto a Fidel, lui che non se lo sarebbe filato nessuno puta caso avesse deciso di non fare il poeta di regime. E allora sorbiamoci Barnet che diffonde elogi da Medellin, ascoltiamolo dire che Fidel Castro è sempre stato ed è la guida della nostra Rivoluzione oggi più che mai. Il giorno in cui lui non ci sarà più, noi avremo tutte le idee che lui ha seminato e che sono fiorite e hanno dato frutti. Bravo Barnet che la rivoluzione ti ha dato tutto, pure un passaporto per la Colombia, mentre a me non danno il visto neppure per Camaguey. Bravo davvero, ci vuol coraggio a dire che frutti della Rivoluzione cubana sono la piena coscienza della propria identità, la sicurezza sociale, la salute e l’educazione garantite... Pare che lo abbiano mandato a fare l’araldo della propaganda invece che il poeta tardo romantico abituato a scrivere cose sdolcinate tipo Ogni volta che quest’uomo/ mi chiede qualcosa/ ogni volta che le sue mani/ si avvicinano alle cose che tocco/ pronunciando il mio nome/ quasi senza trovarlo:/ “Miguel, non prendere l’umidità della sera,/ non uscire all’aria aperta”… Ecco mi pare proprio che i problemi di Cuba siano questi, l’umidità della sera e poco altro, la poesia deve affrontare temi così attuali, perdersi nei barocchismi e nelle raffinatezze. Bravo Barnet che Che Guevara non t’avrebbe fatto scrivere nemmeno pagando. Ci volevi proprio te a dare ricette di economia, vorrei sapere cosa ci capisci, in vita tua ti sei sempre occupato di negri, schiavi liberati, santeria, aspettavamo dalle tue labbra verità rivelate come dobbiamo fare dei cambiamenti nella nostra struttura economica, ma difendere sempre le conquiste del socialismo. A te il socialismo va bene, caro Barnet, sei salito sul carrozzone e adesso viaggi, vai pure in Colombia a recitare poesie e raccontare barzellette, ma nessuno ride. No, caro Barnet, noi non ridiamo, ché siamo nella merda fino al collo e dobbiamo ascoltare le tue palle sul socialismo.

Alejandro, senti cosa dice Barnet fa mia madre dalla cucina.

Lei ascolta Radio Progreso mentre pulisce i fagioli e seleziona quelli buoni per la cena da far cuocere insieme al riso.

Ascolto, ascolto. Passa in televisione a reti unificate. Impossibile perderlo. Il nostro poeta nazionale che parla in Colombia… rispondo.

Mio padre dorme sul divano. Oggi non ci sono turisti da portare in giro per L’Avana a bordo del vecchio sidecar e non ha niente da fare.

Abbassa quel televisore borbotta sono sempre le solite cazzate…

Questa volta hai proprio ragione, caro papà. Sono sempre le solite cazzate. Ma tu dormi tranquillo che devono arrivare le più grosse e magari quelle non le senti, così dopo stai meglio e torni a lavorare con rinnovato spirito rivoluzionario. Adesso il vecchio Barnet dice che i giornali colombiani si sono permessi addirittura di scrivere che Cuba è un paese sotto dittatura. Ma dove hanno mai sentito una simile assurdità? A Cuba la sola dittatura è quella dello spirito e della solidarietà con gli altri popoli. Questa cosa l’ha detta Barnet, ci tengo a precisarlo. In televisione non si sentivano le risate, forse hanno tolto l’audio, ma credo che intorno a lui deve avere fatto il pieno di gente che lo perculeggiava, povero Barnet. È stato proprio bravo il nostro Premio Nazionale per la Letteratura, ha aggiunto che la poesia è una via idonea per la pace, ci mancava che tirasse le colombe per aria e che gli si posassero sulle spalle. Sì, perché il vecchio Barnet ha una concezione tutta sua della poesia, di sicuro non ha letto Bukowski e forse con i libri di Gutierrez ci pulisce i vetri quando ha finito il Granma, se no si vergognerebbe a dire che la poesia arricchisce tutto, rende tutto più nobile ed è ora di dire basta alle guerre, di fare più poesia, di usarla come combustibile per far mettere in moto gli ingranaggi dello spirito. Lo saprei io cosa usare come combustibile, caro Barnet, magari proprio il tuo stucchevole Cimarrón o quelle inutili poesie su Elegguá e Olofi, metterei tutto in un caminetto gigante per una tremenda pira. Gli ingranaggi del cervello respirerebbero, non perderebbero l’occasione di andare a caccia di vera poesia, quella che faceva Reinaldo Arenas un po’ di tempo fa o il povero Cabrera Infante che scriveva dall’esilio.

Adesso basta televisione, però. Ne ho sentite anche troppe. Magari ci scriverò un racconto prima di andare a dormire, dopo aver mangiato riso e fagioli che la mamma prepara. Adesso esco di casa e vado in giro per le strade di Toyo, tra venditori improvvisati di roba da mangiare e granite, bambini che corrono dietro a una palla da baseball, cani randagi affamati che frugano nei bidoni vicino a poveri mendicanti. Respiro a pieni polmoni il profumo del mare che un vento tropicale porta con sé dalla baia dell’Avana e comprendo ancora una volta che è la sola cosa che non mi fa pensare, l’unico motivo valido per non fuggire.

 

Alejandro Torreguitart Ruiz

L'Avana, 9 agosto 2007

Traduzione di Gordiano Lupi


 
 
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