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La patata bollente. Una commedia intelligente sul tema omosessuale
28 Luglio 2007
 

Regia di Steno. Soggetto di Giorgio Arlorio. Sceneggiatura di Giorgio Arlorio, Enrico Vanzina e Steno. Fotografia di Emilio Loffredo. Musiche di Totò Savio. Montaggio di Raimondo Crociani. Interpreti: Renato Pozzetto, Edwige Fenech, Massimo Ranieri, Mario Scarpetta, Adriana Russo, Loris Bazzocchi, Umberto Raho, Clara Colosimo, Luca Sportelli, Nazareno Natale, Dario Ghirardi, Alberto Squillante. Italia, 1979.

 

Renato Pozzetto è un ex pugile comunista soprannominato Gandhi che invece di combattere per diventare un campione preferisce la fabbrica per coerenza di pensiero. Adesso picchia soltanto fascisti (quando se lo meritano), guarda film russi, non vuole privilegi, critica il sindacato e lotta per la giustizia sociale. Pozzetto ha una bella fidanzata come Edwige Fenech, ma va in crisi quando incontra un giovane omosessuale interpretato da Massimo Ranieri e lo difende da un’aggressione fascista. La sua vita si complica, perché la portiera spia i comportamenti equivoci dei due amici, i compagni di lavoro e la fidanzata sospettano un passaggio all’altra sponda e temono per la moralità del rappresentante sindacale. Si sparge la voce che “il Gandhi è un culo” e il partito corre ai ripari organizzando un viaggio premio in Russia, sorta di terra promessa per i comunisti di fine anni Settanta. Il sogno di tutta una vita si avvera, il Gandhi se ne va stringendo al petto la fotografia di Berlinguer, l’amico sospetta che i compagni lo vogliano sottrarre alla sua influenza negativa, ma non dice niente perché lo vede troppo felice. Il ritorno di Gandhi dalla Russia coincide con la parte migliore del film, durante la quale si sciolgono tutti i nodi dell’equivoco a colpi di comicità.

Edwige Fenech e Massimo Ranieri sono bravi nella parte di due innamorati di sesso diverso che a un certo punto diventano addirittura complici. Renato Pozzetto è al massimo della forma e incarna tutti i dubbi dell’integerrimo operaio comunista che teme di essere diventato gay e se ne fa un problema, perché un vero comunista deve essere macho. Un film intelligente che anticipa i tempi e pellicole più impegnate (ma anche relativamente più facili) come quelle di Ozpetek (Le fate ignoranti), critica i comportamenti convenzionali di certa sinistra e tira fuori gli scheletri dagli armadi. Non dimentichiamo che negli anni Settanta un certo Pier Paolo Pasolini viene espulso dal partito comunista solo perché accusato di essere omosessuale. La frase che Steno fa pronunciare a Massimo Ranieri: «Metteteci nelle camere a gas, allora!», riflette il pensiero comune della morale comunista in quel periodo storico.

Il film è intriso di citazioni prelevate da Oscar Wilde, scrittore icona del mondo gay, ma anche di canzoni come Amado mio e un ironico Tango diverso, composto per l’occasione da Totò Savio (cantante degli Squallor). Steno si diverte a mettere alla berlina il comunista modello che sogna la Russia come un Paradiso da raggiungere, parla di eurocomunismo, si circonda di busti di Lenin, quadri di Marx e legge L’Unità. Tra le scene migliori ricordo Pozzetto e Ranieri che ballano il tango sulle note della canzone di Rita Hayworth e la Fenech che si produce in uno spogliarello sconvolgente (citazione da Gilda) per verificare se fa ancora effetto su Gandhi.

La Fenech è più bella che mai in questa pellicola d’autore dove si spoglia poco, ma è soprattutto brava e forse ci lascia una delle migliori interpretazioni della sua carriera. Renato Pozzetto è credibile nei panni di un operaio comunista in crisi, ma alla fine comprende che il partito un giorno o l’altro dovrà affrontare anche quel problema lì e che non c’è niente di male a essere amico di un gay. «Hitler ha ammazzato parecchi froci, così come ha ammazzato gli ebrei» conclude. Non aggiungo altro per non rovinare un finale a sorpresa che merita di essere apprezzato e consiglio di vedere questa divertente pellicola che ha trent’anni ma non li dimostra.

 

Gordiano Lupi


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