Una mattina come tante al palazzo di Toyo, tra profumo di pane sfornato e dolci di meringa, venditori di maní seduti all’angolo del corso, bicitaxi che sfrecciano nei vicoli diretti in Centro Avana e un caldo appiccicoso ancora più forte, una cappa che stringe alla gola e non fa respirare. Colpa del buco dell’ozono, dicono. Mia cugina dall’Italia racconta che pure là c’è una temperatura tropicale, oltre quaranta gradi, non si vive senza condizionatore, cose così… e io che l’ascolto come un fesso quando telefona, ché un condizionatore non ce l’ho mai avuto, pure se vivo a Cuba e mi servirebbe davvero. Quando voglio rinfrescarmi vado sul Malecón e faccio un tuffo nell’oceano tra le scogliere, in mezzo a bambini che giocano a farsi schizzare dalle onde e pescatori di frodo che sognano la fuga. Oggi, tanto per cambiare, vado verso il centro, passo da Diez de Octubre, prendo una guagua affollata come sempre, carica di odori e sapori, culi di mulatte che si dimenano e neri che puzzano, ché io mica sono razzista, ma i neri puzzano, c’è poco da fare. Prendo la guagua, dicevo, e scappo sul mare, ché il mare mi fa bene, mi rilassa, e poi magari faccio un bagno, che solo quello posso fare, il mare è a buon mercato, non ho un peso per le tasche e in piscina non mi fanno entrare.
La guagua sferraglia per strade arroventate da un sole cocente, mentre mi sto sciogliendo sotto raggi infernali, sento colare goccioline di sudore lungo la camicetta di cotone, osservo uomini e donne che passano, biciclette che corrono, auto malandate che arrancano tra le buche del selciato. Un mulatto sfoglia il Granma, in piedi, tra uomini e donne appiccicati come sardine, proprio davanti a me. Allungo lo sguardo sui titoli, sempre le solite cose, maledetti imperialisti, non passeranno, la rivoluzione è solida e forte, il comandante in via di guarigione, la tavola rotonda parla di carenza idrica, un mondo migliore è possibile e via di questo passo, niente di nuovo sotto il sole, pure se oggi tocchiamo i quaranta gradi.
– Compagno, leggi solo la parte politica? – domando.
– Hai qualche preferenza? – fa lui ironico.
– I giochi panamericani, ecco, magari se vai alla pagina dello sport leggiamo qualcosa di interessante, forse c’è una notizia nuova, così, tanto per cambiare.
– Amico, il Granma costa dieci centavos. Non è molto.
– Per le mie tasche è una spesa folle, compagno.
Lui sorride e cambia pagina, ché poi mica ci vuole tanto a scorrere il Granma, sono quattro facciate smilze stampate su carta riciclata, inchiostro che si appiccica alle dita, colori sbiaditi e caratteri piccoli per farci stare più cose, pure se sono sempre le stesse panzane. Lo sport è in fondo, insieme alla cultura e all’ultima stucchevole poesia dell’Indio Naborí, che se Guillén leggesse l’opera omnia di questo repentista di regime la distruggerebbe con le sue mani.
– Contento, adesso? – fa il mulatto mostrando una pagina dove campeggia la foto di Fidel sopra un articolo intitolato Il Brasile è il sostituto degli Stati Uniti?
– Mica tanto – rispondo. E scorro il pezzo.
Un giocatore cubano di pallamano ha chiesto asilo politico in Brasile, tradimento per denaro, sostiene Fidel, per giocare in un campionato professionistico e guadagnare. Manca all’appello anche un allenatore di ginnastica, pure lui ha chiesto asilo politico, non vuole tornare a Cuba, nel nostro regno dell’uguaglianza dove tutti hanno secondo le loro necessità, dove non ci manca niente e stiamo per costruire un mondo nuovo, il problema è quando ci riusciremo, ma non dobbiamo avere fretta, la rivoluzione ha trionfato soltanto quarantotto anni fa, serve tempo e soprattutto fede. Due pugili hanno chiesto di restare in Brasile, non si sono presentati alla pesatura, pure loro hanno un destino assicurato come sportivi mercenari al servizio del capitalismo.
– Amico, perché quella faccia? Mariela ha vinto la medaglia d’oro nella maratona…
– Sì, ho letto – mormoro.
Non c’è nessuna giustificazione per chiedere asilo politico, scrive Fidel, e il popolo di Cuba deve rendere tributo all’esempio eroico di Mariela, nata nella provincia del Granma, dove la mortalità infantile è tra le più basse del mondo. Vero. Eroica Mariela. Eroico Pablo. Eroico Paco. Eroico mulatto davanti a me che mi fai leggere il Granma mentre questa carretta sferraglia lentamente sotto il sole dei tropici. Eroico Alejandro che continua a scrivere racconti camminando per L’Avana senza niente da fare, solo attendere il domani e un identico sole cocente per fare un tuffo nell’oceano tra onde e squali. Eroico Alejandro che non può scappare, non ha le palle di Arturo Sandoval e di tanta gente che se n’è andata per non tornare. Eroico Alejandro che lontano da Cuba non potrebbe vivere, sentirebbe nostalgia pure di questa carretta puzzolente che procede tra le buche d’una capitale in abbandono. Gli eroi non fuggono, restano fedeli a una città perduta, si adattano al quotidiano per sopravvivere, ché motivi per scappare ne avrebbero tanti, ma restano attaccati alla loro terra solo per il terrore della nostalgia.
Alejandro Torreguitart Ruiz
L'Avana, 23 luglio 2007
Traduzione di Gordiano Lupi