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Tre notti in nero ricordando Lucio Fulci
25 Luglio 2007
 

Al “Tago Mago” di Massa è stato ricordato un grande regista come Lucio Fulci, proiettando alcune pellicole scelte tra le migliori della sua produzione thriller e horror. Per l’occasione sono stati invitati alcuni critici, uomini di cinema che hanno collaborato con Fulci e la figlia del regista. Il dibattito, moderato da Gordiano Lupi (nella foto, autore insieme a As Chianese di Filmare la morte, guida al cinema horror e thriller di Fulci edita da Il Foglio nel 2006), è stato seguito con partecipazione da un buon pubblico. Venerdì si è parlato di thriller e Lupi ha introdotto la figura del regista riassumendo una carriera cominciata come sceneggiatore e aiuto per Steno, proseguita girando film con Totò, musicarelli, comici, western crudeli, thriller e horror.

«Lucio Fulci era una persona modesta che non credeva troppo nelle sue doti e secondo me è morto quando avrebbe potuto realizzare le cose migliori. Mio padre aveva bisogno di incoraggiamento per capire che il suo lavoro era importante. Tanta gente che valeva meno di lui raggiungeva il successo solo perché osava di più. Il suo carattere spigoloso lo ha sempre bloccato. Per me è stato un grande padre che pretendeva molto e dava continui stimoli. Ricordo che mi obbligava a vedere molti film importanti e dopo mi interrogava per capire se avevo seguito la trama. Ricordo molti suoi attori con affetto, ma soprattutto vorrei rivedere Tomas Milian, una persona davvero eccezionale» ha detto la figlia Antonella.

L’attore Gianni Garko ha ricordato la sua esperienza da cattivo in Sette note in nero e il suo rapporto con Fulci. «Era uno che sapeva guidare gli attori, molto deciso sul set e attento a ogni particolare. Non è vero che fosse un uomo duro, con le donne era molto dolce e le trattava con ogni riguardo. Non amava i cani e i raccomandati. Soltanto con loro era molto inflessibile. Se Fulci non aveva stima di un attore trasformava il set in un inferno. Ho interpretato molti ruoli nel cinema, perfezionando soprattutto il personaggio di Sartana e del pistolero nel western. Purtroppo ho lavorato con Fulci solo in questo thriller che rivisto dopo trent’anni resta ancora godibile».

Il critico Paolo Albero (autore de Il terrorista dei generi, Un mondo a parte, 2005) ha approfondito il discorso sul thriller affermando che «Fulci si spingeva sempre oltre, dove gli altri registi si fermavano e il suo tratto distintivo è sempre stato il gusto per l’eccesso».

Il critico Antonio Bruschini ha parlato del bambino nel cinema di Lucio Fulci. «Non si sevizia un paperino è una pellicola emblematica. I bambini non sono esseri innocenti, ma persone reali, con vizi e difetti. Peccano, commettono errori e vengono puniti da un killer che si scopre soltanto in un finale imprevisto».

Il cinema di Lucio Fulci merita una rivalutazione, che solo in parte è arrivata per merito di Tarantino e della cinematografia USA.

«Dobbiamo rivalutare i nostri autori in Italia, senza farci condizionare dalle affermazioni d’oltreoceano. Per me ha più valore una lettera di stima scritta da un ragazzino italiano che tante parole pronunciate da registi statunitensi» ha aggiunto Antonella Fulci.

La prima serata si è conclusa con la proiezione dei thriller Sette note in nero, Non si sevizia un paperino e Una lucertola dalla pelle di donna.

La valutazione dei critici presenti in sala è stata concorde sul fatto che il thriller fulciano segue una via originale rispetto a quello di Martino e di Argento. Il thriller di Fulci è presente in nuce nel western artaudiano ed è espresso dalla poetica della crudeltà. Fulci si ispira a Hitchcock ma osa di più e filma sequenze che il maestro inglese non avrebbe mai girato. L’occhio della macchina da presa eccede fino a filmare la morte in ogni dettaglio. Non solo. Il thriller di Fulci è ricco di contaminazioni erotiche e di situazioni morbose.

Nella giornata di sabato si è parlato di horror e gli ospiti presenti, dopo aver assistito alla proiezione di Zombi 2, hanno commentato la figura dello zombi nei film di Fulci.

Antonio Tentori (autore insieme ad Antonio Bruschini di Lucio Fulci, il poeta della crudeltà, Profondo Rosso, 2004) ha detto: «Gli zombi non erano un’idea di Romero che non ne aveva certo l’esclusiva. Per questo motivo non ho mai capito gli attacchi a Fulci e le accuse di poca originalità. Zombi 2 doveva intitolarsi L’isola dei morti viventi e caso mai è un prequel che anticipa i fatti narrati da Romero. Fulci scava nelle tradizioni caraibiche, parla di vudù e stregoneria. Lo zombi di Fulci viene dalla mitologia haitiana».

Antonella Fulci ha spiegato che le comparse prescelte per interpretare gli zombi venivano cosparse di terra e fango e dovevano stare un po’ di tempo al sole per essiccare il tutto e rendere il travestimento credibile.

«Gli zombi escono dal sottosuolo. È normale che abbiano il corpo sporco di terra. Tra i film di mio padre preferisco i gialli e i thriller, il mio prediletto è Non si sevizia un paperino, ma riconosco che ha raggiunto nell’horror vette di immaginazione fantastiche mai raggiunte altrove» ha concluso Antonella Fulci.

Sergio Salvati, direttore della fotografia in oltre dieci pellicole di Fulci, ha elogiato le capacità direttive del regista. «Eravamo una squadra ben amalgamata e ognuno svolgeva al meglio il suo compito. Il merito della buona riuscita di una scena non va a una sola persona ma a un gruppo unito che veniva diretto con decisione e competenza. Ho amato e continuo ad amare questo lavoro che mi ha fatto girare il mondo ed esplorare quattro continenti. Mi manca soltanto l’Australia! Ricordo che una volta sono stato a Santo Domingo dove ho assistito a un battesimo della chiesa Battista. Alla fine mi hanno battezzato perché andavo a documentarmi da loro quasi ogni giorno. Il mio lavoro mi ha portato a conoscere tante cose che non sapevo e non rimpiango niente, anche se ho trascurato molto la famiglia. Tra le cose più belle che abbiamo fatto ricordo la creazione di una nuvola artificiale in Zombi 2 e il finale pittorico de L’aldilà. Giravamo con pochi mezzi, ma non erano produzioni poverissime, perché i film di Fulci vendevano e godevano di un budget adeguato. Il finale de L’aldilà è girato in un teatro di posa dove abbiamo ricostruito le atmosfere oniriche di un quadro. La tecnica di Fulci era perfetta. Per realizzare la scena nella quale viene perforato un occhio a Olga Karlatos abbiamo curato tutto nei minimi particolari. Un tratto distintivo di Fulci sono i primissimi piani degli occhi e le zoommate al contrario con la camera che si allarga. Fulci era un grande regista, come lo erano Freda, Bava e Margheriti, peccato che quando usciva un loro film veniva massacrato dalla critica per partito preso. Sono nel mondo del cinema da quando ho quindici anni e faccio questo lavoro da cinquantacinque, occupandomi di fotografia. Ho fatto cinema, ma pure televisione, fiction, caroselli, ricordo con piacere le pubblicità di Ace, Cynar con Calindri e l’Olio Sasso con Castelnuovo. Purtroppo il cinema italiano è finito e si lavora poco. Non abbiamo saputo conservare un patrimonio culturale come il nostro cinema popolare e adesso la televisione ha preso il posto del cinema».

Antonio Bruschini ha tratteggiato le similitudini tra western e cinema degli zombi. Paolo Albiero ha analizzato i finali spiazzanti del cinema horror di Fulci e la poetica dell’eccesso. Antonio Tentori ha affermato che «in un horror di Fulci tutto può accadere». Antonella Fulci ha concluso la serata ricordando che il padre amava molto Edgard Allan Poe e Antonin Artaud, autori che hanno ispirato il suo cinema, ma che non aveva una grande passione per Lovecraft.

La proiezione dei film è proseguita con Paura nella città dei morti viventi, L’aldilà e Quella villa accanto al cimitero, la famosa trilogia della morte che è il tratto distintivo del cinema di Fulci.

Nella giornata di domenica i lavori sono cominciati con la proiezione di Una sull’altra, un interessante giallo psicologico accolto con piacere da Antonella Fulci: «Sono questi i film di mio padre che amo di più, senza niente togliere all’horror. Una sull’altra nasce da un’ispirazione hitchcockiana, ma poi segue una strada originale e affronta tematiche scabrose e scomode che il regista inglese non avrebbe mai girato. È un film che fa un discorso sociale e si schiera contro la pena di morte».

Gordiano Lupi ha fatto il punto della situazione tirando le fila dei tre giorni di convegno dedicati all’opera in nero di Lucio Fulci, un maestro dell’horror, un vero terrorista dei generi che ha portato l’orrore alle estreme conseguenze, fino a farne prendere coscienza allo spettatore. «Gli horror di Fulci sono film dove la storia conta poco, le immagini prendono il sopravvento e mostrano visceralmente tutto quello che nessuno oserebbe mostrare. Fulci ha un factory, degli attori feticcio, alcune fonti di ispirazione riconoscibili e delle tematiche che ritornano sempre. Ricordiamo l’ossessione per i bambini, l’occhio che viene estirpato come metafora della perdita della ragione e la presenza continua degli zombi» ha concluso. 

Antonio Bruschini ha commentato Una sull’altra definendolo «un giallo psicologico dotato di un meccanismo perfetto, dove tutto torna senza la minima sbavatura». Secondo il critico fiorentino anche Quando Alice ruppe lo specchio è un film che merita di essere rivalutato per la tematica psicanalitica del doppio.

Antonella Fulci ha negato che Un gatto nel cervello fosse un film autobiografico. «Mio padre non aveva incubi che lo perseguitavano. Era la persona più tranquilla del mondo e viveva in pace con se stesso. Un gatto nel cervello è soltanto un gioco, un modo per ironizzare e per mettere alla berlina la psicanalisi. Tra l’altro mio padre progettava una seconda parte del film dove il regista sarebbe stato vittima dei suoi collaboratori che si univano per ucciderlo. Mio padre aveva avuto una fidanzata psicanalista che gli faceva fare una vita difficile, addirittura lo aveva definito mostro per aver girato Lo squartatore di New York. Quel film, come molti altri, è servito a ironizzare sul passato e ad affermare ancora una volta che Freud ha inventato la psicanalisi per pagarsi la cocaina! Mio padre aveva un carattere difficile, però sapeva scegliere gli amici e aveva un sesto senso per le persone. Quando un nuovo collaboratore entrava nella squadra, lo trattava male e lo derideva per vedere se stava al gioco. Se non se la prendeva allora poteva cominciare l’amicizia. Tra mio padre e Dario Argento non c’è mai stato gran feeling, forse era proprio un’antipatia a pelle. Invece aveva una grande amicizia con Mario Bava che stimava come un maestro, ma soprattutto si vedeva con Aristide Massaccesi, in arte Joe D’Amato. Secondo me mio padre avrebbe dovuto fare più commedie perché nei suoi lavori c’è sempre molta ironia. Dracula in Brianza, La pretora e All’onorevole piacciono le donne sono tre capolavori di comicità».

La tre giorni dedicata a Lucio Fulci si è conclusa con la proiezione de Lo squartatore di New York, definito da Lupi e Bruschini come «un thriller orrorifico con sequenze ai limiti dell’hard», I quattro dell’Apocalisse, un western violento, e Un gatto nel cervello, operazione di metacinema con Fulci attore nei panni di se stesso.

Emblematiche le parole finali di Antonella Fulci.

«Molti nostri registi come Mario Bava andavano celebrati in vita, senza attendere tardive rivalutati da parte di Tarantino. La nostra critica importante non è immune da colpe…». Questa considerazione vale anche per Lucio Fulci ed è sin troppo facile darle ragione.

 

Gordiano Lupi


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