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…e quindi uscimmo a riveder le stelle 
Un paio di riflessioni sulla condizione della scuola, e dell'insegnamento, nell'Italia d'oggi
23 Luglio 2007
 

Il mio professore di fisica del liceo mi spiegò che per parlare di un corpo in movimento bisognava avere almeno un punto di riferimento.

Credo di averlo capito, ma poi, ogni volta, ci devo pensare per un attimo.

Non mi dimentico delle parole dell’anziano professore, quindi provo a fare due calcoli su un pezzo di carta e mi rendo conto che siamo velocissimi.

Incolonno i numeri come facevo alle elementari e, come allora, spesso, faccio degli errori e i conti non tornano. Li ripeto e alla fine trovo il risultato, proprio come mi capitava alla scuola elementare, poi anche alle medie ed al liceo. Osservo i numeri sul foglio e mi stupisco, mi stupisco di nuovo.

Voglio dire che si tratta di un esercizio ricorrente ma tutti quegli zeri sul foglio continuano a provocarmi una strana sensazione.

Mi rendo conto che giriamo intorno all’asse terrestre a ben oltre i 1.000 Km l’ora.

Ruotiamo intorno al sole ad una velocità di circa 1.000.000 di Km all’ora.

Compiamo una rotazione intorno al centro della nostra galassia ad una velocità di 250 Km al secondo, in un viaggio che dura 200 milioni di anni.

I cosmologi ci dicono, poi, che il nostro universo è in espansione e stiamo viaggiando ad una velocità esagerata, insieme alla nostra galassia, a conquistarci nuovo spazio e nuovo tempo.

Siamo come un proiettile, anzi molto più veloci di un proiettile.

A questo punto mi viene in mente il giovane Albert Einstein, quando con la sua famiglia si trovava in Italia, il giorno in cui andò a sdraiarsi sotto un albero, in aperta campagna e mentre osservava i raggi di sole, tra i rami nel vento di un grande albero, s’immaginò di poterli cavalcare. Un evento, ci dicono, che avrebbe condizionato il futuro pensiero del grande scienziato. Un pensiero che, io credo dovrebbe ormai essere anche il nostro, visto che, ancora oggi, le sue idee rimangono un pilastro del nostro sapere, dopo oltre 90 anni dalla pubblicazione della sua Relatività generale.

Tutto ciò che in termini di nuova conoscenza ci ha regalato il giovane, vecchio saggio è stato un dono d’inestimabile valore che non siamo stati in grado di trasmettere alle nuove generazioni. Pochi insegnanti, infatti, hanno cercato di capire, d’intuire che cosa Einstein avesse voluto dirci quando parlava della costante cosmologica della velocità della luce o della quarta dimensione o quando ci comunicava che l’energia era uguale alla massa per la velocità della luce al quadrato.

Ci disse, poi, che <<Dio non gioca a dadi con il cosmo>>, mentre lui giocava, giorno dopo giorno, con la sua “corteccia associativa”. Quella zona misteriosa, sotto il cranio, dove l’intrecciarsi miracoloso delle idee crea i pensieri, il succedersi ordinato delle note ci regala melodiose sinfonie.

Lo abbiamo dimenticato nelle nostre lezioni, così come abbiamo dimenticato gran parte dei grandi uomini del ‘900. Penso a Sabin e Fleming a cui credo di dovere la vita, perché nei miei 20 anni trascorsi in Africa mi sono spesso imbattuto in qualche tenace stafilococco.

La scorsa settimana ho chiesto a miei alunni del triennio delle superiori se li avessero mai sentiti nominare. Lo sguardo rivolto verso il soffitto di alcuni studenti mi ha fatto capire che mi ero inoltrato in un mondo a loro sconosciuto. Sto parlando degli uomini di scienza, perché me ne intendo di più, ma credo che nelle altre discipline la situazione non sia migliore.

Del resto non c’è troppo da stupirsi, visto che siamo rimasti a discutere, per decenni, dell’opportunità o meno d’insegnare la teoria dell’evoluzione nelle scuole. Una teoria vecchia di due secoli, ampiamente dimostrata da un’impressionante numero di testimonianze e ricostruita con sempre maggior dettaglio dagli addetti ai lavori.

Di questo passo, dovremo attendere un secolo prima di poter discutere, con i nostri studenti, del mistero della forza di gravità. Quello per intenderci che ha portato Einstein a formulare la teoria della quarta dimensione.

Non ci resta, quindi, che attendere, magari sdraiati su un prato, all’ombra della fronda di un albero, con un trifoglio in bocca. Proprio come capitò a Newton quando fu colpito dalla famosa mela o ad Einstein quando s’immaginò di cavalcare i suoi raggi di luce…

Anche noi potremmo avere un’ispirazione insolita. Un’intuizione che non penso possa stravolge l’umano sapere ma che almeno ci possa aiutare nella nostra professione d’insegnanti, eredi diretti del ventesimo secolo .

 

Piermario Puliti

(da 'l Gazetin, luglio-agosto 2007)


 
 
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