Ero stato, a suo tempo, tra coloro che avevano deprecato l’allontanamento dagli schermi televisivi di Michele Santoro. Dopo aver sopportato, con un grande sforzo, la trasmissione andata in onda giovedì 31 maggio sui preti pedofili da lui ostinatamente voluta, ogni residuo di stima da parte mia nei suoi confronti è scomparso. È stata una dimostrazione esemplare del peggio della televisione, e tanto più trattandosi di quella pubblica: quel puntare, demagogicamente, sul pruriginoso, sul sensazionale, sul torbido, quel prendere in contropiede i due esponenti del mondo ecclesiastico, tra i quali nientemeno che un prelato di spicco come Fisichella, che sono stati, tra l’altro, gli unici a salvarsi con onore in una situazione che sembrava per loro disperata. Siamo, con questa trasmissione, tornati ai tempi bui della gogna inflitta ai reprobi sulla pubblica piazza. Attenti però: io non sto invocando alcuna censura. Invoco soltanto un modo diverso di fare informazione, soprattutto, ma non solo, quando è in gioco l’onorabilità di un ceto, per molti altri versi, benemerito e caro a tanti di noi.
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Un certo risalto ha avuto nei soliti mass-media, l’entrata in carcere di alcuni scrittori. La sovrabbondanza di notizie da cui siamo in ogni momento della nostra giornata inondati e avvolti, produce alla fine l’effetto opposto: la saturazione e l’oblio. È un altro aspetto di quella eterogenesi dei fini più volte evocata in queste note. Si dimentica così la prima rottura, non personale ma di gruppo, del muro che separa il carcere dalla vita civile, promossa e portata avanti dalla Corsia dei Servi nella seconda metà degli anni ’80. Avendone fatto parte anch’io, ne posso rendere testimonianza. Da quegli incontri uscivamo stremati, ma è stata un’avventura che ha lasciato il segno sia su di noi e sia su quelli, soprattutto politici (si pensi a quegli anni), che andavamo a incontrare. Sono nate delle amicizie durature.
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Il problema degli immigrati è un problema complesso, e devo confessare che anch’io mi pongo tra quelli che sono man mano guariti dai semplicismi generosi della prima ora, tipici di una certa sinistra o di un certo evangelismo cristiano.
Prendiamo la Lega: non è che non abbia dalla sua delle buone ragioni (il problema dell’identità non è un problema da poco), sono semplicemente mal gestite. Bisognerebbe tornare a Gramsci, al suo discorso sulle culture subalterne, troppo presto dimenticato dagli intellettuali della sinistra. Noto però una cosa: dove si trovano i più accaniti nemici dei nuovi ultimi arrivati, oltretutto portatori anch’essi di una propria identità? Tra le file dei penultimi. Basterebbe andare a guardare da vicino all’atteggiamento dei nostri emigranti o dei loro figli nei paesi dove gli immigrati siamo stati noi.
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Non sono più in grado di andare a rileggere ciò che ho dettato nelle puntate precedenti, né di obbligare qualcuno a farlo per me. Il rischio è quello di ripetermi. I miei lettori, e le mie lettrici, me lo perdonino. D’altra parte anche le ripetizioni possono avere un senso. Non mi ricordo chi abbia detto che la ripetizione è la più importante ed edificante delle figure retoriche.
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Noi cattolici latini siamo gli ultimi arrivati in fatto di familiarità con la Bibbia, Vecchio ma anche Nuovo Testamento. Può essere poco gradito a certi circoli ecclesiastici che privilegiano il tema della identità confessionale e in un momento come questo si può anche capirli, ma ciò non può giustificare il silenzio caduto su quel grande evento epocale che è stato il Concilio Vaticano II, penso in particolare, oltre che alla Lumen gentium, per quanto riguarda la Scrittura a quel grande documento che è la Dei verbum. Il diffondersi a macchia d’olio di quell’intrattenimento con la Sacra Scrittura che si chiama Lectio divina induce a bene sperare, ma siamo tuttora lontani dall’averne tratto tutte le conseguenze. Mi è caro, a questo riguardo, segnalare l’appuntamento che si ripete da tempo, ogni giovedì pomeriggio alle ore 17, al Centro Evangelico di Sondrio. I due interlocutori, don Battista Rinaldi e il pastore emerito di Poschiavo Carlo Papacella, si confrontano su un passo biblico. Non è che un ascoltatore minimamente accorto non colga le differenze, ma le differenze, questo è il punto, anziché scontrarsi si incontrano. È la testimonianza di un ecumenismo in atto, e qui sta la sua originalità.
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Il nuovo Sindaco leghista di Verona, città importante e crocevia storico, se la prende con quelle che lui chiama le Belle Arti, cioè la Soprintendenza ai monumenti. Via libera dunque, alla speculazione edilizia, che così grandi danni ha già fatto alle belle città venete. Stupisce la contraddizione: l’ambiente fisico e storico è parte integrante dell’identità di una popolazione. Non dovrebbe essere la prima delle preoccupazioni di una formazione come la Lega?
Camillo de Piaz
(da Tirano & dintorni, luglio 2007)