Caro Manuel Acosta, come ti sei permesso di rovinare la festa del regime e le grandi celebrazioni in onore di Vilma Espín, grande donna della rivoluzione? Va bene che nessuno ne ha parlato, meno che mai il Granma e Cubavision, però anche per morire serve un po’ di stile, che diamine, mica ci si può suicidare in contemporanea alla morte di un’eroina…
Il commissariato di polizia di Aguada de Pasajeros è stata la tua ultima residenza, povero Manuel Acosta, una cella bianca e spoglia, piena di muffa, nemmeno un tavolo per leggere e scrivere, neppure un libro per passare il tempo, solitudine, dolore e una flebile speranza di cambiare le cose, un giorno o l’altro. E adesso per te non esiste più niente, povero Manuel Acosta, morto suicida o forse suicidato, in una mattina come tante, degna fine d’un dissidente che non apprezza le conquiste del paradiso socialista. Forse non ti bastavano istruzione sanità patria e morale comunista? Eri davvero incontentabile, povero amico mio. Ti avevano già condannato per oltraggio a pubblico ufficiale, appena due anni di galera scontati con dignità e rassegnazione, ma non erano bastati ad aprirti la mente. Appena fuori avevi continuato a fare discorsi pericolosi, raccoglievi firme per il Progetto Varela, chiedevi la liberazione dei prigionieri politici, ti comportavi da controrivoluzionario. Non c’è peggior reato, caro Manuel Acosta, e tu lo sapevi bene, non sono cose che si fanno in un paradiso socialista e forse è proprio vero che te la sei andata a cercare.
Ti hanno arrestato ancora, pure se non avevi fatto niente, ma per fortuna che esiste il reato di pericolosità, un bel capo di imputazione, utile per punire chi parla troppo e a sproposito. Non potevi andare alla grande manifestazione in memoria di Vilma Espín invece di fare discorsi sovversivi? Cosa ti mancava, caro Manuel Acosta, che non sapevi apprezzare il regno dell’uomo nuovo dove tutto è semplicemente fantastico e anche i sogni si realizzano dopo i proclami di Fidel? Eri in attesa di processo quando ti hanno trovato morto, tu guarda che coincidenza e che disdicevole contrattempo. Non hanno fatto vedere il tuo corpo neppure ai familiari, ti hanno seppellito subito per nascondere ferite ed ematomi che qualcuno dei prigionieri ha comunque notato. C’è chi si è guadagnato la libertà soltanto per questo e adesso deve tacere, ha promesso di non ricordare niente, pure se ha visto un uomo ucciso dall’odio dei picchiatori di regime.
E adesso dobbiamo fidarci di loro - che contraddizione in termini fidarci di loro - magari ascoltare le parole dei massacratori che t’hanno suicidato tra le tristi mura d’un commissariato e verso sera sopportare sermoni televisivi sull’ingiustizia nel mondo e sui cinque eroi prigionieri dell’impero. Le autopsie di chi muore suicida non si fanno nelle carceri cubane, chi si suicida scompare e ben che gli vada fa la fine di Boitel, diventa un simbolo.
Addio compagno Manuel Acosta che non hai fatto in tempo a diventare un desaparecido, ma ti hanno suicidato lasciando che la tua bocca pronunciasse per l’ultima volta la parola libertà.
Alejandro Torreguitart Ruiz