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Afghanistan. Intervista a un “signore della guerra” sul viale del tramonto
10 Luglio 2007
 

Malik Zarin è un signore della guerra. Viene dal Kunar, una piccola provincia dell’Afghanistan situata lungo il confine con il Pakistan, caratterizzata da impervie montagne e da una frontiera porosa che continua a suscitare lo sdegno dei popoli di etnia pashtun. Malik combatte da una vita. Ha partecipato alla resistenza contro l’Unione Sovietica (1979-1989), ha attaccato il governo Najibullah negli anni convulsi dopo il collasso del regime comunista (1989-1992), ha difeso il governo di Rabbani e Masoud durante la guerra civile (1992-1996) e ha condotto operazioni sovversive su larga scala contro il regime talebano (1996-2001). Grande esperto di tattiche insurrezionali ed anti-insurrezionali, Malik si è conquistato sul campo lo strapotere politico sulla provincia di Kunar. E quando nel 2001 ha preso le parti degli americani e di Karzai, sembrava che il suo potere potesse solo aumentare.

Quando sono andato a far visita a Malik, l’ho trovato in un palazzone fatiscente alla periferia di Kabul. All’interno del suo appartamento, al sesto e ultimo piano, tutte le tende erano tirate e diversi uomini si aggiravano nella penombra. Uno di loro mi ha pilotato in un ampio soggiorno, arredato esclusivamente con tappeti e cuscini. Una decina di uomini seduti a gambe incrociate parlavano animatamente fra di loro sorseggiando tè verde. Portavano barbe lunghe e i vestiti tradizionali del Kunar. Qualche minuto dopo sono apparsi due uomini armati di Kalashnikov e dietro di loro Malik. Tutti i presenti sono sprofondati in un deferente silenzio. Dopo avermi lanciato una rapida occhiata Malik ha congedato le sue guardie del corpo senza lasciare che mi perquisissero e mi ha invitato a seguirlo in un'altra stanza dove avremmo avuto modo di parlare a tu per tu.

«Poco dopo l’11 Settembre, io e molti altri comandanti dell’Alleanza del Nord siamo andati in Italia per parlare con gli americani. Mi ricordo che io consigliai agli americani di non invadere l’Afghanistan ma di servirsi dell’Alleanza del Nord per abbattere il regime talebano. Per prendere Kabul a noi sarebbero bastati un po’ di armamenti moderni, magari qualche giorno di appoggio aereo. Niente di più. Ma gli americani decisero di invadere e di occupare l’Afghanistan. Un brutto errore». Ho chiesto a Malik quali altri errori abbiano commesso gli americani una volta entrati in Afghanistan. Lui ha risposto deciso: «Gli americani si sono alleati con le persone sbagliate. Hanno creduto alle menzogne di questi falsi amici ed hanno perseguitato molte persone innocenti. Per paura e inesperienza, hanno colpito civili inermi. E adesso gli afgani si stanno ribellando».

Ho chiesto a Malik se ritiene che gli eserciti stranieri debbano ritirarsi dall’Afghanistan. A questa domanda ha esitato un attimo. Poi ha detto: «No, non possono andare via così. I talebani sono partiti alla ribalta e se gli americani dovessero ritirarsi… qui scoppierebbe un’altra guerra civile». Ho pensato che fosse una risposta piuttosto strana per uno che in guerra ha sempre ammassato potere e ricchezze, arrivando a soggiogare un’intera provincia e a diventarne il signore indiscusso. Ma evidentemente questa volta Malik ha paura di perdere. Infatti, se gli americani si ritirassero, i talebani potrebbero prendere la provincia di Kunar abbastanza facilmente. Con tutte quelle montagne, con decine di comunità pro-taliban subito lì, dall’altra parte della frontiera, Kunar rimane una delle province più vulnerabili di tutto l’Afghanistan.

Malik storce la bocca: «Si, i talebani sono già nelle montagne di Kunar. E il governo pakistano li sta aiutando. Lascia loro piena libertà d’azione nei villaggi dalla parte pakistana del confine. Ma io non lascerò che ritornino al potere in Afghanistan. Avranno pane per i loro denti». Improvvisamente, mi viene un sospetto. Malik sta cercando di farsi bello agli occhi di un giornalista straniero. Vuole dimostrare che è ancora importante, proprio come ai tempi dell’invasione americana. Ma in questo periodo tanto difficile, con i talebani già presenti in forza sulle sue montagne, perché Malik se ne sta arroccato in un palazzone fatiscente di Kabul, circondato da guardie del corpo?

Ovviamente Malik non ammetterebbe mai di essere stato estromesso dal suo feudo, quindi non glielo domando nemmeno. Ma una cosa è certa. Se gli eserciti stranieri si dovessero ritirare dall’Afghanistan, il governo Karzai non sarebbe più in grado di mantenere il controllo della situazione ed entro pochi mesi le province più vulnerabili dell’Afghanistan ritornerebbero sotto il dominio talebano, una ad una. In quelle province cadrebbero molte teste, le teste di coloro che hanno appoggiato gli americani e sostenuto la legittimità del governo Karzai. E una di quelle teste appartiene a Malik.

 

Federico Manfredi

(da Notizie radicali, 9 luglio 2007)


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