Sono già trascorsi vent’anni da quella terribile estate del 1987, quando la furia delle acque e le numerose frane funestarono la nostra Valtellina. Sembra ieri quando le notizie dei telegiornali parlavano dei primi morti sepolti da incredibili ondate di fango e il tempo si è fermato al pensiero che alla fine di quella drammatica avventura la nostra popolazione si trovò a piangere con grande dignità ben 53 vittime alcune delle quali non poté nemmeno avere una degna sepoltura.
Ripercorrendo con questo “Speciale alluvione 1987” le tappe di quei giorni drammatici, rivedendo le fotografie ed analizzando il materiale è tornato alla mente quel senso di paura che come un profondo solco ha tracciato i volti e gli animi di quei valtellinesi che in poche ore videro andar distrutto ciò che avevano costruito con grande fatica in molti anni.
Nei giorni e nelle ore precedenti a quell’immane vendetta nella natura, drappelli di anziani si fecero premonitori di quella tragedia, la loro lunga esperienza li portava a dire che quel clima così particolare e quelle piogge annunciate in grande quantità non avrebbero portato a nulla buono.
Nel loro colloquiare con figli e nipoti dicevano: “Vedrete, vedrete che tra poche ore ci sarà il finimondo ed ancora una volta Madre natura ci presenterà il suo amaro conto”.
I giovani tentavano di sfatare quelle previsioni ma gli “avi” incalzavano nuovamente: “Sentite, sentite cari miei, persino i cani sono irrequieti e abbaiano in modo sinistro, gli animali, cari figlioli, sentono prima dell’uomo ciò che la sventura riserva e tentano di farcelo sapere”.
In quel venerdì mattina lampi, tuoni e piogge iniziarono a funestare la Valtellina e così, come veggenti, quegli anziani, toccandosi la pelata sotto il cappello di paglia, scrutavano il cielo minaccioso e ad ogni assordante suono iniziavano a raccontare storie di precedenti e drammatiche alluvioni. Quelle parole raccontate con enfasi purtroppo furono veritiere poiché ancora una volta la Valtellina si apprestava a dover convivere nuovamente con quell’“antico male” che nei secoli si è presentato più volte tra le nostre terre montane.
Venerdì 17, sabato 18, domenica 19 sono le storiche giornate dell’alluvione 1987; il 28 luglio ci ricorda la terribile frana della Val Pola ed il suo minaccioso lago, 25 e 27 agosto sono le date dell’evacuazione che ci ha costretto fuori casa per un lungo periodo e poi domenica 30 agosto ricordata da molti come la giornata della paura per la tracimazione controllata.
In queste pagine ripercorreremo quegli eventi, non ci chiederemo cosa si poteva fare per evitarli o almeno limitarne i danni; non entreremo nel merito delle questioni squisitamente politiche che videro il Ministro Zamberletti costretto a mollare il timone di una barca ormai piena d’acqua, lasciando il posto al successore Gaspari… semplicemente vorremo ricordare, ma soprattutto vorremo non dover tornare a scrivere, cronache di fatti calamitosi che ci hanno minacciato così da vicino, ci hanno lasciato un segno, un ricordo o un senso di smarrimento come quello vissuto dalla cittadinanza quando le autorità ci hanno detto di lasciare le nostre dimore.
E proprio in quest’ultimo frangente a testimonianza del triste umore della gente che lasciò Tirano per recarsi in luoghi più sicuri riportiamo quanto lo storico giornalista Giancarlo Berandi scrisse in quelle ore sul settimanale Tiranese, poiché al di là di ogni nostro commento quelle parole ci sono sembrate le più adatte per ripercorrere quelle ore difficili:
«Ci dava, il percorrere piazza Cavour vuota un senso di smarrimento, quasi di vertigine, dando un’ultima occhiata a tutto ciò che da sempre ci era famigliare, con il pensiero angoscioso che, forse, tutto quanto ancora vedevamo potesse essere distrutto dalla furia devastante delle acque. Era un’angoscia che si acuiva man mano che salivamo verso la strada di Roncaiola e, spesso, lo sguardo indugiava alla ricerca della nostra casa, della nostra chiesa, del cimitero dove riposano i nostri cari. Era un distacco che ti lacerava, ti segnava, quasi ti stordiva per quel senso irreale che portava in sé.
«Sembrava un sogno, un incubo, mentre invece era tutto vero; tremendamente vero».
Ivan Bormolini
(da Tirano & dintorni, luglio 2007)