Sembra una fiaba dai mille colori la pittura di Antonio Possenti alla Sala d’Arme di Palazzo Vecchio, trasformata in un luogo fantastico, dove il reale si mescola al surreale e l’occhio si perde negli azzurri intensi, nei rossi profondi, nell’ocra più acceso. Colori che turbano la mente in un gioco espressionistico controllato ma forte e impietoso nel simbolismo; un espressionismo, che sotto la parvenza favolistica, spinge il pensiero oltre, a scoprire l’intima connessione tra pittura e poesia, una connessione in cui le arti si uniscono per svelare il mistero di un’anima che leggera si muove sulle nebbie del reale, alla ricerca di sé e della verità, navigando la “chimera” della vita dove l’amore mai giungerà, dove la metamorfosi trasforma incessantemente le cose mutandone stati e ragion d’essere, dove lo sguardo si confonde tra ciò che è e ciò che vorrebbe che fosse. Chimera: simbolo di sogni iniziati in un tempo lontano: l’amore per la mamma, le attese adolescenziali, l’amore per una donna; il viaggio come miraggio, il mare come infinito della vita, le barche come strumenti di transito tra il contingente e il metafisico; un’immaginazione dilagante quella di Possenti, fino al parossismo; una fantasia di forme e di colori, espressione di sogni infranti; una miriade di colori tanto più accesi tanto più tristi, colori che hanno il linguaggio pulsante di ritmi incontrollabili; colori che sanno di follia e di speranze deluse; colori che svelano istinti, bisogni, pulsazioni; colori che rendono i versi di Dino Campana “poesia visiva” attraverso sensazioni, percezioni ed emozioni scaturenti da forti sinestesie di profumi, colori, sapori, in cui le cose prendono forma e vita in un dialogo muto che materializza antichi affetti, bisogni ancestrali: una valigia, quale aspirazione di un viaggio verso l’infinito della felicità; animali fantastici di un’era mitologica, ricchezza di fantasie infantili diventate nel tempo specchio di angoscia e sofferenza.
La pittura di Possenti sembra caricarsi di messaggi in un rapporto comparato: il richiamo è a Leopardi nella corsa affannosa della vita, è a D’Annunzio nella simbiosi con la natura, è a Chagall nella fantasia degli elementi, è al Doganiere negli elementi paesaggistici, è a Kandinsky nel vento dei cavalieri, è a Klimt nella coltre del dormiente, è ai Nabis, tutto sembra ma nulla è: la mostra è una simbiosi tra il pittore e il poeta; Possenti, nella rappresentazione dei Canti Orfici di Campana, illustra se stesso, creando un sincretismo perfetto in cui l’arte è poesia e la poesia è arte. I quadri diventano un percorso artistico-letterario che accomuna l’artista e il poeta nella visione della vita e a nulla vale camuffare la realtà con i colori abbaglianti; l’artista raffigura i sentimenti più intimi dell’uomo, un mondo in cui i colori sono soltanto l’esteriorità che copre la tristezza e la malinconia per l’assenza di ciò che da sempre l’uomo ha cercato e mai ha raggiunto e diventano pertanto emblematici il sonno, il sesso, il viaggio, figurazioni di desideri espresse dagli occhi chiusi o sbarrati sempre dello stesso personaggio, in cui la pupilla nera naviga in un fondo bianco inespressivo e i capelli rossicci e ritti non ne lasciano trasparire l’identità, segni di una società che annulla l’individualità. E su tutto campeggia la “chimera”, l’utopia delle cose e della vita, l’incrocio tra sogno e realtà, la costante della follia.
Quarantacinque opere in cui Possenti traccia il percorso di vita di Dino Campana, segnandone nell’istantanea fotografica, i momenti più emblematici e rendendone visivi i versi attraverso il gioco intimo delle percezioni che rimandano al ricordo, alla memoria dell’infanzia, alla consapevolezza che altra è la fiaba che un tempo ci illuse, in una realtà in cui il mondo fantastico di Possenti assume altre parvenze e apre la coscienza alla verità del disagio umano, della condizione del diverso, del bisogno di fuga e di evasione, alla fedeltà al proprio pensiero; alla crisi della favolistica a vantaggio del gotico dove tutto viene deformato ed espresso da un colore che assume i connotati dell’arte primitiva per i messaggi che comunica. Il messaggio si palesa, quadro dopo quadro, forte come i colori che lo rappresentano; il sogno di felicità è infranto e con esso il pittore e il poeta; l’artista in genere non ha una sua collocazione in una società che lo ignora e che non lo lascia dialogare: Perché tu mi dici poeta?/ Io non sono un poeta/ Io non sono che un piccolo fanciullo che piange/ (Sergio Corazzini, “Desolazione del povero poeta sentimentale”) …Non domandarci la formula che mondi possa aprirti/ sì qualche storta sillaba e secca come un ramo/ Codesto solo oggi possiamo dirti,/ ciò che non siamo, ciò che non vogliamo. (Eugenio Montale, “Non chiederci la parola”).
La pittura di Possente arriva al cuore e non come una bella favola ma come arte atta a scuotere le menti attraverso figure enigmatiche quali: elfi, uccelli, pesci, gnomi e farfalle inusitate che per analogia o per metafora richiamano altri significati che riflettono la condizione esistenziale dell’uomo e l’artista ne diventa l’esempio più emblematico con il proprio intimo disagio.
Poesia come pittura, pittura come poesia, questo e altro è la mostra in cui Possenti racconta i Canti Orfici di Dino Campana e i colori scandiscono il dialogo tra il pittore e il poeta.
«Mi sono nutrito, e continuo a farlo, di letteratura» dice Antonio Possenti. «Sono stato, soprattutto in passato, un lettore tanto accanito quanto disordinato, non avendo avuto argomenti di particolare preferenza. Il libro, del resto, mi ha dato modo di esercitare una tendenza istintiva: l’abbandono alla fantasia. Campana in questo è stato uno dei miei numi tutelari».
La chimera
Non so se tra roccie il tuo pallido
Viso m’apparve, o sorriso
Di lontananze ignote
Fosti, la china eburnea
Fronte fulgente o giovine
Suora de la Gioconda:
O delle primavere
Spente, per i tuoi mitici pallori
O Regina o Regina adolescente:
Ma per il tuo ignoto poema
Di voluttà e di dolore
Musica fanciulla esangue,
Segnato di linea di sangue
Nel cerchio delle labbra sinuose,
Regina de la melodia:
Ma per il vergine capo
Reclino, io poeta notturno
Vegliai le stelle vivide nei pelaghi del cielo,
Io per il tuo dolce mistero
Io per il tuo divenir taciturno.
Non so se la fiamma pallida
Fu dei capelli il vivente
Segno del suo pallore,
Dolce sul mio dolore,
Sorriso di un volto notturno:
Guardo le bianche rocce le mute fonti dei venti
E l’immobilità dei firmamenti
E i gonfii rivi che vanno piangenti
E l’ombre del lavoro umano curve là sui poggi algenti
E ancora per teneri cieli lontane chiare ombre correnti
E ancora ti chiamo ti chiamo Chimera
(da Canti Orfici, Dino Campana)
IDENTITÀ TRA PITTURA E POESIA:
I versi richiamano gli Inni alla notte di Novalis; versi sublimi in cui la poesia s’identifica con la Chimera dalle multiformi sembianze e significati
Possenti esprime in pittura l’angoscia interiore di Dino Campana; il suo espressionismo cromatico riflette la scelta linguistica di Campana essenzialmente nell’uso aggettivale.
Possenti utilizza appieno l’immaginazione per rappresentare un mondo poetico che si conserva tale solo nella fantasia.
L’enjambement di Campana è la pennellata rapida e veloce di Possenti.
L’enigma non si svela né si rappresenta, l’unico viatico per inseguirlo è l’Arte che attraverso i colori e i versi rende visibile e percepibile allo spirito ciò che non appare, e mai come oggi sembra attuale il richiamo di Leopardi al “solidarismo resistenziale”.
Concludiamo il percorso con una frase di Dino Campana: «Essere un grande artista non significa nulla: essere un puro artista, ecco ciò che importa».
Anna Lanzetta
Sala d’Arme di Palazzo Vecchio a Firenze
“Nel sogno abitato. Storie dipinte per Dino Campana”
Aperta fino al 29 luglio
Dalle ore 10 alle ore 19, ingresso libero
Info: Tel. 055 2639765