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Valeria Manieri. Chi ha paura di una vera giustizia sociale?
06 Luglio 2007
 

Martedì 3 luglio si è svolto, presso la sala del Refettorio di Palazzo San Macuto di Roma il Convegno “Diritto al lavoro, alla pensione e riforma del sistema previdenziale”, organizzato da Radicali italiani e dal Gruppo Welfare to work Pubblichiamo di seguito la relazione di Valeria Manieri, membro del comitato nazionale di Radicali italiani e del Gruppo Welfare to work.

 

Cari amici, innanzitutto è davvero un piacere ed un onore ritrovarvi qui oggi in questa lunga maratona che ci porta a parlare in periodo così caldo, non solo per l’estate che avanza, di temi tanto discussi e controversi e nel cuore dell’agenda politica del nostro Paese.

Insieme al Gruppo welfare to work e con Radicali italiani ragioniamo da tempo sugli argomenti che ci paiono prioritari e sulle problematiche da risolvere in questo aggrovigliato e sempre più imbrigliato sistema Italia. Un sistema Italia che tanto potrebbe regalare ai propri cittadini in termini di equità sociale, giustizia, lavoro, competitività e meritocrazia, se solo volesse.

Una Italia per ora avara verso molti, verso i più, e un sistema di welfare, uno stato sociale che è “sociale” nella misura in cui il circolo sia ristretto a pochi, pochissimi intimi. A noi non basta più, all’Italia non dovrebbe bastar più.

Come ai cittadini italiani non dovrebbe bastar più che la “conoscenza” su argomenti difficili ma non impossibili come quelli per così dire “economici” rimangano privilegio e competenza di pochi avidissimi eletti, che tendono a non voler spartire il pane della conoscenza con il resto delle persone che oggi hanno mezzi, canali e strumenti per comprendere temi cruciali per il loro futuro e per quello del loro paese.

Vogliamo con il nostro gruppo di lavoro, con Radicali italiani, con Emma Bonino, e con tutti gli altri che interverranno oggi, spartire con platee sempre più folte quelle che ci paiono considerazioni di buon senso, semplici ma non semplicistiche, non banalizzabili per slogan perché efficaci nella loro evidenza empirica.

Al senso comune contrapponiamo oggi il buon senso. Il buon senso di una politica che si confronti con le best practices degli altri paesi e che queste buone pratiche le renda cosa e bene comune e alla portata di cittadini che possano valutare.

Ad oggi, specie su certi temi, vi è una vaghezza, una approssimazione intollerabile, non solo nella classe politica, il che è certamente grave, ma anche nelle persone, male informate, gonfie di ideologia e scaldate dai ping pong parlamentari che spesso si riducono a dei nulla di fatto.

Si potrebbe affrontare subito un tema cardine di questo esempio. Il tema del mercato del lavoro e della flessibilità. Negli ultimi anni vi è una strana attitudine alla ascientificità tutta nostrana. Parlando con persone appartenenti alla sinistra estrema, si ha a che fare con un campione “massimalista” assai vasto e consolidato nel tempo, e che perciò ha qualche requisito di scientificità, data la frequenza nel suo manifestarsi. In Italia per affrontare qualunque argomento neanche troppo complesso si ricorre all’ideologia e, come massima prova empirica, si riporta la frase tipica del “conosco un tale, che conosce un altro tale, perciò ti dico che è così”.

Il casus belli risulta essere ad oggi la precarietà, la flessibilità e la necessità di una riforma sugli ammortizzatori sociali. Parlando di dati, di numeri, di buone pratiche su questo tema compiute in molti paesi europei si risponde dall’altra parte con un “Ma che dite? Ma dove vivete? La gente è precaria, il governo Berlusconi e la legge Biagi hanno peggiorato la situazione… conosciamo un sacco di gente che passa da un contratto all’altro e aziende che se ne approfittano sempre”.

Il tema e la proposta di legge elaborata da menti radicali si è prefissa come obiettivo proprio questo: affrontare il tema della flessibilità in modo serio, pragmatico e profondamente democratico. Al contrario dei molti che negli anni passati e nei giorni presenti si scagliano non solo contro la legge Biagi ma molto si disperano per i “poveri giovani senza futuro e precari”, abbiamo preferito disperarci di meno e studiare di più. Abbiamo scelto di non essere più complici di questa ideologia dilagante che peggiora le condizioni di chi vive la precarietà e non è tutelato a causa degli errori passati e perpetrati tutt’ora.

Ma per errori passati noi non intendiamo né la riforma Biagi e neppure dar contro al precedente Ministro del Welfare Maroni, bensì la totale iniquità del sistema di welfare italiano che vede soltanto 28 cittadini su 100 percepire una qualche forma di sussidio, mentre il 70 per cento deve farsi una ragione del fatto che se perde il lavoro potrà solo sperare di trovarne un altro da sé e al più presto.

Iniquità che esiste da molti anni e che, come un cancro logorante e con molte metastasi, è affare di destra come di sinistra. È ormai quasi entrato nello scheletro del nostro paese. Insomma in Italia abbiamo su 100 persone circa 28 privilegiati che hanno una rete di salvataggio e sono tutelati ad oltranza dai vari sindacati che ovviamente si disinteressano degli altri 70 che restano a spasso e che se inciampano o cadono rovinosamente durante il loro percorso lavorativo restano fermi uno, due,tre giri o anni, dovendo contare su nient altro che loro stessi.

La sinistra dovrebbe essere l’essenza stessa della democrazia, dei pari diritti, certo, anche della tutela delle minoranze… tuttavia ci pare, così ad occhio, che una minoranza di 30 persone, tra cui comprendiamo i cassaintegrati FIAT (“speciali” e “ordinari”), metalmeccanici con contratto nazionale e ci mettiamo dentro anche coloro che hanno percepito pensioni di falsa anzianità per decenni, non possa essere ulteriormente protetta, meglio dei panda del Wwf, a discapito di 70 cittadini – giovani, anziani, donne, uomini – che invece sono messi all’indice nel welfare italiano. Adesso si tratta di vedere se il governo di turno e il suo più altro rappresentante Prodi, avranno il coraggio di sfilarsi dall'abbraccio mortale di Epifani e compagni. In Italia il problema non è la legge Biagi e neppure la sana flessibilità. La vera questione è semmai la scorretta applicazione dei contratti co.co.pro. da parte delle imprese e la mancanza di un sistema universale di ammortizzatori sociali.

C’è un tormentone estivo, Gino e l’alfetta, già inno del gay pride, che impazza sulle radio e che ci suggerisce che ancora una volta il partito radicale e la rosa nel pugno ci hanno visto giusto. Non solo perché si sono fatti promotori della battaglia sui Dico per i diritti delle coppie di fatto e per sancire civilmente pari dignità e diritti alle persone omosessuali, ma perché, contestualmente, si sono occupati di un’altra discriminazione sociale, di un altro diritto da acquisire, che riguarda le giovani generazioni e le donne in particolare.

Pur non possedendo una alfetta, come canta il simpatico Daniele Silvestri, anche la Signora Gina, evocata intelligentemente da Emma Bonino qualche giorno fa, ci interessa e ha molto da conquistare. Forse non ne è propriamente cosciente, ma a parer nostro, il salto di qualità nella vita della signora Gina può essere un trampolino per il rilancio del sistema degli ammortizzatori sociali in Italia come pure per la vita della Signora in questione, magari lavoratrice part time.

Ma vediamo effettivamente le prossime signore “Gina” quali chance lavorative hanno. Mettiamo in campo dati forniti anche dalle stesse fonti CGIL, perché per non essere ideologici è necessario nutrirsi di spunti diversi. Qualche mese fa sono stati diffusi dati inediti sul lavoro flessibile da un rapporto NIdiL Cgil su base regionale e riguardanti la gestione separata Inps. Recuperando sempre dati Cgil NidiL si nota il grosso problema della disparità sessuale tra lavoratori a tempo indeterminato. Il nostro specchio ci presenta un Paese ove le donne sono sempre più schiacciate da una società che le sottoutilizza e soprattutto le sottopaga. Infatti le donne, in tutte le fasce di età, dichiarano un imponibile medio fortemente inferiore agli uomini. Il totale di iscritti alla gestione separata è di 848.466 uomini contro 626.643 donne, ma la cifra si inverte alla voce “lavoro atipico con reddito esclusivo”con ben 406.043 femmine contro 343.545 maschi. Non stupisce purtroppo neanche la voce “amministrazione, sindaco di società”, ovvero gli impieghi più retribuiti e che hanno come contropartita un certo prestigio professionale: per 365.385 uomini ci sono solo 106.608 donne.

Ad oggi leggendo questi dati, verrebbe da chiedersi e verrebbe da domandarlo anche ai colleghi della CGIL, perché perpetrare e penalizzare ancora le donne non equiparando l’età pensionabile e in generale, non innalzando l’età pensionabile cosi da poter trovare risorse utili per mettere in campo una seria riforma del sistema degli ammortizzatori sociali. Tutto ciò dovrebbe esser fatto per gli anni a venire di tutte le signore “Gine” e per poter dar loro una pensione dignitosa che garantisca oggi e domani una autonomia e una vera indipendenza.

Virginia Woolf la chiamava in un'epoca in cui il femminismo si leggeva su qualche libro all’avanguardia – «Una stanza tutta per sé». Oggi potremmo chiamarla una “pensione tutta per sé” e un “lavoro tutto per sé”. E le stanze con delle finestre spalancate sul futuro, per i giovani, per le persone avanti con l’età e soprattutto per le donne del nostro paese, quelle stanze “tutte per noi” si potrebbero chiamare ancora “equiparazione e innalzamento dell’età pensionabile” e “ammortizzatori sociali”.

Un sistema di ammortizzatori sociali generalizzato ed esteso a tutte le categorie di lavoratori, severamente vincolato alla formazione e alla riqualificazione del disoccupato, limitato nel tempo per quanto concerne l’erogazione del sussidio, ci permetterebbe di riequilibrare una situazione talmente paradossale da essere divenuta drammatica.

Drammatica a causa delle imprese che hanno mal recepito le istanze della legge Biagi, drammatica per sindacati e politici che, anziché seguire le buone pratiche applicate negli altri paesi europei, non comprendono che la riforma degli ammortizzatori sociali è il naturale completamento del libro Bianco del giuslavorista ucciso e che devono affrettarsi a farla, per non penalizzare ancor di più le fasce svantaggiate, magari aizzate contro la legge stessa con false promesse di posti fissi e di lavoro finché “bassa età pensionabile non ci separi”.

Una politica che promette ciò che fisiologicamente non può mantenere è irresponsabile e dannosa per il paese. Per questo occorre sostenere la proposta elaborata da alcune menti radicali già firmata da parlamentari, con la Rosa nel Pugno. Ancora troppo pochi, ma siamo sicuri che potremo e sapremo fare di più, con l’aiuto di tutti.

Una proposta di legge che proponendo una riforma realizzabile sugli ammortizzatori sociali, passando per innalzamento dell’età pensionabile ed equiparazione tra donne e uomini, non parla solo di economia e welfare, non offre solo una chance meritocratica e una rete di salvataggio davvero per tutti, ma è stendardo di una nuova visione di giustizia sociale, di competitività, di flex security, di welfare vicino al cittadino. Non meno importante, una visione del welfare vicina all’Europa.

Uno stato davvero “sociale” che riequilibra lì dove sfortuna o fisiologiche altalene del sistema economico hanno provocato uscite dal mercato del lavoro. Una visione alta ed altra rispetto alle false promesse di molti e una svolta radical-socialista che ha il profumo di una battaglia per diritti civili e sociali da conquistare.

Il diritto di potercela fare, il diritto di vivere dignitosamente del proprio lavoro e della propria fatica. Forse il merito premierà la costanza, l’entusiasmo, la creatività, l’ingegno di pochi o di molti. Ma tutti con pari opportunità potranno trovare la propria strada e non uscire dal mercato del lavoro e soprattutto potranno guardare la pensione con più serenità, perché saprà che sarà solo il frutto del proprio lavoro. E allora: chi ha paura di una vera giustizia sociale?

Questa è la principale sfida del nostro convegno. Sappiamo in tutta onestà intellettuale rispondere a questa domanda, domanda che riproporremo durante il lungo filo, speriamo robusto, del nostro importante rendez vous?

 

Valeria Manieri

(da Notizie radicali, 5 luglio 2007)


 
 
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