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Maria G. Di Rienzo. Bambine
03 Luglio 2007
 

Un'adolescente di Abu Dhabi, R. A., riceverà 60 colpi di frusta perché riconosciuta colpevole di aver avuto uno scambio sessuale illecito con un uomo adulto quando aveva 14 anni. Questa la sentenza del 22 giugno 2007 della Suprema Corte Federale, che ha stabilito come entrambi gli imputati siano rei di adulterio e khulwa (lo stare insieme in un luogo privato, maschio e femmina, senza essere parenti), ed ha condannato dapprima l'uomo a sei mesi di reclusione, ma in seconda battuta l'ha lasciato andare libero per «mancanza di prove». Saremmo liete di sapere, noi femministe incallite, cosa motiva la frusta per la fanciulla, a questo punto: oltre il sadismo, beninteso.

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Un giudice britannico del tribunale di Oxford, Julian Hall, ha mandato libero uno stupratore pedofilo il 26 giugno 2007, perché la vittima «vestiva in modo provocante». Keith Fenn, ventiquattrenne lavavetri, il 14 ottobre 2006 ha assalito la bambina in un parco, completo di complice (Darren Wright, trentaquattrenne), l'ha spogliata completamente e stuprata là dove si trovava; poi il sig. Wright se l'è portata a casa per avere la sua parte con più comodità. La bambina ha dieci anni ma vedete, il giudice ha stabilito che appariva molto più grande della sua età, e nella sentenza la chiama «giovane donna»: «Dimostra almeno sedici anni, ed è chiaro che si tratta di una ragazza disturbata e sessualmente precoce. Veste in modo provocante, indossava un reggiseno e un tanga». Sotto gli abiti, ovvio, ma probabilmente i violentatori ed il giudice sono in grado di trapassare la stoffa con lo sguardo, ed hanno deciso che la bambina se l'andava proprio cercando. Il complice ha ricevuto una sentenza a tre anni di carcere, ma con tutte le attenuanti che ha ed avendo scontato già otto mesi, sarà libero entro le prossime settimane. Finalmente un po' di giustizia, perdinci! Il medesimo equilibrato giudice si era già trovato nell'occhio del ciclone, all'inizio di quest'anno, per aver lasciato in libertà un altro stupratore pedofilo, con la sentenza di dare dei soldi alla sua piccola vittima affinché quest'ultima potesse «comprarsi una bella biciclettina nuova».

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Per restare in Gran Bretagna, il 12 giugno 2007 è stato reso pubblico il rapporto sul traffico di minori commissionato dal governo, e curato da Child Exploitation e Online Protection Centre. Fino ad ora vi sono 330 casi confermati, e cioe' che concernono bambini fatti entrare illegalmente nel paese a scopo di sfruttamento sessuale, spaccio di stupefacenti, schiavitù domestica, matrimoni imposti, per lo più provenienti dalla Cina, dall'Africa o dall'Europa dell'est, che sono stati tratti in salvo.

L'estensione del fenomeno, che si stima assai più vasta, non è ancora stata quantificata. Abbiamo però un dato certo: in assoluta maggioranza si tratta di bambine. La più piccola di queste “trafficate” ha nove mesi, la più grande diciassette. Quelle che sono state in grado di raccontare la propria esperienza hanno spiegato come venivano “controllate”: botte, bruciature di sigaretta, stupri di gruppo. Hanno raccontato la propria vita precedente, fatta di guerra e povertà, di abusi fisici e sessuali, di prigione e di abbandono, e del loro desiderio di fuggire. «Alcune bambine», si legge nel rapporto, «credevano che i loro rapitori le stessero salvando dalle situazioni abbiette in cui si trovavano, che le portassero in Gran Bretagna per soccorrerle».

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Kamla (il suo vero nome viene celato per proteggerla) aveva 12 anni quando fu iniziata alla prostituzione in un bordello di Delhi. Ce l'aveva mandata la sua famiglia: nel villaggio di Ghatoli (stato indiano del Rajashtan) dov'è nata, a tutt'oggi 58 delle 70 famiglie presenti vivono della prostituzione delle figlie. In genere queste bambine cominciano a “lavorare” a dieci anni, e sono i loro fratelli maschi a fungere da “agenti” per le contrattazioni. Dopo aver mantenuto i suoi con i proventi del commercio sessuale per quattordici anni, Kamla si è innamorata, ricambiata, di un uomo che ha voluto sposarla. Sapendo cosa rischiava se lo avesse detto apertamente ai propri parenti, Kamla è sparita. Per qualche tempo ha vissuto in pace, ha dato alla luce tre figli e si è curata di loro. Ma il fratello è riuscito a sapere dove stava e l'ha raggiunta per intimarle di tornare a prostituirsi: per sottolineare meglio il concetto ha usato un bastone in fiamme per batterla e ha minacciato di morte i bambini. Kamla e la sua famiglia, con l'aiuto di alcune attiviste per i diritti umani, sono fuggiti altrove.

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Nel frattempo, i religiosissimi islamisti pakistani hanno trovato la fonte di tutti i mali e quindi il loro vero bersaglio: le bambine che vanno a scuola. L'anno scorso hanno reso inagibili quattro istituti facendoli esplodere, e la loro preoccupazione è del tutto comprensibile, a leggere i rapporti relativi all'istruzione femminile nel paese: mano a mano che essa si accresce il tasso di mortalità infantile cala, lo stato di salute delle famiglie migliora, il prodotto interno lordo cresce, e le cittadine di sesso femminile diventano politicamente più attive e maggiormente consce dei propri diritti. Il Pakistan ha una delle percentuali più alte di scolarizzazione femminile, nell'Asia del sud; essa si aggira infatti, mediamente, intorno al 60%, ma nelle aree tribali cala drammaticamente sino all'1%.

Sono le nuove scuole che vengono costruite in queste zone ad essere particolarmente invise agli islamisti. Il predicatore Maulana Fazlullah ha usato una radio pirata per mesi per inveire contro di esse, mentre costruiva la propria madrassah (scuola religiosa): «La donna deve rimanere fra le quattro mura della casa. La preferenza di Dio è stata data all'uomo», eccetera. Il suo messaggio si traduce in bombe: l'ultima è stata fatta brillare dalla polizia in marzo, e le vite di bambine e insegnanti sono state risparmiate.

«Scolare e maestre vengono minacciate ovunque», racconta Fazilla Gulrez, responsabile per le comunicazioni della Società per la protezione dei diritti del bambino che ha sede ad Islamabad, «I genitori di queste bambine sono in maggioranza poveri, non hanno voce. Ma la società civile si sta facendo sentire. E le bambine non vogliono smettere di andare a scuola».

Dal 2002, la presenza femminile nella scuola primaria è aumentata del 77%. L'ondata di violenza non ha prodotto alcun calo significativo nella tendenza: se salviamo le bambine, saranno le bambine a salvarci.

 

Fonti: Gulfnews, News.com, The Guardian, The Christian Science Monitor

 

Maria G. Di Rienzo

(da Notizie minime della nonviolenza in cammino, n. 139 del 3 luglio 2007)


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