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Età pensionabile donne: conservare un privilegio o riformare una fregatura?
03 Luglio 2007
 

Quando Emma Bonino ha paventato la necessità di rivedere l'anomalia italiana dell'età pensionabile per le donne, ho avuto anch'io il riflesso di guardare alla condizione femminile nel nostro Paese e di pensare che quel “privilegio” di andare in pensione cinque anni prima degli uomini, tutto sommato, era un atto dovuto nei confronti di un lavoro non retribuito che le donne fanno alla società italiana. Quando quest'unica argomentazione è riecheggiata troppe volte, ho percepito che qualcosa stonava e che la volontà dichiarata di non modificare nulla era un modo per non affrontare il problema della condizione femminile! È allora che mi è venuto il sospetto che mantenere quel “privilegio” era un modo per silenziare quello che è un evidente circolo vizioso. Emma Bonino l'ha chiamata trappola.

Sarà un caso che nell'Unione Europea l'Italia e la Grecia sono le uniche che mantengono questa differenza di età, e sempre queste due nazioni sono le uniche a non aver avviato nessuna riforma per eliminarla e sono contemporaneamente la cenerentola nell'occupazione femminile e nelle politiche di sostegno alle donne? Sarà un caso che si permette alle donne di smettere di lavorare per andare in pensione di vecchiaia a 60 anni e poi alle figlie di quelle donne non si forniscono asili nido per potere fare a loro volta figli continuando a lavorare? Sarà un caso che i figli vengono affidati ai nonni nel 50 per cento dei casi?

Credo che tutto ciò non sia casuale, ma legato da un circolo vizioso per cui alle donne viene concesso di andare in pensione prima perché c'è bisogno che facciano a tempo pieno il loro secondo lavoro, quello a casa!

Il fatto che una donna prenda uno stipendio mediamente inferiore del 20%, che contribuisca per meno anni in un sistema sempre più contributivo e che di conseguenza percepisca una pensione più bassa rispetto ad un uomo che ha fatto lo stesso lavoro, sembra non scandalizzare quelli che sostengono essere scandalosa la proposta di uniformare l'età pensionabile.

Oltre ad essere oggetto di infrazione europea e un fatto unico in quella realtà politica continentale cui abbiamo deciso di far parte, temo che conservare lo status quo sia per le donne più una fregatura che un privilegio!

Credo sia necessario far emergere cosa si intende conservare e perché, e si capirà chi sta dalla parte delle donne. L'occasione di parlare dell'occupazione e della retribuzione femminile e dei servizi sociali, è d'oro, sprecarla sarebbe un peccato!

Occorre far uscire allo scoperto le paladine della condizione femminile: quanto sono disponibili a lanciare insieme una battaglia perché si uniformi non solo l'età pensionabile ma anche lo stipendio? Vogliamo rilanciare politiche per l'occupazione femminile? Quanto risparmiato con questa riforma delle pensioni, vogliamo in parte investirlo per servizi che servano alle donne, come gli asili nido?

Se guardiamo alcuni dati, i motivi per una mobilitazione immediata non mancano.

Per quanto riguarda i livelli di occupazione femminile la situazione non è rosea. Dietro a noi ci sono solo Grecia e Malta. A fronte di una media Ue del 57,4%, l'Italia si ferma al 45,9%. Ci sono realtà di eccellenza come Svezia e Danimarca che superano il 70%, ma anche Francia e Germania sono vicini a quel 60% di obiettivo indicato ai Paesi Ue dagli accordi di Lisbona.

Secondo un'indagine Isfol PLUS del 2005, tra uomini e donne permane una differenza retributiva, in media del 22% e la maternità, per una donna su dieci, è causa principale dell'abbandono del lavoro. Tra gli strumenti che possono conciliare vita privata e professionale, per le donne che continuano a lavorare dopo la maternità, la rete dei parenti, e in particolare i nonni (50,5%), occupa il primo posto; seguita dal nido pubblico (17,7%) e da quello privato (11,4%); il 9%, infine, si avvale di una baby-sitter.

Gli accordi comunitari di Lisbona ci chiedono di arrivare nel 2010 con una copertura territoriale di asili nido pari al 33%. Eurostat 2005 certificava che il numero dei posti per i bambini in Italia era sotto il 10%, mentre in Danimarca arrivava al 50%, e 35-40% in Svezia e Francia. Occorrerebbero 9 miliardi di euro, mentre l'ultima finanziaria ha stanziato solo 300 milioni, che, anche venissero spesi nel migliore dei modi, ottenendo un effetto moltiplicatore a livello regionale, secondo il ministro per la Famiglia, Rosy Bindi, potremmo al massimo raggiungere il 15%.

Un esempio in positivo? Quello della Germania: per triplicare la disponibilità dei posti per i bambini, il Governo ha deciso lo scorso maggio di investire 12 miliardi di euro.

Il cattivo esempio dell'Italia è riflesso nella vicenda dell'asilo nido alla Camera dei Deputati. L'Italia è, infatti e non a caso, l'unico Paese nell'Unione Europea a non avere una casa dei bambini nelle più alte istituzioni. Da più di dieci anni giace arenato nelle pastoie burocratiche, tutte maschili, il progetto asilo nido: frenato da sopralluoghi, consulenze e rimandi. L'attuale presidente Bertinotti ha promesso di occuparsene. Centinaia di parlamentari hanno sollecitato un servizio a pagamento per deputati e lavoratori, ma purtroppo dobbiamo registrare che nel luogo dei servizi e dei privilegi c'è lo spazio per il barbiere ma non ancora quello per i bambini!

 

Donatella Poretti


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