Ho letto con interesse il numero di febbraio 2007 della pregevole rivista Limes diretta da Lucio Caracciolo e comprendo i motivi della reazione negativa da parte di certa sinistra e di ambienti legati al governo cubano. Limes ha il grande torto di anticipare alcuni possibili scenari dopo la morte di Fidel Castro e il consolidamento del potere di Chávez in chiave sempre più dittatoriale. Tutto questo non può piacere ai commentatori dagli occhi bendati che quando parlano di Cuba affermano che in Guatemala si sta peggio, che la rivoluzione ha prodotto la migliore sanità del mondo e che l’istruzione è eccellente. Tutto questo dà fastidio a chi imputa solo all’embargo statunitense i problemi della società cubana, vittima di tanti errori economici commessi da Fidel Castro e da un apparato impreparato ad affrontare la gestione di un Paese. Tutto questo non piace a chi non vuole sentir dire che a Cuba è impossibile avviare un normale dibattito democratico, perché la tutela dei diritti umani non esiste e per finire in galera basta manifestare opinioni difformi da quelle del regime.
Limes è una voce autorevole della sinistra democratica che ascolto volentieri perché da sempre cerco chi racconta la verità su Cuba senza farsi prendere la mano dall’ideologia. E allora ben venga chi rappresenta il pericolo di Venecuba, di un nuovo caudillismo sudamericano, nato sulla base di un populismo d’accatto e su un patto di scambio petroli - medici - istruzione. Antonio Moscato (che non è certo uomo di destra) insiste sui parallelismi tra Castro e Chávez e spiega come la genesi del potere sia in gran parte simile, ma lascia intuire il pericolo di un uomo privo di cultura come l’ex colonnello dei parà venezuelano. Dan Restrepo afferma che il Venezuela e gli Stati Uniti non sono in condizione di interrompere la loro partnership energetica e per un buon andamento dei rapporti consiglia di ignorare Chávez. Danilo Manera, invece, vuol far credere che a Cuba esiste uno scrittore che si chiama Yoss, libero di criticare sulle pagine di una rivista italiana il regime castrista per poi tornare a fare il biologo all’Avana. Riporto solo poche frasi che costerebbero almeno vent’anni di galera a un vero cittadino cubano: «Ma si sa che tra il Granma e la verità…», «una rivoluzione sempre più confusa e un leader sempre più senile…» e poi tutta una serie di considerazioni (giustissime) sui venezuelani che sono mal visti a Cuba per i privilegi di cui godono e sulla sanità che va a rotoli, perché Castro manda i medici migliori nel Paese amico in cambio di petrolio. Se Yoss esistesse davvero sarebbe già in galera a far compagnia ai tanti dissidenti che soffrono per le loro coraggiose scelte politiche. In passato sono caduto nella trappola e ho recensito un buon libro del presunto Yoss edito in Italia da Estemporanee. Adesso so che va attribuito a Danilo Manera, oppure Yoss è un nome che non nasconde l’inesistente biologo José Miguel Sánchez Gómez, ma un anonimo scrittore cubano residente all’estero. Di sicuro non vive all’Avana, come il buon Manera vuol far credere, e in ogni caso i motivi per cui scrive sono condivisibili, quindi mi sta bene tutto.
Leggendo ancora Limes incontriamo le solite opinioni dei comunisti italiani, gente come Oliviero Diliberto che non si vergognano di definirsi «paladini acritici della rivoluzione cubana». Iacopo Venier ce la mena ancora con la storia dei dissidenti sul libro paga della Cia, sugli attentati terroristici, su Fabio Di Celmo e su un sacco di favole alle quali non crede più nessuno. Una pessima appendice cita tutte le fazioni castriste esistenti nel nostro Paese e la domanda sorge spontanea. Se i dissidenti cubani li paga la Cia, queste associazioni italiane di sostegno al regime di Fidel chi le finanzia? Limes deve dar voce a tutti e quindi c’è anche un’intervista a Jacopo Venier che consiglio di saltare a piè pari perché è come ascoltare un interminabile discorso di Fidel Castro.
Una buona parte della rivista è dedicata al Venezuela e cerca di spiegare i motivi del successo di Chávez, giunto al potere con metodi democratici, elargendo concessioni populiste e sfruttando una situazione di gravi disparità sociali. Si giunge alla facile conclusione che il chávismo è molto simile al peronismo e deve molto anche al fascismo italiano, soprattutto si basa sul culto della personalità e su poche nozioni di socialismo mandate a memoria. Il petrolio rappresenta l’unica garanzia di esistenza in vita e la sola certezza per il futuro è la progressiva scomparsa di ogni tipo di libertà. I comunisti italiani giustificheranno tutto con il vecchio discorso di Che Guevara e con l’esperienza negativa del Guatemala di Árbenz, una rivoluzione fallita per un eccesso di libertà lasciata alla destra conservatrice. Per un democratico convinto non può bastare.
Si può fare a meno di leggere un proclama di Fidel Castro che racconta più o meno le stesse cose di sempre, mentre sono molto interessanti le considerazioni di Norberto Fuentes sul difficile futuro nei Caraibi e quelle di Antonio Moscato sul periodo nero della censura a Cuba. Brian Latell afferma che Raúl Castro è un pericolo perché è «più proteiforme, contraddittorio ed emotivamente complesso di Fidel, il che lo rende meno prevedibile del fratello… rimane una figura misteriosa e sfuggente persino per i cubani…». Secondo Latell durerà poco, mentre il vero successore alla guida del regime sarebbe il più giovane e intraprendente Carlos Lage, un uomo pragmatico e meno infarcito di dottrina rivoluzionaria, che forse potrebbe garantire qualche apertura al mercato e alla democrazia. Lo speriamo tutti, per il bene di Cuba. Condivido i timori di Latell, perché Raúl è odiato dai giovani, non sa comunicare e non ha la personalità per gestire un momento complesso come quello attuale. Un ottimo articolo di Omero Ciai - uno dei commentatori più attendibili e obiettivi della situazione cubana - fa capire come la rivoluzione sia sull’orlo della bancarotta. Ciai è fin troppo ottimista quando dice che lo stipendio medio di un cubano si aggira sui 20-25 dollari. Non è così, purtroppo. La maggior parte della popolazione se la cava con stipendi che vanno dai 5 ai 20 dollari e chi ne guadagna di più è un privilegiato. Il cubano inventa il modo per sopravvivere e se ci riesce non è merito dello Stato comunista, ma delle rimesse degli emigranti e di un sistema di truffe e furti su vasta scala che rappresentano il solo modo per andare avanti. Mi fa piacere che Omero Ciai sconfessi la leggenda di una Cuba paese del Terzo Mondo. Ai tempi di Batista i cubani soffrivano per un regime liberticida e per le disuguaglianze sociali, ma l’economia non era davvero da Terzo Mondo. Come dice giustamente Carlos Franqui è il comunismo che ha condotto Cuba sul baratro della miseria. Pare proprio che le speranze per un futuro migliore debbano venire dalla Chiesa. Enrique López Oliva si domanda se la Chiesa cattolica ce la farà a guidare il mutamento politico dall’interno e guarda con grande attenzione al Progetto Varela. Resta il fatto che a Cuba la gente comune, quella che guarda Telerebelde e Cubavision, non sa neppure chi sia Varela ed è tenuta all’oscuro di ogni richiesta di cambiamento giudicata controrivoluzionaria.
Limes conclude la sua profonda analisi sulla situazione cubana con una bella carrellata di narratori e poeti, molto parziale per il poco spazio dedicato a una letteratura viva e interessante. Danilo Manera fa ammenda per non aver compreso subito la genialità di Pedro Juan Gutiérrez e la cosa gli fa onore, ma non dovevano essere certo le poesie a fargli cambiare idea. Gutiérrez mi ha confidato in un’intervista esclusiva rilasciata pochi mesi fa che si considera un narratore e che le poesie sono soltanto un modo per prendere appunti e per fissare su carta la realtà del quotidiano. Gutiérrez ha scritto veri capolavori come Il re dell’Avana, Trilogia sporca dell’Avana e Memorie del figlio del gelataio che consiglio di leggere se volete apprezzare il vero volto di Cuba. Tra gli autori presentati troviamo un diligente Jorge Enrique Lage e un divertente Eduardo Del Llano che realizza una simpatica presa in giro della polizia cubana. Davvero ottime le poesie di Gutiérrez, anche se sono superiori le rime del repentista Alex Díaz Pimienta ed è davvero indimenticabile la struggente Trafficanti di ossigeno, una spiegazione letteraria della situazione cubana. Concludo il pezzo trascrivendo la poesia nella traduzione molto efficace di Danilo Manera.
Trafficanti d’ossigeno
Traffichiamo con tutto, è vero: con il pudore,
con le saponette del razionamento, con la fame,
con la storia del paese, così cara.
È come un bisogno invertebrato, un vizio.
Traffichiamo con il sonno degli insonni,
con le medicine dell’agonizzante,
con il pane delle formiche, con la povertà.
Tutti traffichiamo con la povertà,
la vendiamo a un prezzo esorbitante,
alla portata soltanto dei ricchi.
Ma i ricchi sono i primi a trafficare.
Trafficano con l’immagine,
con l’invidia di altri ricchi che compaiono sui giornali,
con le loro catenine di Miami e i numeri della lotteria clandestina.
“Cuba è il paese dove i ricchi mangiano peggio,
ma dove mangiano meglio i poveri”,
ha detto Sampedro, un trafficante d’intelligenza spagnolo.
Sulla porta delle scuole, nelle pescherie,
dietro le chiese, dovunque, traffichiamo con tutto,
con il culo esuberante delle nostre donne,
con l’allegria contagiosa dei neri,
con la paura, con il coraggio, con la musica,
con i sigari, con l’ossigeno che respiriamo.
Trafficanti d’ossigeno, come gli alberi,
ecco, in fin dei conti, quel che siamo,
anche se ci chiamano figli, padri,
amici, compagni.
Trafficanti d’ossigeno,
candidati alla pena capitale, che è la tristezza.
Miguel Mejides ha detto che «un popolo che soffre produce una grande letteratura». Non c’è alcun dubbio che in questi anni Cuba stia soffrendo molto.
Gordiano Lupi
Gordiano Lupi è autore di Almeno il pane, Fidel (Stampa Alternativa, 2006) e traduttore di Cuba particular di Alejandro Torreguitart (Stampa Alternativa, 2007)
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