Gerusalemme. In una situazione in cui crescono la violenza, l’inosservanza delle leggi, la radicalizzazione politica ed il deterioramento generale dei diritti umani, le attiviste per i diritti delle donne nella striscia di Gaza si stanno attrezzando per l’escalation delle aggressioni nei loro confronti. Lama Hourani (foto), attivista per i diritti civili ed i diritti delle donne, non velata, ha dichiarato la scorsa settimana che non uscirà di casa sino a che non vedrà cosa accadrà sulle strade ora che le forze armate di Hamas hanno preso il controllo della striscia di Gaza e del suo milione e mezzo di abitanti. Poiché membri di Hamas hanno tentato di forzare con la violenza le donne ad usare il velo, durante la prima Intifada iniziata nel 1987, Hourani sta aspettando di vedere se tenteranno la stessa cosa oggi: «Il punto critico è capire quali sono le regole di Hamas. Non sappiamo più quali siano le leggi, qui, non solo come donne ma come Palestinesi».
Hourani aggiunge che le violazioni dei diritti umani delle donne, collegate ad una serie di fattori politici, economici e sociali, sono aumentate da quando l’organizzazione islamista palestinese ha vinto le elezioni nel marzo 2006. Colpi di arma da fuoco risuonano alle sue spalle mentre mi parla al telefono: «Le donne non velate sono state assalite per strada come mai era accaduto in precedenza».
Dopo parecchi mesi di scontri, Hamas ha lanciato la scorsa settimana un attacco su larga scala contro l’Autorità nazionale palestinese. Il presidente Mahmoud Abbas ha sciolto il governo di unità nazionale, che aveva tre mesi di vita, e dichiarato un governo d’emergenza. La striscia costiera di Gaza, situata tra l’Egitto ed Israele, e la West Bank, territorio sulla sponda occidentale del fiume Giordano, sono ora controllate da forze rivali.
«Ciò che sta accadendo nella striscia di Gaza è una terribile guerra civile», dice Amal Kreisheh, direttrice della Società delle donne palestinesi lavoratrici per lo sviluppo di Ramallah. «Ogni sforzo possibile dev’essere compiuto per mettere fine a questa follia».
Mercoledì scorso, le forze israeliane hanno ucciso numerosi militanti a Gaza, ed hanno intrapreso raid aerei in risposta ai razzi lanciati contro Israele. Circa 160 persone sono morte a Gaza durante gli scontri tra fazioni palestinesi tra il 10 ed il 17 giugno, inclusi 45 civili: sono i dati del Centro per i diritti umani “Al Mezan” di Gaza. Undici dei quarantacinque civili erano donne. Più di 400 persone sono morte a Gaza dal 1° gennaio 2007.
Come risultato degli scontri dei mesi passati fra Fatah ed Hamas centinaia di donne sono ora vedove. Improvvisamente vulnerabili ed isolate, si trovano in una società lacerata da una guerra civile che divide le famiglie; le istituzioni che dovrebbero sostenerle appaiono anch’esse vulnerabili. L’11 aprile scorso, la società di beneficenza al-Atta, che opera nella striscia di Gaza a favore di donne e bambini, aprì un centro di formazione professionale per le ragazze in cui venivano insegnate tecnologie informatiche. Il giorno successivo i computer ed i materiali furono trafugati e fu dato fuoco all’edificio. La polizia sostiene che non si sia trattato di un crimine dell’odio di genere, ma le attiviste per i diritti umani delle donne di Gaza la pensano altrimenti, e credono che i loro centri potrebbero esseri i prossimi bersagli, ora che la striscia è controllata da Hamas. «Sono contrari alle agende delle donne, a che le donne siano in posizioni di potere ed ai diritti delle donne», spiega Rima Alrakhawi, addetta alle pubbliche relazioni del Centro per le istanze delle donne di Gaza, che si occupa di ricerca e formazione professionale. «Domenica abbiamo riaperto il Centro dopo la settimana di combattimenti. Sappiamo che è molto pericoloso anche ora, però».
I cosiddetti “delitti d’onore” hanno avuto un picco di crescita durante l’anno scorso, a Gaza. Tra il gennaio 2006 ed il marzo 2007, diciassette donne sono state assassinate per motivi “d’onore”. Di almeno cinque omicidi si è accertato che sono stati perpetrati da gruppi religiosi, anziché da membri delle famiglie delle vittime. Un fenomeno nuovo ed allarmante, sostiene Mahmoud Abu Rahma, coordinatore del Centro “Al Mezan” per i diritti umani di Gaza: «Il problema è che non vediamo alcuna azione da parte di istituzioni e governo per proteggere le donne da tanta violenza».
All’inizio di questo mese, un gruppo islamista che si autonomina Le spade della verità aveva minacciato le lavoratrici televisive di decapitarle per i loro «indumenti immodesti». I gruppi per i diritti umani hanno denunciato la minaccia e le giornaliste in questione hanno organizzato ben due manifestazioni di protesta a Gaza. Di recente anche gli uffici delle ong, i caffè, i negozi di dischi, i punti internet e i saloni dei parrucchieri sono stati attaccati o dati alle fiamme da gruppi religiosi. Uno di essi ha attaccato un evento sportivo il 6 maggio scorso, evento che si dava in una scuola gestita dal fondo umanitario delle NU, perché le gare includevano bambini e bambine: un adulto è stato ucciso durante l’attacco e sei sono stati i feriti, inclusi due giovanissimi studenti.
Le attiviste dicono che una seria escalation dell’insicurezza a Gaza e in minor misura nella West Bank, incluso il rapido diffondersi della criminalità e l’incremento dell’uso di armi, ha avuto inizio nel 2003, pochi anni dopo l’inizio della seconda Intifada. Esse indicano un numero di fattori per tale escalation che includono il modo in cui l’occupazione militare israeliana (le demolizioni di case, le detenzioni arbitrarie, la tortura) ha impedito ai territori palestinesi di svilupparsi economicamente e di stabilizzare le proprie istituzioni; e la diminuzione degli aiuti dall’occidente accoppiata al boicottaggio economico imposto dagli Usa, dall’Unione Europea e da Israele negli ultimi quindici mesi, fattore che ha indebolito ulteriormente un’economia già in condizioni critiche (a Gaza, il 70% della popolazione vive sotto la soglia di povertà).
Mercoledì scorso, dopo l’attacco israeliano ai militanti palestinesi a Gaza, il governo israeliano ha posto fine all’embargo diplomatico ed aperto un contatto con il governo d’emergenza palestinese. Gli Usa e l’UE si stanno anche muovendo per riprendere il programma di aiuti e le relazioni con il nuovo governo.
«In presenza di un tale disastro politico», dice Lama Hourani, «la società palestinese, come molte altre nel mondo, tende ad enfatizzare tratti di conservatorismo ed i diritti delle donne spesso non sono considerati una vera priorità».
«La radicalizzazione è lo sbocco consueto per società che attraversano conflitti militari prolungati», aggiunge Maha Abu Dayyeh Shamas, direttrice del Centro d’aiuto e consulenza legale per le donne di Gerusalemme. «Non solo la radicalizzazione, ma anche il crollo di ogni tipo di legge e di ordine. Nelle società patriarcali, e tutte le società al mondo ancora lo sono, le donne sono l’elemento “debole”. Se non ci sono politiche adeguate, sistemi di controllo, governo, le prime vittime del patriarcato e della militarizzazione saranno le donne ed i bambini».
Brenda Gazzar(*)
Maggiori informazioni:
Al Mezan Center for Human Rights
(*) Giornalista indipendente, corrispondente da Gerusalemme per WeNews. 21/06/2007, traduzione di Maria G. Di Rienzo