Non è cosa semplice parlare d’amore; non lo è neppure parlare di passione. Per quanto forse quest’ultima, almeno appigliandosi al suo significato comune o etimologico dia modo di svolgere un discorso amoroso più lineare e schematico, ed è così che l’affronterò proprio per contrasto con quel che di fiammante, acceso, incontrollato la passione può far venire subito in mente ai più: la passione come esplosione del sentimento e delle emozioni, la passione come rapimento dei sensi e del razionale, la passione come sofferenza e macerazione.
Ho tardato a lungo prima di riprendere i miei discorsi amorosi, li ho inframmezzati volutamente con il filone “la poesia d’amore preferita dai poeti”, desideravo respirare un poco, aspettare, lasciare che il pensiero sedimentasse detriti, che si sgombrasse da nubi, riprendere il sentiero non è facile ma non tanto perché vi siano detrattori od oppositori, anzi questi sono il segno che si dice qualcosa di significativo, non tanto perché non sappia che mi attende il varco dell’erotico sessuale, non tanto perché non sappia che quest’ultimo è certamente l’aspetto epidermicamente più ricercato dell’amore. Sono consapevole che esso risponde ad un bisogno, come bere o mangiare, forse maggiormente assimilabile al pensare, che si può fare oppure evitare, rimandare, rinnegare ma solo fino ad un certo punto e pagandone sempre le conseguenze, e neanche perché intenda defilarmi dall’affrontarlo ma solo dopo, quando avrò svolto d’ogni aspetto che ritengo, nell’ordine dettato dal mio intuito ed intento, le volute del mio senso.
L’etimologia latina del termine passione ci rimanda al verbo pati, patire, sopportare, ma in origine passio indicava un turbamento dell’animo senza l’accezione di sofferenza che adesso gli si connette. Questo significato fu indotto dalla denominazione data all’evento cristiano che corrisponde al percorso di Gesù verso la sofferenza in croce dopo il periodo di meditazione e raccoglimento nell’orto di Getsemani: la flagellazione, il calvario, il momento catartico della crocifissione.
Per tutto il medioevo prevalse quindi il significato di passione come percorso di dolore, macerazione spirituale, di raccoglimento e di pensiero, di sofferenza morale, psichica e anche fisica a somiglianza e ripetizione della sofferenza mistica della passione cristiana.
Nel termine passione è certamente presente e forte il connotato dell’intensità del sentire, per questa ragione la parola è arrivata ai giorni nostri ad indicare un sentimento, ancor più che un’emozione momentanea, così potente da prevaricare le capacità razionali.
Odio, amore, ira, gelosia sono sentimenti che l’essere umano prova con intensità variabile, la parola passione esalta appunto il fatto che l’uomo diventi preda o vittima di questi sentimenti a livelli d' intensità e/o dolorosità via via crescenti con meccanismi soggettivi non del tutto comprensibili o controllabili razionalmente.
Certo di tutte le passioni, la passione amorosa, come sviluppo, apice o eccesso dell’innamoramento, è quella che per prima viene in mente.
E’ facile adesso per similitudine accostare l’innamoramento alla passione e trattarli come sinonimi, per quanto, a mio avviso, quest’ultima non esaurisca nel significato l’altro, ma lo comprenda e aggiunga ulteriori elementi al concetto. L’innamoramento inoltre sembra piuttosto definire il fenomeno psichico/biologico inducendo quindi il rimando ad un’idea statica di quadro sintomatico.
Ho già sviluppato in precedenti discorsi un disegno di approccio amoroso in proiezione lineare o tortuosa, che prevede, incontro, curiosità, interesse, seduzione, corteggiamento, conoscenza.
A questo punto, poco prima, poco dopo, in un dato o imprecisato momento (il dato o imprecisato dipende dal grado di consapevolezza) scatta il meccanismo chimico dell’innamoramento.
La passione e l’innamoramento spingono potententemente gli amanti l’uno verso l’altro, fanno percepire la loro reciproca mancanza come un vuoto da colmare affettivo e di presenza fisica, essi saziano questo bisogno con la vista, l’ascolto ed il toccare l’altro, con il congiungersi a lui in ogni manifestazione di affettività sempre più intensa, ravvicinata e d’unione per placarsi solo, e momentaneamente, con il rapporto sessuale e nel tempo con la soddisfazione ripetuta di questo desiderio. Non dimentichiamo che di fondo c’è sempre uno sviluppo endogeno chimico ormonale che governa picchi e cadute di questi bisogni.
Ma ridurre tutto ad un fatto chimico/fisico è povero di contenuti, non è solo carne l’uomo, è anche spirito intelletto, motivazioni, desideri. Quando si creano le condizioni favorevoli per quest’esplosione di colori, il mondo acquista una luce indescrivibile, l’animo vibra d’entusiasmo e vitalità fuori dell’ordinario, l’attesa è sempre di piacevolezza, il patema è la delusione dell’aspettativa, il timore maggiore quello di perdere l’amato o l’amore dell’amato. Ogni cosa, gesto, sguardo che conforta il nostro desiderio, ci fa gioire, ogni cosa che va in senso inverso soffrire ed in quest’altalena di speranze e delusioni si cammina, si va avanti, ci si addentra nella valle del piacere.
Sul piacere insisto particolarmente perché l’innamoramento, così inteso, è qualcosa che coinvolge talmente cuore e mente da farci sentire sospesi a tre metri dal suolo o appesi all’altalena del cielo; ci fa sentire forti e capaci di raggiungere ogni cosa, superare ogni ostacolo, perché c’è l’altro a sostenere ogni nostro passo, è l’altro la ragione d’ogni azione e pensiero, il fine e l’interesse.
Ci fa sentire speciali, ricchi di vita e di tante cose da fare, anche solo fosse tutto l’atto del pensare costantemente all’altro, ad ogni suo gesto, parola, sguardo, ad ogni suo angolo del viso, al suo modo di muoversi, di ridere o parlare.
E per questo che l’amore fa sognare, alimenta progetti e speranze, è d’ogni esperienza che la vita ci riserva tra le più belle, qualcosa per cui val la pena di vivere, è una fetta di felicità che rappresenta il miglior contraltare al basto di dolore che non possiamo fare a meno prima o poi di doverci accollare.
Non essere mai stati innamorati è una perdita, non riuscire ad innamorarsi non è solo una sfortuna, per innamorarsi c’è bisogno di umiltà, c’è bisogno d’aver bisogno dell’altro, di ammetterlo, di permettergli di permeare la nostra esistenza, di andargli incontro, di disarmarsi, di sentire che la nostra essenza passa dall’altrui riconoscenza/riconoscimento, di essere disposti a donarsi, di mostrarsi per come si è, in fiducia e affidandosi, pur nel gioco di resistenza e cedevolezza ch’è proprio del corteggiamento. Per innamorarsi non c’è età e non è mai troppo tardi (o troppo presto).
Ed infine, e per concludere, l’innamoramento è uno stato di grazia che regala un senso di pienezza, completezza, ricchezza, potenza tali non c’è da sorprendersi che sia stato assimilato (per poter comprendere e percepire lo splendore d’altro tipo d’unione ultraterrena), allo stato di beatitudine che proveranno/proverebbero le creature, quando potranno ricongiungersi al creatore, in una compenetrazione totale che sazierà in eterno ogni bisogno.
Ma con questo non voglio indurre a comportamenti superficiali d’innamoramenti a ciclo continuo, ogni due anni o pressappoco (pare, infatti, che chimicamente il processo si esaurisca in questi tempi), voglio solo dire che è un’esperienza che val la pena di vivere almeno una volta ( o qualche volta ) nella vita per poter dire, capire, raccontare: ebbene io ho vissuto.
E poi, a ben vedere, ci s’innamora veramente soltanto poche volte nella vita; quando si provi a passare in rassegna il proprio vissuto, le tante storie trascorse, riflettendo, scremando, ce ne sono davvero poche nelle quali ci si può riconoscere veramente innamorati.
Ma neppure è possibile innamorarsi a comando, in genere accade proprio quando meno lo aspettiamo, quando sono abbassate le difese, quando c’è bisogno di un cambiamento, di una rivoluzione vitale. Diciamo più semplicemente che accade ed è davvero difficile da spiegare.
L’innamoramento transita alla definizione conclamata di passione in relazione alla misura, quando maggiormente è alterato il grado di controllo razionale del fenomeno, quando il coinvolgimento/desiderio s’innalza fino a rasentare la perdita del raziocinio fino alla sofferenza dell’assenza.
Tale condizione più facilmente, ma non necessariamente, potrà verificarsi quanto più si tratti di un sentimento contrastato da altre persone, dalle circostanze, dalla mancanza di corresponsione; in tali casi, l’essere soli od ostacolati nel sentimento provato, può aggiungere un connotato di dolorosità e d’intensità tanto più profondo quanto più il sentimento ha assorbito ogni ramo d’intelletto .
A spiegare meglio subentra qui il rimando alla delusione vitale argomentata nel terzo discorso amoroso.
Per concludere in tema e versi ho scelto la poesia che segue: di Daniela Raimondi, dalla raccolta Mitologie Private.
Fabula
Vieni come viene l’amore
così, semplicemente,
umido e bianco come un morso di pane.
Sei la fame che ci prende la sera
con i negozi chiusi, le saracinesche abbassate.
Ma tu vieni e mi porti cose buone:
pane, frutta, le tue labbra sulla nuca,
qualcosa che fiorisce dentro il sangue.
Ho un nervo che mi scava,
rosso e splendente come una rinuncia.
Un pesce che si agita nel ventre,
che batte e batte sulla radice del mondo.
Ma tu vieni, e sconfiggi il selvatico che ho nella saliva,
baci l’invalida,
la donna inchiodata da sempre alla nudità dei faggi.
Doni un coraggio nuovo
per la sete del ventre
per il mio seno che lievita nella tua bocca
per la mia anima di spuma
per i miei occhi bucati dal gelo
per la favola che mi semini sul corpo
per il mio cuore bianco come un osso
per la tua lingua che scava nel purgatorio della carne
per le tue mani che dici troppo piccole.
Per la sola dolcezza delle tue piccole mani.