– Guarda che cosa ho trovato! – mi disse la mamma, tenendo una rondinella in mano.
Era caduta dal nido. Non sapeva volare. Se fosse rimasta a terra sarebbe caduta nelle grinfie di qualche cane o di qualche gatto.
Decisi di adottarla e di svezzarla fino a quando fosse stata in grado di volare. L’idea di mettere la rondinella in una gabbia o in una scatola mi faceva però accapponare la pelle. Decisi di tenerla libera in bagno, unico luogo sicuro della casa, adottati, ben si intende, gli accorgimenti del caso.
Ciro, così chiamai la rondinella, rimaneva appollaiato immobile sul bordo della vasca. Non c’era verso di fargli aprire il becco. Interpellai il veterinario.
– Cosa posso fare per svezzare una rondine?
– Una rondine? – chiese scandalizzato – È impossibile allevare una rondine!!! È destinata a morire. Tanto vale sopprimerla subito senza farla soffrire.
Come non detto. Un sistema doveva pur esserci. Innanzitutto debbo capire cosa mangia. “Mollica di pane? Granaglie? Frutta? Carne trita?” ...Era un vero rebus. Consultai l’enciclopedia. “Le rondini sono insettivori”. È già qualcosa. Almeno so come cibare Ciro.
Andai alla ricerca di insetti e provai a nutrirlo. Niente da fare. Ci voleva una strategia d’emergenza. Gli aprii il becco con la forza (si fa per dire). Gli cacciai in gola gli insetti, costringendolo a inghiottirli. Esperimento riuscito. Ciro non opponeva resistenza perché aveva fame. Per dargli da bere dovevo però escogitare un altro sistema. Mi riempii la bocca con un sorso d’acqua e la versai a piccole dosi all’interno del becco che tenevo aperto con entrambe le mani. Mi alzavo nel cuore della notte a caccia d’insetti perché Ciro aveva bisogno di nutrirsi almeno ogni tre ore.
In poco tempo si era instaurata tra di noi una grande intesa. Cresceva a vista d’occhio. Un giorno, con mia grande sorpresa, attinse da solo l’acqua dalle mie labbra. Era finalmente in grado di bere senza difficoltà. Un grande passo avanti era stato fatto. Poco dopo apriva il becco anche quando gli porgevo gli insetti. Lo svezzamento era completato.
Un giorno entrando in bagno mi venne un coccolone. Ciro non era più sul bordo della vasca. Lo chiamai concitata. Mi rispose con il suo inconfondibile cinguettio. Era sopra il davanzale della finestra. Capii che aveva iniziato a volare. Lo portai in camera da letto, usata all’occorrenza quale palestra di volo. Se la cavava benissimo. Capii che era giunto il momento di separarmi da lui. Mi sarebbe piaciuto tenerlo per sempre, ma sarebbe stato atroce per una rondine destinata ad attraversare l’oceano passare la vita chiusa in una casa.
E così, per il bene di Ciro, vincendo il mio egoismo decisi di liberarlo. Andai nel luogo dove la mamma lo aveva trovato e lo lanciai verso il cielo. Volò in alto, andando a posarsi nel nido da cui era caduto.
Aveva ritrovato la sua casa e con essa il suo destino.
Vanna Mottarelli