I.
«Non solo c’è vita dappertutto, unita a membra od organi, ma c’è anche un’infinità di gradi [vitali] nelle monadi, nella misura in cui le une dominano più o meno sulle altre» (p. 39) dice Leibniz nella sua opera I principi razionali della Natura e della Grazia. Ed infatti, affermerà ancora nella Monadologia che «c’è un mondo di creature, di esseri viventi e di animali, di entelechie di anime – anche nella più piccola porzione di materia. Ogni porzione di materia può essere concepita come un giardino pieno di piante, o come uno stagno pieno di pesci. Ma ciascun ramo delle piante, ciascun membro dell’animale, ciascuna goccia dei loro umori, è a sua volta un tale giardino o un tale stagno. E sebbene la terra e l’aria interposta tra i pesci dello stagno non siano né piante né pesci, esse tuttavia contengono ancora altre piante e altri pesci, ma perciò più in forma sottile a noi impercettibile. Sicché non c’è nulla di incolto, di sterile, di morto nell’universo» (pp. 91-92). L’universo è un’esplosione di vita. Nessuna parte di esso, nessun luogo, nessun anfratto se ne può tirare fuori. Per Leibniz «c’è vita dappertutto» (p. 39). L’universo è vita.
II.
Che cos’è una monade? Essa è «una sostanza semplice che entra nelle cose composte; semplice cioè senza parti» (p. 61). Le monadi inoltre «non hanno finestre, attraverso le quali qualcosa possa entrare o uscire» (p. 61). Ed ancora esse «possono iniziare e finire unicamente tutt’a un tratto, vale a dire: possono iniziare solo per creazione e finire solo per annientamento» (p. 61). In ogni singola monade non avvengono mai «mutamenti tra le parti» (p. 61) ed «è inoltre necessario che ciascuna monade sia differente da ogni altra» (p. 63) e che le diverse monadi: «abbiano delle qualità» (p. 63). Leibniz continua ancora dicendo che «i mutamenti naturali delle monadi dipendono da un principio interno dato che nessuna causa esterna potrebbe influire sul loro interno» (p. 63). Per cui l’appetizione è quella «azione del principio interno che determina il mutamento, ossia il passaggio da una percezione a un’altra» (p. 65). E, per quanto riguarda la percezione: essa è uno «stato transitorio» (p.65) cioè uno «stato interiore» (p. 41) che «si rappresenta le cose esterne» (p. 41). La percezione insomma è «la rappresentazione di ciò che è esterno» (p. 37).
Le monadi inoltre non sono suscettibili di poter esser formate e neppure di poter essere disfatte. Sono inestese e perciò non hanno ne un inizio e ne una fine. E sono senza alcuna figura.
Esse rappresentano (nelle parole di Leibniz): «i veri atomi della natura: in breve, sono gli elementi delle cose» (p. 61); cioè: «le vite, le anime e gli spiriti» (p. 37).
Le azioni interne di ogni singola monade modificano tutti i suoi rapporti, tutte le sue relazioni e tutte le sue connessioni con ogni altra monade presente nell’universo.
Il fatto che nell’universo tratteggiato da Leibniz la vita sia presente in ogni anfratto per quanto recondito esso sia, in ogni cosa, in ogni istante, implica che dentro ogni monade sia presente un’infinità di gradi vitali. Perché ogni cosa fluisce ed esiste anche una gerarchia ontologica «fra le monadi e fra le monadi e Dio» (p. 15) la quale corrisponde esattamente ad una «distinzione di gradi della conoscenza» (p. 15).
In ogni cosa esiste la vita ed esistono queste monadi. Filosoficamente Lebniz individua in ogni monade «uno specchio vivente, cioè uno specchio dotato di azione interna che rappresenta l’universo secondo il proprio punto di vista, e che è regolato così come è regolato l’universo stesso» (p. 39).
Dunque ogni cosa è vita e ci sono queste monadi che, ognuna diversa dall’altra, sono delle rappresentazioni del Tutto. Ognuna di esse è il Tutto. Ognuna è un’identità che ci mostra il molteplice, l’illimitato, l’infinito. L’insieme di tutte quante le monadi è quell’universo rispetto al quale, a questo punto, Dio è il sommo «Architetto» (p. 53) ed il supremo «Monarca» (p. 53). Puntando tutta la sua attenzione sulla monade Lebniz non fa altro che puntare tutta la sua attenzione sull’alterità, sull’Essere-Altro. Egli individua infatti gli specifici «atomi della natura» (p. 61) e quindi della differenza ontologica. Ogni monade è diversa dall’altra. Ogni specifico atomo lo è dell’altro per definizione. Questa caratteristica delle cose costituisce il principio di identità degli indiscernibili in Leibniz.
Che egli enuncia in questo maniera: «è inoltre necessario che ciascuna monade sia differente da ogni altra. Nella Natura, infatti, non esistono due Esseri che siano perfettamente uguali, e nei quali non sia possibile trovare una differenza interna, cioè una differenza fondata su una denominazione intrinseca» (p. 63).
In questo modo l’Essere-Altro nel sistema di Leibinz si configura come una specie di leva o di cannocchiale col quale (puntando tutta la sua attenzione sulla monade) il filosofo di Lipsia riesce a gettare lo sguardo sull’intero universo; ad innalzarsi ad esso, da che era sulla Terra.
E quindi a Dio.
La singola monade, l’Essere-Altro, gli permette di cogliere così un «punto di vista» (p. 39) nuovo sul Tutto. Un «punto di vista» (p. 39) altro e diverso rispetto a quello di ogni altra monade.
Grazie al principio di identità degli indiscernibili Lebniz può perciò raggiungere l’infinito.
Per cui l’Essere-Altro di ogni monade costituisce proprio quell’apertura verso l’infinito che ogni cosa porta con se. Un’ infinito che è tutto (che è solo) vita. Ed in cui dunque «non c’è nulla di incolto, di sterile, di morto» (p. 92).
III.
Il principio di identità degli indiscernibili è la chiave di volta per cogliere l’infinito dell’universo. L’Essere-Altro si configura come apertura verso la trascendenza, la molteplicità e la complessità. Ma anche verso l’ordine. «Monade» è una parola che deriva da «monas», che significa, dice Leibniz: «l’unità o ciò che è uno» (p. 38). Centrando il suo discorso sulla monade Lebniz individua l’unità dell’universo, l’ingrediente della sua struttura, la sua materia. Ciò gli consente di cogliere il Tutto.
Le monadi dunque sono per Lebniz le radici, le cause, le ragioni del Tutto.
Ed immediatamente sono anche l’Essere-Altro.
Ogni monade trascende se stessa e si supera in virtù di quell’ Armonia Prestabilita sino dalla creazione («fin dall’inizio» [p. 39] dice Leibniz) che mette in opera, regge e disciplina l’universo ma anche la vita che è presente all’interno di esso e quella che si trova in ogni singola monade. Infatti «c’è… una perfetta Armonia fra le percezioni della monade e i movimenti dei corpi, un’Armonia prestabilita fin dall’inizio tra il sistema delle cause efficienti e quello delle cause finali» (p. 39). A cause di questa Armonia «segue inoltre che non solo l’ordine dell’intero universo è il più perfetto possibile, ma pure che in ogni specchio vivente, cioè in ogni monade… le percezioni e le appetizioni devono essere al meglio regolate e compatibili con tutti il resto» (p. 51). In sostanza «tutte le cose sono… regolate una volta per tutte, col massimo di ordine e di corrispondenza possibili». Esiste quindi un accordo sublime fra il «Regno della Natura» (p. 53) e il «Regno della Grazia (p. 53)». E questo accordo è sancito e garantito dal Principio di ragion sufficiente che ha sede («si trova» afferma Leibniz) in Dio ed in virtù del quale il nostro – questo - è il migliore dei mondi possibili. In questo nostro universo ogni monade diventa automaticamente l’Essere-Altro. Quell’Essere-Altro che con un’intelligenza perfetta e concretissima Dio ha voluto creare per manifestare l’atto della sua presenza nel mondo e per permettere ad ogni singolo atomo del mondo di godere di questa sua presenza.
IV.
Per Leibniz Dio manifesta nel mondo un’intelligenza concreta. Dio stabilisce un’ ordine (che è in uno, fisico e morale) nell’universo riempiendolo e rendendolo colmo di monadi.
Che sono già l’Essere-Altro.
In virtù di questa sua scelta (quella che cade sull’Essere-Altro) Dio dimostra di prediligere e voler stabilire nel mondo l’ alterità, la differenza, la diversità.
Lo scarto fra una cosa e l’altra. La molteplicità.
Dio quindi crea un universo identico e differente.
Differente perché composto di monadi che sono l’una diversa dall’altra. Identico perché tale solamente nella sua presenza, nella sua evidenza e nella sua verità.
Leibniz quindi nello stilare il suo sistema filosofico tratteggia un universo pluralista e complesso, popolato e composto solo da monadi (o sostanze semplici).
Ma questa complessità viene risolta nell’identità dell’unico Dio.
Creando lo specifico della Natura (che è di nuovo: la monade) Dio crea lo specifico dell’altro. Automaticamente. Per il principio dell’identità degli indiscernibili. Perché la Natura è diversa. Il principio dell’identità degli indiscernibili crea l’universo nel quale si trovano le monadi. Partendo dalle sue monadi Lebniz parte dalla molteplicità e dalla differenza e giunge alla perfezione, alla bontà ed alla giustizia di Dio.
Un Dio quello di Leibniz che agisce, nel creare il mondo, con spirito pragmatico e realista.
Un Dio che è Realtà.
Una Realtà che il principio di identità degli indiscernibili proietta immediatamente sull’Assoluto. Per cui il principio di identità degli indiscernibili è il vero ponte tra la Realtà e Dio.
Esso serve a Leibniz per fargli superare l’universo fisico delle monadi.
E per fargli proiettare l’universo fisico delle monadi verso il «Regno della Grazia» (p. 53), verso quell’ordine morale che Dio ha voluto imprimere al suo mondo.
Esso è la prova della giustizia e della perfetta compiutezza di Dio.
È la maniera con cui Dio ha scelto di manifestarsi sulla Terra. La prova della sua esistenza.
È la Realtà che, in quanto monadica, testimonia ed afferma che questo è il migliore dei mondi possibili. In quanto esiste l’Essere-Altro (la monade) esiste Dio.
In quanto esiste l’Essere-Altro… Cioè una monade. Una sostanza che già per il semplice fatto di esserci ha così trasceso se stessa.
Nda. Tutte le citazioni tra parentesi sono tratte dal volume: Gottfried Wilhelm Leibniz, Principi della filosofia o Monadologia. Principi razionali della Natura e della Grazia, (Introduzione, traduzione, note a apparati di Salvatore Cariati), Bompiani, Milano, 2001.