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La poesia di Alivento
Alivento: Acquasirena
Alivento: Acquasirena 
03 Giugno 2007
 

 Ad un certo momento mi sono rivolta alla poesia. La scelta è stata cieca, apparentemente fatta per gioco, indubbiamente per amore della parola, certamente per il gusto di saperla gestire bene a tal punto da poterlo mostrare, come far la ruota o affascinare, per sedurre i miei “molti amanti”, per incantare al pari di sirena d’un immenso mare virtuale.

In verità, la ragione più profonda, come per molti veri poeti, ma anche semplicemente uomini o donne sottoposti talora dalla vita a tensioni irresistibili e prostranti, è che ho scelto la poesia per la sua eminente funzione comunicatrice, per il fatto stesso della sua esistenza e mia sopravvivenza, perché comunicare qualcosa, fosse anche l’emissione narcisistica e modulata della mia voce, era diventato in un preciso periodo della mia esistenza esattamente esigenza vitale, quasi come nutrirsi, bere oppure dormire.

È stata dunque una scelta intuitiva, nata a fronte di una compressione spirituale insostenibile, confidando nella potenza espressiva della parola e nella natura della poesia d’essere della parola la forma più sublime e creativa, misteriosa e liberatoria.

Per una simile adesione d’intuito ho accolto adesso l’invito di Claudio Di Scalzo di pubblicare una selezione di questi miei scritti in Telluserra su Tellusfolio, perché non so fino a che punto potrò accompagnarli e gestirli, fino a che punto, quando e se, sarò disposta a dirli miei con nome e cognome, allora li affido a questa sede di pubblicazione che spero più e meglio di un blog (dove finora sono stati esposti), li potrà promuovere o conservare, consegnare o far leggere a un pubblico più vasto, nel dubbio sempre che essi valgano qualcosa in qualche modo per qualcuno; nella convinzione che non possono non aver valore almeno per me che certo è come se in essi avessi trasfuso un pezzo (o intero) della mia essenza, del mio corpo, del mio cuoremente.

Per anni ho scritto in vari blog, alcuni dei quali oggi chiusi, ognuno di essi contiene mie poesie, da poche decine a centinaia. Due di questi ancora visibili in rete ai seguenti link:

 

www.marombra.blogspot.com

http://alivento.wordpress.com

 

In questo peregrinare virtuale ho studiato e letto molto, il leggere che si può fare sul web, frenetico e superficiale, alla ricerca di qualcosa che attraesse l’attenzione, potesse piacere o tornare utile a risolvere qualche mio nodo esistenziale, svagare o far pensare. Ho vagato con un metodo assimilabile alla vita reale e attuale di molti: intessuta di tecnologico e proiettata in una sorta d’intelligenza virtuale collettiva dove si conosce, si ama, si impara. Una vita devastata e impastata, confusionaria ed incerta, arrovellata, dominata dall’ansia di non saper condizionare in positivo le scelte della politica nazionale o mondiale, come del resto quelle personali, che appaiono deformate e crudeli, egoistiche e pericolose, dall’ansia di vedere la natura umana sempre più esaltata nella capacità d’egoismo, arroganza, approfittamento e sopraffazione, e la natura, madre della terra, sempre più aggredita dalla smania di scoperta, sfruttamento e di profitto perseguito con protervia, senza vaglio dei valori di civiltà, solidarietà e rispetto dell’uomo, in un apparente progresso progressivamente e irreversibilmente deleterio.

Ho dormito allora un lungo sonno, una sorta di visione mentale, uno spaccare lo spirito in mille frammenti ed ho esaminato ognuno di essi con attenzione, nella convinzione che fosse mio, come di altri, assolutamente umano e sporco, brillante e nero, certamente autentico, è stato come spalancare gli occhi verso l’interno, un viaggio/attraversamento della psiche, nel tentativo disperato di emergerne, confermando la mia più vera identità, stravolta dai sensi, dalla sovraesposizione, dalla luce – fuoco – impressione, come anche dal semplice vivere di ogni giorno, diventato immensa fatica quotidiana.

Quanto ho detto esprime il travaglio psicologico, il traghettare virtuale, il percorso compiuto, la maturazione artistica, non dice che in questo viaggio ho conosciuto persone che stimo, alle quali sono legata e grata, che mi hanno seguita con affetto e interesse, (una persona in particolare che si è proposta, o forse è meglio dire ho mentalmente eletta, come guida, preparata, coraggiosa, intelligente e paziente che è il poeta e prof. Stefano Guglielmin, un’altra che è stata mia appassionata e intelligente interlocutrice, rimasta anonima), non dice perché a mia volta ho scelto l’anonimato, scelta questa che sempre più è diventata una gabbia e un aliante, irrinunciabile e connaturata. Scelta che potrei giustificare con mille ragioni complesse e interessanti, che i più liquidano, e dal loro punto di vista probabilmente con ragione, come mancanza di coraggio o maturità, mentre è qualcosa alla quale non riesco ancora lucidamente a rinunciare per ragioni proiettate verso l’esterno, consapevole che il mistero è un potentissimo viatico della curiosità, e per più intense ragioni maturate all’interno e dominanti; togliere la maschera mi porrebbe di fronte allo specchio, indifesa ed esposta, la mia ansia latente forse esploderebbe, allora l’uno o l’altro, il riflesso o il riflettente probabilmente andrebbero in frantumi, vanificando irrimediabilmente l’opera fin qui svolta in ogni direzione.

 

È con piacere dunque che accolgo l’invito di Tellusfolio a pubblicare i miei testi poetici e con riluttanza che mi autopresento, consapevole dei limiti e della povertà di un’autopresentazione, consapevole d’altra parte che le scelte da me operate non consentivano a nessun altro di poter dire quanto io ho detto sopra e farne elemento di studio e d’analisi dei percorsi evolutivi o involutivi della letteratura, se scrivere così e per queste ragioni possa ancora dirsi letteratura o mero narcisismo, consapevole che più di ogni altra cosa alta, o di prestigiosa critica, è questa la presentazione più semplice di chi viene dal nulla, al nulla si sente votato, sul nulla poggia le proprie fondamenta, che chiede solo di poter lasciare di sé al più un ricordo, duraturo il tempo che sta scritto nel respiro soffocato e corto del proprio tempo.

 

Alivento

 

 

Natale autoreferenziale

 

Questa meravigliosa eco
che diffonde il suono
della voce
oh come celestialmente intona
oh come s’innalza buona
quando zampilla sui fiori come acqua
quando rimbalza leggera tra le rocce
sui musi di granito duri e sulle facce
oh come piomba negli inferi
slegata
dorata annegata
sensualmente baluginante
con dannata
come lentamente dilaga
come di lago pervasa
come aghi di pino sulla palla
                  a testa di bambino
come fiocco sulla cresta
                  gialla
come oggi è natale
e tutto splende
oh come vorrei fosse d’incanto
domani un altro giorno
                           dono
altrettanto intensamente
santo

 

 

Grande

 

Lo si diceva con la voce a filo
che non c’era da parlare
che il silenzio è cosa lunga
(lungamente da aspettare)
e non c’è strada che congiunga
il pero al morso
l’elefante all’unghia
la distrazione al crimine
al bavaglio
che la giungla di liane
non è appiglio
mentre il limo ci gorgoglia
alle caviglie e sale piano
a ricoprire il sole e luce alba
ed ogni (altra) cosa alta
vita che si vorrebbe grande
che ad ogni passo affonda
immacolata sponda
che più non s’innamora
che di bellezza è triste
quando all’imbrunire
batte il capo sulla gabbia
e di liquore impallidisce.

 

 

Sbocco

 

Quando piango
piango la mia morte
prima ancora
che essa avvenga
le volte che il respiro
si fa bianco volo
penso
figlio donna
madre uomo
le parole scritte come suono
d’ogni addio che si ripete
fino all’ultimo distacco
porta chiusa
e sbocco a delta
d’ogni morte.

 

 

Se noi

 

Mi chiedevo se fossi tu
a toccarmi lieve
se tu
visibilmente stanco
piovessi neve
se tu inchiostro rosso
sopra il nero
fossi sposo promesso
prima adesso
se tu
fossi una leva
per sollevare il mondo
fulcro d’equilibrio instabile
in bilico sul terrapieno mobile.
Mi chiedevo
se io fossi la sposa
alta promessa di poetessa
se noi grandi di cose
anime persone
noi così cerchi retti solidali
veti bavagli d’animali noi
unitamente stretti
avremmo mai potuto coniugare
il verbo in qualche modo
approfittare.

 

 

Quadro piove

 

Ora piove dici piove
perché l'aria si rinfresca
e le nuvole coprono l'estate.
Una donna sull'uscio
rammenda cose fosche
di tempesta a punti fitti fitti
gettati su calzini
come rete di pesca
pesca buchi di memoria
o di un lungo camminare.
Improvviso picchiettare
allegro sulle fronde
distratte dal rumore
cadono le gocce.
Sono tondi d'antracite
disegnati sul cemento
cerchi sparsi di grigiore
in chiaroscuro irregolare.
Sentire profumi
di basilico e ginepro
un respiro di fanghiglia e afa
ragazzi in sella a motorini
volteggiano ronzando
in cerca di un riparo.
Ora piove dici e infatti piove
a dirotto tra mosche
fastidiose di scirocco.

 

 

Libera di senza

 

Ti prego
Non parlare dolcemente

Quando implode
l’arco teso
scocca e freccia vibra viva
lago estende
nel presente eterno vacuo
si protende.

Ti prego
Non parlare dolcemente

Altro si confonde dentro
e gli occhi vanno in vago
giro tristi e sento in vitro
vuoto peso involto tetro
un pieno senza scampo
una piovra un cappio franto
un danno che rimescola
natura che s’inalbera
l’istanza tesa la domanda
la vita in altera partita
salta il ponte e
si disperde oltre ma oltre
ci deve essere per forza
per mia forza disperata
un’altra vita.

 

 

Asindeto

 

Perché mi manchi
chiedo.

Perché le mani arrese
i fianchi le maree
la luna in soglie
e inoltre l’oltre.

Perché al microscopio
l’atomo è punto cratere
di ogni mondo brodo
e pullulare primordiale.

E sei giro scafo albero
piantato in petto all’universo
dove nascere viene prima
di morire certo.

E a farsi azoto non finisce
ché vivere è lo stesso
di aspettare al molo l’infinito
una nave che non ha risposte.

Come neve sale alla montagna
un bagaglio intanto di vertigine
tra rami giunti un’isola
al centro liquido dei polsi
muove il mare.

 

 

Mutante

 

Sii presente quando l'ente
non avrà più forma
e sarà composto liquido
contenuto nell'involucro quando
raggiunta la stazione eretta
deraglieranno i treni e la ruggine
raschierà le scorte di ferro dai vagoni.
I binari non avranno più le vene
e i globuli smagnetizzati
inietteranno ossigeno
all’innesco plastico della trasfusione.
Sii cosciente quando esploderai
in tremula fibrillazione
e le sclere candide dell'organismo
brilleranno nella notte della pelle
quando tra le spalle aride di sole
l'incerto brucerà assetato dall'ortica
e colando dal braciere
nel candore dell'altrove
filtrerà filo a filo mercurio chiodo
tra le dita.


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