«Noi siamo un classico trio jazz, non come certi... casinisti». Così esordisce Guido al microfono, e per fortuna non va oltre e lascia anonimi i bersagli della sua frecciata polemica. Certamente il trio di Manusardi rappresenta un modello di classicità e di mainstream: due ore filate di swing ed una lunga serie di standards pescati tra gli autori più celebri (Gershwin, Schwarz, Porter, Weill, ecc.). Molti i brani (“You and the night and the music”, “Alone togheter”, “I love you”, ecc.) scelti anche da un altro più famoso trio, quello di Keith Jarrett. Il confronto, nella mente dell'appassionato, diventa inevitabile anche se del tutto virtuale. Pur partendo da un modello comune (Bill Evans), il linguaggio e le soluzioni adottate dai due pianisti sono molto diversi e difficilmente paragonabili. Il trio di Jarrett suona insieme da alcuni decenni oramai, il trio di Manusardi si è da poco costituito. Peacock e De Johnette sono dei maestri e dei punti di riferimento sul loro strumento. Goloubev è un virtuoso del contrabbasso e non solo in veste jazzistica ma anche in chiave classica; Asaf Sirkis è invece un giovane batterista, preciso e puntuale, ma, come il suo collega, solo ora si sta facendo conoscere sulla scena internazionale.
Ad ogni modo il trio di Manusardi si è mosso in assoluta scioltezza, evidenziando le doti tecniche di ogni componente, l'ascolto reciproco e la capacità di raccontare qualcosa di interessante, difficilmente di nuovo, dato il programma costituito esclusivamente di standars ben conosciuti e parecchio battuti. Un solo original (“You maybe”), ma molto ben costruito, sfavillanti versioni sia di “Love for sale” che di “Softly as in a morning sunrise”, e un continuo interscambio solistico tra pianoforte e contrabbasso. La classe e il tocco superbo di Guido non si scoprono certo adesso, ma è confortante vedere che gli anni che passano non intaccano minimamente la caratura del pianista di Chiavenna.
Come già avevo scritto per il concerto dell'estate scorsa a Palazzo Vertemate (a cui si riferisce la curiosa fotografia), il limite della proposta sta nel suo ancoraggio temporale. Proprio quella rivendicazione iniziale, «noi siamo un trio jazz», che diviene pregio ma anche freno a soluzioni o idee che non esprimano altro che il più consolidato meanstream. Ma ad un vecchio maestro non si può chiedere che di essere coerentemente se stesso e di suonare al meglio in ogni occasione. Esattamente quello che è avvenuto lunedì sera.
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Roberto Dell'Ava