Itinerario
Fabio: È l’una passata quando sto facendo il pieno al trial. L’idea è di recarmi in Val Fontana per scattare qualche fotografia, senza una meta ben precisa. Salgo alla torre di Castionetto scambiato, come al solito, per un alieno dai passanti. Prendo la vecchia strada che conduce a Dossello e quindi quella per la Val Fontana, che si congiunge alla via principale subito dopo il ponte di Premelè. Il cielo è coperto ma non è freddo, tra le nubi si intravede un pallido sole. La continua ricerca della settima marcia (che evidentemente nel mio trial non c’è) mi fa arrivare velocemente al Piano dei Cavalli, dove parcheggio la moto per proseguire a piedi, in direzione Campiascio. Non so ancora dove andare , ma dopo aver attraversato il ponte sul torrente Arasé decido di prendere il sentiero sulla dx che porta all’omonima malga. Si sale la costa in modo regolare, immersi in un fresco bosco di larici, fino a giungere al cancello dell’alpe Arasé (m 19.. , ore1).
Il clima è abbastanza mite, ma a O, sul gruppo del Painale, grosse nuvole fanno presagire che il tempo volgerà al peggio. Ignoro questi particolari e mi incammino sul sentiero che porta all’alpe Sareggio, deviando a sx al primo ruscello dopo le baite. Numerosi tornanti permettono di guadagnare quota con pendenze moderate.
Sono sul dosso dove sorgono due grossi ometti (ore 1). Forti raffiche di vento. Davanti a me si aprono le praterie della Val Sareggio che contrastano con le gande rossastre che discendono le montagne (Corno dei Marci, Pizzo Murascio e Cima di Sareggio). Il blu intenso del cielo sulle cime lascia spazio velocemente al grigio delle nuvole che insistentemente avanzano. Qualche passo verso le baite e all’improvviso un misterioso silenzio, e i fischi di qualche marmotta. Qualche fotografia al paesaggio, anche se la luce non promette buoni risultati, e proseguo in direzione del laghetto che si trova poco più avanti. Il ghiaccio è del tutto sciolto, così si può intravedere la profonda voragine nel mezzo, oggetto di molteplici leggende tramandate dai pastori che abitavano l’alpe.
Non sono solo, ci sono degli escursionisti al di là del lago.
Decido di continuare in direzione della testata della valle. Il sentiero dopo aver incontrato la ganda è a tratti interrotto dall’ultima neve. Ai piedi della massa di sfasciumi che scende dalla bocchetta di Sareggio, il tempo sembra peggiorare ulteriormente, ma punto dritto alla sella. Il percorso si annuncia più faticoso del previsto, le pietre sono molto instabili ed è facile scivolare: solo ora capisco perché la vetta alla mia sx è chiamata Corno dei Marci.
A metà strada sono fermo, un po’ perché il tempo è brutto, un po’ perché sono solo, un po’ perché è tardi e sono stanco . Sto quasi per tornare indietro quando vedo due persone, qualche metro più in là, che risalgono il canalone: ci salutiamo. Mi consigliano di proseguire dalla loro parte dove il percorso è più agevole perchè le pietre sono di grosse dimensioni: li seguo.
Nonostante il cattivo tempo, la fatica per raggiungere i 2675 metri della Bocchetta dei Marci (ore 1:15) è ripagata da una splendida (seppur annebbiata) vista sulla Val Poschiavo. Da vicino capisco che i compagni di salita sono Beno e la sua ragazza. Ci presentiamo in quanto io non li conosco di persona, ma solo grazie ai preziosi racconti delle loro numerose esplorazioni sulle montagne valtellinesi. Il mondo è piccolo, si sa… Rimaniamo in quota una decina di minuti, quanti bastano per capire quanto sia forte e genuina la loro passione per la montagna e quanti sforzi stiano facendo perché non sia abbandonata e soprattutto dimenticata. Mi ha fatto veramente piacere conoscerli. Le nuvole si fanno meno minacciose, ma ormai è tardi. Le varie letture delle avventure di Beno mi convincono a rifiutare l’invito a seguirli sulla vetta del Pizzo Murascio per intraprendere la consueta via del ritorno. Così li saluto e gli consegno penna e calamaio per poter scrivere la parte finale di questo racconto… che io mi accontenterò di leggere.
Beno: Salutiamo Fabio, irremovibile nel voler ridiscendere a valle, nonostante la vetta sia lì vicina: pare la si possa toccare allungando le braccia.
Attacchiamo la cresta O della montagna.
Marcia e tormentata dal vento. A N calma piatta. Un orrido di rocce e neve introduce placide abetaie e il Lago di Poschiavo, a S incombe un vento maledetto che ci fischia nelle orecchie.
Sotto i nostri piedi le gande rossastre della Val Sareggio, liste di neve e pascoli gialli come fosse autunno.
Procediamo sullo spartiacque con facili passi d'arrampicata (II). Dove necessario ci portiamo a S di questo, ma il meno possibile per non congelare! Raggiunto il primo panettone, una tozza anticima che non vede l'ora di rovinare a valle, la via si fa piana e priva di difficoltà. Alle nostre spalle il Corno dei Marci si mostra in tutta la sua asprezza e, arrogante, nasconde parte del gruppo del Bernina. Il filo piega a dx (S) e in 30' dal passo tocchiamo la croce di vetta del Pizzo Murascio, qualche metro a SE della cima vera e propria (m 2762).
Paesaggio ampio e selvaggio: il Pizzo Murascio è un eccezionale punto di vedetta su tutte le Retiche centrali, nonché sulle principali elevazioni orobiche. Con una giornata limpida si potrebbero fare fotografie stupende, oggi non mi dispiace nemmeno d'avere la macchina fotografica scarica.
Il vento sibila come un serpente inquieto e trascina i nuvoloni neri che celavano il cratere del Calino fin sopra le nostre teste. A SE si riconosce un secondo “vulcano spento”: il Monte Masuccio, guardiano di Tirano. Dentro il suo cratere ci sono i bellissimi laghetti di Schiazzera.
Eravamo lì tre settimane fa e nuotavamo nella neve marcia. Ora è tutto color ruggine: l'inverno nel 2006 non ha fatto visita alla Valtellina. Guardiamo Fabio sulla ganda della Bocchetta dei Marci. Polvere e frane. Così per la discesa tentiamo inizialmente la spalla S, cromaticamente più vivace, ma, a pochi metri dal passo di Saline, la neve che fodera i ripidissimi pendii ci urla di tornare da dove siamo venuti e noi ubbidiamo.