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Torreguitart Ruiz. La maledizione del Che
27 Maggio 2007
 

Sono tanti i misteri che circondano la morte del Che in Bolivia, ma soprattutto registriamo una serie di eventi inquietanti che si susseguono dopo che il comandante argentino viene giustiziato. Aleida sente che il marito si trova in grave pericolo. Nella notte tra l’8 e il 9 ottobre si sveglia in preda a un incubo e non riesce più a prendere sonno. La moglie del Che da tempo è in ansia per Ernesto, ma adesso che il suo corpo è disteso sul pavimento della scuola a La Higuera, sente il pericolo più forte. Aleida studia per diventare insegnante, frequenta l’accademia sulle montagne dell’Escambray, ma non può fare a meno di pensare a quel marito lontano. Teme di non vederlo più, sa che è in pericolo di vita, circondato da nemici e abbandonato al suo destino. Il 9 ottobre è Fidel che conosce per primo la triste notizia, ma non è ancora la verità perché il dispaccio riferisce che il Che è morto a causa di gravi ferite riportate in battaglia. All’Avana arrivano le foto del Che e quel corpo emaciato, distrutto, così somigliante a un Cristo deposto pare proprio quello di Ernesto. Restano molti dubbi, fugati solo da Aleida che riconosce la grafia del marito nelle fotografie del diario requisito dalle autorità boliviane. Fidel parla in televisione, conferma la morte del Che, annuncia tre giorni di lutto nazionale e dichiara che d’ora in poi l’8 ottobre sarà il “Giorno del Guerrigliero Eroico”. Aleida ha un crollo di nervi, ma Fidel le sta vicino, la porta a casa insieme ai bambini e va a farle visita ogni giorno per darle conforto. Orlando Borrego attraversa un tremendo periodo di crisi, non sa darsi pace per la morte del Che, un uomo che amava come un secondo padre, soprattutto si rimprovera di non essere stato al suo fianco in Bolivia e di non aver fatto niente per lui. Sogna il Che come quando era vivo, lo vede apparire nella sua casa durante risvegli madidi di sudore, non accetta l’idea che possa essere morto. Il 18 ottobre Fidel parla a una folla oceanica radunata in Piazza della Rivoluzione, un milione di persone per una veglia in memoria del Che ascoltano un commovente elogio funebre. «Se vogliamo esprimere come vorremmo che fossero i nostri figli, dobbiamo dire con il nostro cuore di ardenti rivoluzionari: vogliamo che siano come il Che!» conclude Fidel. La folla è commossa, partecipe, soprattutto radunata spontaneamente e non con metodi sovietici come accadrà in futuro. Il mito del Che comincia a prendere corpo. Per questo credo che Ernesto Guevara sia stato più utile da morto che da vivo alla causa rivoluzionaria e al consolidamento del potere di Fidel. Un eroe morto è un simbolo importante, un guerrigliero sconfitto è un uomo politicamente morto. Il presidente boliviano Barrientos fa giustiziare il Che e commette un errore storico, contribuendo a trasformare una sconfitta annunciata in un momento di riscossa rivoluzionaria.

Il corpo del Che viene portato a Vallegrande su una barella legata ai pattini di un elicottero. Félix Rodríguez lo accompagna, ma poi si confonde tra la folla e fa ritorno negli Stati Uniti per fare rapporto alla Cia. Porta con sé un paio di Rolex e una mezza dose di tabacco fumata dal Che, reliquie di una vittoria storica, ma soprattutto eredita l’asma del combattente argentino. La maledizione del Che comincia a colpire, pare impossibile ma Rodríguez inizia ad ansimare dal momento in cui abbandona la Bolivia e sale sull’aereo per rientrare negli Stati Uniti. L’asma non lo abbandonerà più.

Il cadavere martoriato del Che resta esposto per due giorni con gli occhi aperti e la testa sollevata, sul marmo di un lavatoio nel giardino dell’Ospedale Nuestro Señor de Malta a Vallegrande. Un medico gli taglia la gola e inietta della formaldeide per impedire che il cadavere si decomponga. Il Che ha un’espressione così intensa da sembrare vivo, le suore dell’ospedale sussurrano che sembra Gesù Cristo e tagliano ciocche dai suoi capelli per tenerle come amuleto. I comandanti dell’esercito boliviano Selich e Salinas si esibiscono in una fiera del cattivo gusto scattandosi foto accanto al corpo del Che. Altri ufficiali portano via ricordi tra i suoi oggetti personali: il boia Mario Teran prende la pipa e Anaya si appropria del fucile. Lo stato maggiore boliviano decide di negare una degna sepoltura al corpo e di gettare le spoglie del Che in una fossa comune, come era stato fatto con gli altri ribelli. Prima di far sparire il corpo si decide di tagliare le mani del guerrigliero e di conservarle in un barattolo di formaldeide come prova della morte. Per controbattere i dubbi dei cubani viene fatto un calco del volto e la polizia argentina conferma la veridicità delle impronte digitali. Il generale Candia avrebbe voluto addirittura decapitare il Che e tenere la testa come prova, ma la barbara proposta viene respinta. Il corpo di Ernesto Guevara finisce in una cava segreta scavata da un bulldozer dalle parti dell’aeroporto di Vallegrande. Il fratello del Che, Roberto, non arriva in tempo per riconoscere il cadavere e non ottiene il permesso di portare i resti in Argentina. Le autorità boliviane riferiscono che è stato cremato e lui torna a Buenos Aires portando una triste notizia che la zia Beatriz non accetterà mai.

La disfatta boliviana conta solo pochi superstiti che dopo una miracolosa fuga vengono salvati sulle Ande con la collaborazione del Cile socialista di Salvador Allende. Si salvano solo Pombo, Urbano e Benigno, che adesso è espatriato in Francia dove scrive libri critici verso la politica di Fidel. Benigno ritiene Castro unico responsabile del tradimento di Guevara e secondo lui lo ha spedito tra le braccia della morte in una situazione di totale isolamento.

La vita di diversi uomini coinvolti nell’impresa del Che subisce mutamenti radicali. Il ministro degli Interni boliviano, Antonio Arguedas, si scopre marxista dopo la morte di Guevara, fa recapitare a Cuba una copia del diario e le mani amputate, alla fine fugge dalla Bolivia e viene trattato da Castro come un eroe della rivoluzione, ma la sua evoluzione politica non termina. Arguedas prende contatti con la Cia, torna in Bolivia, sfugge a un attentato, finisce in galera e dopo l’ultimo voltafaccia si ritira dalla vita politica attiva. Mario Monje perde la direzione del Partito Comunista Boliviano, va in esilio a Mosca e dopo il crollo del comunismo sovietico diventa un uomo senza patria, un relitto della storia. La famiglia Guevara si trova coinvolta nella sporca guerra argentina contro la sinistra che comincia nel 1976 e porta alla fuga di Guevara Lynch verso Cuba. Il padre del Che sposa Anna María Erra, una pittrice che ha trent’anni meno di lui e insieme mettono al mondo un figlio che chiamano Ramón, nome di battaglia del Che. I fratelli Roberto e Juan Martín diventano guerriglieri guevaristi, lottano per la libertà in Argentina, ma il secondo passa nove anni in galera e la sorella Celia lotta insieme ad Amnesty International per farlo liberare. Adesso che la sporca guerra è finita sono tornati in Argentina, ma la sorella Ana María è morta, così come il padre è spirato all’Avana all’età di ottantanove anni. Guevara Lynch passa il resto della sua vita a scrivere libri su quel figlio rivoluzionario, un figlio che non ha mai capito ma di cui è stato sempre orgoglioso.

Molte delle persone coinvolte nella morte del Che devono subire quella che passa alla storia come la maledizione del Che.

Il generale Barrientos muore a bordo del suo elicottero che nel 1969 precipita in circostanze misteriose. Honorato Rojas, il contadino traditore, viene giustiziato dal nuovo Esercito di Liberazione Nazionale. Roberto Quintanilla, capo dei servizi segreti, che prende le impronte al Che, viene assassinato in Germania nel 1971. Juan José Torres, presidente populista che vota la condanna a morte del Che, viene ucciso nel 1976 dalle squadre della morte argentine. Il colonnello Anaya è ucciso a Parigi poche settimane prima da una misteriosa Brigata Internazionale Che Guevara. Il capitano Gary Prado, artefice della sconfitta del Che, resta paralizzato da un colpo di proiettile durante una manifestazione di piazza. Il colonnello Selich viene catturato e picchiato a morte dai militari in rivolta guidati da Banzer nel 1973. Il maggiore Ayoroa continua a negare ogni coinvolgimento nella morte del Che e addossa ogni responsabilità a Selich, forse per questo vive ancora e la maledizione non lo ha colpito. Il boia Mario Teran è un patetico personaggio che sopravvive nel terrore di essere una vittima designata, ma continua a dire che lo ha ucciso solo per vendicare gli amici morti. Félix Rodríguez scampa a diversi complotti organizzati da Cuba per assassinarlo, si salva per miracolo da un dirottamento aereo, ma continua a lavorare per la Cia e segue per molti anni loschi affari in Vietnam, El Salvador e Iran. Vive ancora a Miami circondato dai ricordi del Che e tiene tra le cose più care una foto che lo ritrae accanto al guerrigliero argentino ferito e condannato a morte. Il souvenir è di cattivo gusto, ma non è lui il vero responsabile della morte di Ernesto Guevara.

Gli amici del Che sono quasi tutti a Cuba. A partire da Ricardo Rojo che ha scritto Il mio amico Che, un libro importante che non è piaciuto a Fidel perché racconta le cose come stanno e cita l’episodio del litigio prima della partenza per il Congo. Alberto Granado continua a girare il mondo per raccontare i viaggi in motocicletta e la sua amicizia con Ernesto, ama sempre il rum, balla il tango e la salsa senza fare differenza. I figli del Che sono cresciuti. Ernesto e Camilo non hanno fatto in tempo a conoscere il padre, ma ci hanno pensato Aleida, Fidel e Ramiro Valdés a curare la loro memoria storica. In ogni caso hanno seguito corsi al Kgb di Mosca e sono entrati nella seguridad personal di Fidel. Alyusha è medico allergologo, è stata volontaria in Angola e Nicaragua, contro la volontà di una madre che ha già visto morire il marito. Alyusha (Aleidita che dir si voglia) è la portavoce della famiglia Guevara, custodisce il mito e il ricordo di un uomo che è il simbolo della Rivoluzione cubana. Aleidita ha preso il posto di Aleida che non fa politica da tempo, si è risposata, vive in Miramar, si dedica alla famiglia e a un centro di ricerca sul defunto marito, aperto nella vecchia casa di Calle 47. La casa del Che è dipinta di blu marino, ha una buganvillea rossa che spiove fuori da un giardino prensile, è piena di libri e ritratti, soprattutto c’è ancora la foto di Camilo accanto al bronzo di Bolívar e il busto di Lenin.

Hilda, la prima moglie del Che, muore di cancro nel 1974. La figlia Hildita lascia Cuba e va in Europa dove vive esperienze hippy, sposa un guerrigliero messicano, ma il matrimonio non dura molto. Torna a Cuba e si dedica alla biografia del padre, lei è la sola figlia ad averlo conosciuto e conserva una memoria autentica. Il suo comportamento verso la Rivoluzione cubana è leale ma critico e se c’è da dire qualcosa che non va non si fa problemi. Per questo viene emarginata dal regime e non riscuote le simpatie di Fidel. Muore anche lei di un tumore maligno all’età di trentanove anni, la stessa del padre quando viene assassinato dai soldati boliviani. Il figlio Canek, adolescente rockero adesso dissidente in Messico, continua le polemiche della madre con il regime cubano e definisce il comunismo di Fidel un capitalismo mascherato. Non ha tutti i torti.

Che Guevara è stato un grande uomo, simbolo romantico di chi lotta per un ideale, un personaggio di statura mistica, spesso arrogante e ingenuo, forse sin troppo idealista. Non ha mai ricevuto dagli altri quello che si aspettava perché forse pretendeva l’impossibile, quello che soltanto lui era capace di tirare fuori da una grande forza di volontà. Naturale che sia diventata un’icona dei giovani che lottano per cambiare il mondo, meno naturale vedere il suo volto alle sfilate dei pacifisti. Non dimentichiamo che il suo ultimo sogno era quello di veder scoppiare un terzo conflitto mondiale che portasse alla fine dell’imperialismo e alla vittoria del socialismo. Il Che ha sconfitto la morte e resta eterna immagine di lotta giovanile, sguardo risoluto e indignato di chi sente dentro di sé tutte le ingiustizie del mondo come fossero proprie.

 

Alejandro Torreguitart Ruiz

(traduzione di Gordiano Lupi)



Il pezzo è estratto da un libro inedito sulla vita di Che Guevara.

 

Alejandro Torreguitart Ruiz (L’Avana, 1979) in Italia ha pubblicato: Machi di carta (Stampa Alternativa, 2003), La Marina del mio passato (Non solo parole, 2004), Vita da jinetera (Il Foglio, 2005) e Cuba particular. Sesso all’Avana (Stampa Alternativa, 2007)


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