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Gianni Vattimo: Lettera aperta a S.E. il cardinal Ruini. 
Lettura consigliata da Tellusfolio prima di scegliere l'ora di Religione
Gianni Vattimo
Gianni Vattimo 
25 Maggio 2007
 

Eminenza,

non ho alcuna delega per scrivere questa lettera, che indirizzo a Lei come vicario del vicario per Roma e anche come capo della Conferenza dei vescovi italiani. Ma vorrei che Lei la considerasse almeno come un caso degno di attenzione perché non del tutto isolato ed eccezionale nel panorama della cristianità italiana, forse persino rappresentativo di un disagio e di un insieme di stati d'animo diffusi tra i cattolici - tali anche solo perché, essendo battezzati, sono così censiti dall'anagrafe.

Come cominciare? Per esempio dalla constatazione che anche quest'anno non andrò in chiesa in occasione della Pasqua, salvo che mi capiti di visitare qualche amico monaco in comunità eterodosse, o comunque aperte, come quella di Bose. Anche lì, però, avrei un certo disagio; che non provavo invece negli anni in cui, militante della Gioventù Cattolica, mi sentivo in aperta polemica con le posizioni ufficiali della Chiesa italiana ma ero parte di un vasto e visibile movimento di dissenso cattolico che faceva sentire in molti modi la propria voce: Carretto, e poi Mario Rossi, contro Gedda e l'operazione Sturzo; Cisl, Acli e preti operai torinesi contro Valletta, i suoi reparti confino, padre Lombardi e la Madonna pellegrina. E così via. Oggi i cattolici “impegnati” probabilmente ci sono ancora, ma si dedicano, molto meritoriamente del resto, al volontariato, anche in regioni lontane, e non si immischiano nelle posizioni pubbliche della Chiesa. Nemmeno don Ciotti polemizza pubblicamente con il papa, per esempio sulla “scomunica” del profilattico in tempi di Aids, o sull'ostinata proibizione di qualunque pianificazione familiare, o più di recente sulla sperimentazione con gli embrioni umani, che potrebbe accelerare la scoperta di farmaci decisivi per la vita di tanta gente. E non mi basterebbe ormai più, come forse sarebbe bastato in altri momenti della mia vita, che il papa e i vescovi smettessero di considerare gli omosessuali come peccatori contro lo Spirito Santo, colpevoli di un comportamento che (catechismo della mia infanzia) «grida vendetta al cospetto di Dio». Non posso frequentare i riti e partecipare ai sacramenti di una Chiesa che mi considera nel migliore dei casi come un fratello disgraziato da compatire e da tenere nascosto - e che comunque accetta la mia “inclinazione” ma mi comanda di non seguirla in alcun modo; mentre - parlo sempre degli anni Cinquanta - fa pervenire agli sposi cristiani un telegramma di auguri del Santo Padre, che viene letto a conclusione della cerimonia nuziale, perché crescano, si moltiplichino, facciano l'amore con la sicura coscienza che il papa è con loro.

Lo scandalo che ho sempre provato da giovane di fronte al telegramma papale di auguri agli sposi, e che non era ovviamente motivato da sessuofobia, ma solo da sdegno per la discriminazione di cui mi sentivo vittima, è stato tuttavia provvidenziale per me; oggi, data la sempre più aperta tolleranza dei confessori nei confronti del sesso “normale” si è persino arrivati, se non sbaglio, a considerare il perfezionamento reciproco (leggi: anche il piacere sessuale) come uno dei fini primari del matrimonio, accanto alla procreazione - moltissimi giovani rischiano di non avere più questa fondamentale occasione di riesame critico nei confronti della disciplina e della morale della Chiesa. La massa di profilattici (presumibilmente usati) che è stata raccolta dai servizi di nettezza urbana di Roma sul terreno della grande adunata giubilare di Tor Vergata mostra quanto poco anche quei giovani pellegrini che si spellano le mani per applaudire Giovanni Paolo II facciano caso sia ai suoi inviti alla castità, sia al suo divieto del preservativo. Con ciò dimostrando che la via più tradizionalmente seguita per l'abbandono della pratica religiosa oggi non è più percorribile, ci si può sempre iscrivere, se mi permette lo scherzo pesante, a “Comunione e penetrazione”, mischiando tranquillamente una normale (e cioè ricca e piacevole) vita sessuale con i meeting di Rimini e i comizi di Andreotti e dei forzitalioti di turno. Ebbene, per me, e per altri come me, fortunatamente, questa indulgenza non c'è stata; non ho trovato alcun “Opus gay” a cui aderire, e persino la favoleggiata pervasività dei rapporti omofili, pedofili eccetera negli ambienti cattolici non mi ha mai nemmeno sfiorato.

Ma appunto, oggi nessun giovane credente lascia più la Chiesa per questi vecchi, “sordidi” motivi. Persino un giovane gay oggi trova la sua associazione più o meno tollerata e fornita di assistente spirituale. A patto sempre di non pretendere che la predicazione ufficiale del papa e dei vescovi gli “dia ragione”, per esempio accettando che la legge civile - non parliamo di unione religiosa - istituisca qualcosa di paragonabile al Pacs francese o alle unioni affettive di altri paesi. Gli omosessuali credenti hanno certo molti meriti: conducono la loro battaglia nella Chiesa con la speranza (contra spem speravi; o: credo quia absurdum) di ottenere prima o poi che cambi atteggiamento.

Ho letto di recente, con prefazione di monsignor Bettazzi, il libro confessione di un prete gay, (La confessione, naturalmente anonima, raccolta e redatta da Marco Politi, Editori Riuniti); il quale dopo varie peripezie, che lo portano anche a mettersi in congedo per un certo tempo dal suo ministero e a convivere stabilmente con un compagno, ritorna a fare il prete a tutti gli effetti “accettandosi”, il che significa concedendosi periodicamente scappate e avventure gay (ma se ne confesserà ogni volta, pentendosi e promettendo di non farlo più?), e per il resto conformandosi pienamente alla “discrezione” con cui la Chiesa tratta problemi come il suo. Del resto, e lo dice, essendo omosessuale non può nemmeno esser tentato di violare la regola del celibato imposta ai preti; i quali, quando si sposano, vanno incontro alle note difficoltà di vita, di lavoro, di emarginazione sociale. Cito questo libro, e anche la questione dell'omofobia della Chiesa, perché mi sembra che vi si possano riconoscere i tratti emblematici di tutto ciò che oggi allontana dalla pratica religiosa, e anche dall'ascolto del Vangelo, molta gente - non solo i gay - la quale invece mantiene con la tradizione cristiana e con i suoi contenuti un rapporto che non si riduce al sentimento di avere in quella tradizione il proprio principio e fine - in my end is my beginning, secondo un verso di Eliot (se non ricordo male). Perché deve essere così difficile per tante persone mantenersi in contatto con il Vangelo, dovendo superare lo scandalo continuo che proviene dalla Chiesa - e non da suoi aspetti marginali, quali ci siamo abituati a considerare la predicazione della povertà da parte di un sovrano temporale vestito come un satrapo (espressione sentita dalla bocca di Giovanni XXIII, altri tempi), ma dal modo in cui la rivelazione biblica viene legata a una cultura che, in nome di una pretesa essenza naturale dell'uomo, della società, della famiglia, è pronta a calpestare il comando cristiano della carità? La sessuo- e omofobia papale non è uno di questi aspetti accidentali (che forse accidenti non sono) dello scandalo storico della Chiesa. Qui devo fare un cenno alla via specifica di “ritorno” al Vangelo che mi è stato dato di percorrere grazie al mio lavoro di studioso di filosofia. In questo lavoro infatti, mi sembra di aver “scoperto” - solo leggendo alcuni autori: Heidegger, Nietzsche, Dilthey, per esempio - che il cristianesimo ha bensì introdotto nel mondo il principio di un rinnovamento radicale della metafisica classica: non più lo sguardo rivolto all'oggetto, alle forme naturali assunte come fisse ed eterne, che si tratta solo di riconoscere anche come norme morali; ma, sguardo sulla libertà e l'interiorità (in te redi, in interiore homine habitat veritas: Agostino). Questo principio - che a me pare oggi si sia dispiegato finalmente nello spostamento della nozione di verità dalla pretesa oggettività all'intersoggettività (anche per capire le “prove” della fisica devi divenire un fisico, entrare a far parte di una comunità che, sola, ti permette di accedere a quel tipo di verità) - non ha potuto imporsi lungo i tanti secoli del medioevo e della prima modernità perché la Chiesa, che ne era depositaria, lo ha frainteso e oscurato essendosi trovata a dover esercitare funzioni di autorità civile (tarda antichità, caduta dell'Impero, invasioni barbariche; anche con questo ha dovuto fare i conti Agostino), e avendo ereditato tratti essenziali della cultura antica, e in specie il mito dell'oggettività delle leggi di natura che le permettevano di comandare non in nome soltanto della rivelazione, ma in nome dell'umanità stessa; dunque a tutti, compresi gli infedeli da convertire.

Che cosa succede ancora oggi quando la Chiesa, in Italia per lo meno, rivendica il diritto di imporre limiti alla legislazione dello Stato sulla famiglia, alla ricerca biologica o ad altri fondamentali aspetti della democrazia, pretendendo di parlare in nome della natura stessa? Non si può (poteva) ammettere il divorzio o l'aborto perché è contro la natura della famiglia e le leggi della procreazione; non si possono ammettere le unioni civili perché la famiglia è solo unione eterosessuale con il fine della procreazione. E via dicendo. Voglio dire che sia sul piano delle (sempre più pesanti) ingerenze della Chiesa nelle questioni di competenza dello Stato democratico, sia sul piano della filosofia che mi interessa più da vicino, la Chiesa cattolica, soprattutto ma non solo in Italia, mi scandalizza e mi allontana perché - spero naturalmente con l'intento della salvezza delle anime - rimane sempre quella che nei secoli passati ha agito con ogni mezzo per salvare le anime anche contro la loro volontà, secondo il motto «compelle intrare». Muccioli che lega e lascia morire il drogato nella porcilaia mi sembra un ottimo esempio di questo; e quanti fedeli cristiani che hanno ceduto alla tentazione della carne rispettando il divieto papale del profilattico sono morti o moriranno di Aids non sono simili al povero ragazzo ucciso a San Patrignano?

Tutto si tiene, nella Chiesa wojtyliana. Non è difficile, mi sembra, riconoscere che questa Chiesa non può cedere sulle questioni dell'etica sessuale e familiare perché altrimenti dovrebbe cedere anche sul legame tra fede cristiana e oggettività delle leggi naturali su cui fonda la propria autorità. Ma queste leggi non sono nient' altro che la natura come appariva a società ed epoche che la Chiesa considera archetipiche, identificandole con la verità eterna dell'uomo e della società. Le donne non saranno mai preti perché la loro vocazione naturale - come appariva ai tempi di Gesù - è un'altra; ma allora non c'erano nemmeno donne avvocato o donne dirigenti d'azienda. Gli omosessuali non potranno mai vivere unioni familiari “normali” (e saranno dunque condannati ad essere o eunuchi o puttanieri). Uno Stato davvero democratico ha il dovere di finanziare le scuole religiose perché è “naturale” che l'educazione apra le menti alla rivelazione cristiana; o, molto peggio: che l'educazione corrisponda in tutto e per tutto, ed esclusivamente, alle preferenze e alle convinzioni della famiglia.

Ma in generale: se c'è una verità naturale e universale sull'uomo e il mondo, e questa verità è solo affare della ragione illuminata dalla fede (senza, la ragione erra, c'è il peccato originale), e cioè dall'insegnamento della Chiesa, la democrazia è solo un male che si deve accettare quando si è minoranza: non ha un vero valore come tale, checché si dica sulla libertà umana come dono divino: anche la libertà, se esercitata fuori dalla verità, è illusione e tracotanza. La Chiesa come istituzione non ha mai abbandonato questi principi: il Sillabo è stato messo da parte, ma forse ,solo in attesa di tempi migliori, dobbiamo pensare.

C'è nel Vangelo qualcosa come la legge naturale? O la carità - cioè anzitutto l'accoglienza dell'altro e la rinuncia a qualunque imposizione violenta sulla sua libertà - è l'unica legge che Gesù ci ha insegnato? Persino lo scandalo per la ricchezza della Chiesa come istituzione, che da buoni credenti abbiamo imparato a superare, mettendolo da parte con ironia e comprensione per i limiti ,storici in cui ogni “incarnazione”, si trova impigliata, anche questo scandalo forse non era poi così superficiale.

L'Anticristo di cui parla san Paolo è forse proprio questo, una Chiesa invischiata nella solidarietà con culture e situazioni storiche che certo non può evitare di assumere, ma che dovrebbe con altrettanta franchezza esser capace di lasciar da parte, per amore dell'uomo come, anche per effetto della salvezza di Cristo, è diventato.

Mi accorgo, Eminenza, di essermi lasciato prendere dalla passione per l'etica (e forse la teologia?), trascurando la politica. Ma che, al di là di ogni motivazione contingente, la Chiesa italiana da Lei guidata sia pronta a vendere il suo appoggio al Polo per il piatto di lenticchie del finanziamento alle scuole cattoliche, della revisione della legge sull'aborto (e il divorzio? Prima o poi), del mantenimento e interpretazione ,sempre più restrittiva del Concordato, di una regolamentazione oscurantista della ricerca scientifica, persino della discriminazione contro le confessioni religiose non cattoliche e non cristiane nel nostro paese (Biffi: cattolicesimo è italianità!), non è certo il motivo meno grave dello scandalo che mi tiene lontano dalle chiese edifici di culto.

Non crede che, come vicario del papa per la Chiesa in Italia, dovrebbe pensare anche a questo?

Con cordiale rispetto

 

Gianni Vattimo

 

 

NOTA BIO-BIBLIOGRAFICA

 

La vita

Gianni Vattimo è nato nel 1936, a Torino, dove ha studiato e si è laureato in Filosofia; ha poi seguito due anni i corsi di H. G. Gadamer e K. Loewith all'università di Heidelberg, e ha studiato con Hans-Georg Gadamer e Luigi Pareyson. Dal 1964 insegna all'Università di Torino, nella quale è stato Preside, negli anni ’70, della Facoltà di Lettere e Filosofia. È stato visiting professor in alcune università americane (Yale, Los Angeles, New York University, State University of New York) e ha tenuto seminari e conferenze in varie università di tutto il mondo. Negli anni Cinquanta, insieme a Furio Colombo e Umberto Eco, ha lavorato ai programmi culturali della Rai-Tv, conducendo tra l’altro il programma settimanale politico-informativo “Orizzonte”. È membro dei comitati scientifici di varie riviste italiane e straniere; è socio corrispondente dell'Accademia delle Scienze di Torino. Ha diretto la Rivista di Estetica. Ha ricevuto lauree honoris causa da numerose università del mondo. È Grande ufficiale al merito della Repubblica italiana (1997). Attualmente è vicepresidente dell'Academía de la Latinidade.

 

Il pensiero

Nelle sue opere, Vattimo ha proposto una interpretazione dell'ontologia ermeneutica contemporanea che ne accentua il legame positivo con il nichilismo, inteso come indebolimento delle categorie ontologiche tramandate dalla metafisica e criticate da Nietzsche e da Heidegger. Un tale indebolimento dell'essere, che non si attribuisce più caratteristiche forti ma si riconosce più legato al tempo, alla vita e alla morte, è la nozione guida per capire i tratti dell'esistenza dell'uomo nel mondo tardo moderno, e (nelle forme della secolarizzazione, del passaggio a regimi politici democratici, del pluralismo e della tolleranza) rappresenta anche il filo conduttore di ogni possibile emancipazione. Rimanendo fedele alla sua originaria ispirazione religioso-politica, ha sempre coltivato una filosofia attenta ai problemi della società. Il “pensiero debole”, che lo ha fatto conoscere in molti paesi, è una filosofia che pensa la storia dell'emancipazione umana come una progressiva riduzione della violenza e dei dogmatismi e che favorisce il superamento di quelle ingiustizie sociali che da questi derivano.

 

Le opere

Si è inizialmente occupato di ricerche di estetica antica (Il concetto di fare in Aristotele, Giappichelli 1961) e allo studio del significato filosofico delle poetiche dell’avanguardia (Poesia e ontologia, Mursia 1967). I suoi studi su Heidegger e Nietzsche, e in generale sulla filosofia tedesca dell’Ottocento e del Novecento (Essere, storia e linguaggio in Heidegger, Edizioni di Filosofia 1963; Schleiermacher, filosofo dell’interpretazione, Mursia 1968; Introduzione a Heidegger, Laterza 1971; Il soggetto e la maschera, Fabbri-Bompiani 1974; Introduzione a Nietzsche, Laterza 1984), hanno avuto risonanza internazionale, e, al pari delle sue opere successive, sono state tradotte in varie lingue. Nel 1980 ha pubblicato Le avventure della differenza: che cosa significa pensare dopo Nietzsche e Heidegger, e cioè in una situazione nella quale non esistono più punti di vista globali o privilegiati. Dopo Al di là del soggetto (1981), Vattimo ha pubblicato Il pensiero debole (Feltrinelli 1983, in collaborazione con Pier Aldo Rovatti), opera nella quale propone l’interpretazione del passaggio al postmoderno come passaggio dalle unità forti alle molteplicità deboli, dal dominio alla libertà, dall’autoritarismo alla democrazia. La riflessione su Nietzsche è continuata con il recente Dialogo con Nietzsche. Saggi 1961-2000 (Garzanti 2000). In Oltre l'interpretazione. Il significato dell'ermeneutica per la filosofia (Laterza 1994), Vattimo ritrovava il significato filosofico dell'ermeneutica contemporanea, nella sua universalizzazione e trasformazione in koiné, nel suo essere teoria filosofica del carattere interpretativo della realtà. Ha poi pubblicato Vocazione e responsabilità del filosofo (Il Melangolo 2000) e Tecnica ed esistenza. Una mappa filosofica del Novecento (Paravia 2002), nel quale attua un viaggio nella filosofia dell’ultimo secolo, proponendo appunto come filo conduttore il rapporto tra tecnica ed esistenza, problematica che acquista importanza sempre maggiore con l’intensificarsi della razionalizzazione tecnico-scientifica della società.

La riflessione sulla società contemporanea ha luogo in particolare ne La società trasparente (Garzanti, 1989 e – accresciuta – 2000, edizione nella quale l’ultimo capitolo, “I limiti della derealizzazione”, indica una via di soluzione ai problemi politici posti dallo sviluppo della società della comunicazione generalizzata) e in Nichilismo ed emancipazione. Etica, politica, diritto (Garzanti 2003), nel quale Vattimo immagina le implicazioni positive e costruttive di ermeneutica e nichilismo (qui intesi come sinonimi, come già in Etica dell’interpretazione – Rosenberg & Sellier 1989 – e in La fine della modernità. Nichilismo ed ermeneutica nella cultura postmoderna – Garzanti 1985) per il mondo della globalizzazione, intraviste nella possibilità di fondare ogni legge e regola di comportamento sul rispetto della libertà di ciascuno e non su norme che si pretendono “naturali”.

Negli ultimi anni, con Credere di credere (Garzanti 1996) e poi con Dopo la cristianità. Per un cristianesimo non religioso (Garzanti 2002) e Il futuro della religione. Carità, ironia, solidarietà, in dialogo con Rorty (Garzanti 2005), Vattimo spinge la propria riflessione filosofica verso i confini della religione, e interpreta il significato del cristianesimo utilizzando il concetto di Incarnazione di Dio come evento di indebolimento, nel quale Dio si abbassa e perde le connotazioni terribili attribuitegli dalle religioni primitive. Il messaggio cristiano di carità, “ama il prossimo tuo come te stesso”, diventa la base per una società della tolleranza, nella quale la verità esiste laddove si raggiungono, attraverso il dibattito, posizioni consensuali.

Ha curato l’edizione della Garzantina “Filosofia” (1981, 1993, 2004). Un suo recente volume, Il socialismo ossia l’Europa (Trauben, 2004), è invece dedicato al significato e al futuro del processo d’integrazione continentale, e raccoglie gli articoli scritti durante il suo mandato di deputato europeo. Un programma “di sinistra” oggi non può che identificarsi come programma dell’integrazione europea: con un’Europa cioè che si liberi dalla soggezione agli Stati Uniti mantenendo un modello sociale di solidarietà tra classi e generazioni, e si batta per l’affermazione di un ordine internazionale diverso dal “capitalismo compassionevole” proposto oltre Atlantico. La riflessione politica è proseguita con Ecce Comu. Come si ri-diventa ciò che si era (Fazi 2007), nel quale Vattimo propone, constatando il fallimento del capitalismo e della democrazia formale, un comunismo autentico, libertario, di "sovvertivismo democratico".

 

La politica

Seguendo le implicazioni politico-sociali della sua ispirazione filosofica, Vattimo si è poi impegnato appunto in politica, dapprima nel Partito Radicale, in qualità di rappresentante del Fuori (un impegno costante, quello contro le discriminazioni sessuali, che lo ha portato a partecipare negli ultimi anni, in qualità di Invitato permanente, al direttivo nazionale del Coordinamento Omosessuale DS); poi nel gruppo Alleanza per Torino in occasione delle prime elezioni comunali maggioritarie (1993) della sua città, e tre anni dopo, nella campagna elettorale dell'Ulivo.

Nel 1999 è stato eletto deputato al Parlamento di Strasburgo per i Democratici di Sinistra, nel gruppo del Partito Socialista Europeo. Qui ha partecipato ai lavori della Commissione per la cultura, la gioventù, l’istruzione, i mezzi d’informazione e lo sport, e della Commissione per i diritti e le libertà dei cittadini, la giustizia e gli affari interni. È stato inoltre membro della Commissione temporanea sul sistema di intercettazione satellitare “Echelon”, e delle Delegazioni Interparlamentari UE-Cina e UE-Sudafrica; si è occupato anche, tra l’altro, di istruzione e formazione, università (programmi Erasmus e Socrates), ricerca e sviluppo, media, tossicodipendenze, diritti civili e sociali, diritti degli animali, senza dimenticare l’apporto dato all’opposizione al governo di centrodestra italiano. In polemica con il gruppo dirigente dei DS, nel 2004 ha lasciato il partito e ha accettato la candidatura al Parlamento europeo con il Partito dei Comunisti Italiani, senza risultare eletto.

 

Oggi

Insegna Filosofia Teoretica all’Università di Torino.

Collabora come editorialista a diversi giornali italiani e stranieri: La Stampa, Il manifesto, L'Unità, L'Espresso, El Pais, Clarin.

Ha accettato la candidatura a sindaco del paese di San Giovanni in Fiore (Cosenza), sostenuta da una lista civica che porta il suo nome, organizzata da un gruppo di ragazzi che intendono rilanciare lo sviluppo della cittadina e la qualità della sua vita.

Nel 2006, Vattimo ha raccontato la sua vita a Piergiorgio Paterlini, autore dell'autobiografia “a quattro mani”, pubblicata da Aliberti (Non Essere Dio).

Meltemi pubblicherà a partire dal 2007 l'opera completa di Gianni Vattimo.


 
 
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