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Gottfried Wilhelm Leibniz, Saggi di Teodicea sulla bontà di Dio, la libertà dell’uomo e l’origine del male.
19 Maggio 2007
 

Gentile dr. Di Scalzo, come sta? le invio il mio ultimo articolo sulla teodicea di Leibniz. Sto portando avanti uno studio organico sul seicento e dunque i miei interessi in questo momento sono rivolti oltre che a Spinoza anche a Leibniz e prossimamente Locke. Conto che queste mie incursioni possano avvicinare i lettori-navigatori di TELLUSfolio ad un pensiero filosofico fondante l’occidente e agli studiosi che se ne occupano pubblicando volumi molto seri ed interessanti come Salvatore Cariati per la Bompiani. (Gianfranco Cordì)

 

 

TI SENTI MALE?

Bisogna spostarsi verso Dio. Perché esiste il male nel mondo? La risposta a questa domanda non è una risposta che pertiene alla concreta realtà degli uomini, al mondo degli esseri viventi. La risposta a questa domanda la si può ottenere solo spostando la propria attenzione ed il proprio interrogare al regno di Dio, alla teologia.

Si tratta di Dio; di quel Dio che ha scelto il migliore tra i mondi possibili.

Tra tutti quelli che aveva a disposizione nel formare il nostro.

Dio non è venuto meno al proprio dovere. Dio ha rispettato la propria natura. Dio ha realizzato in pieno le sue caratteristiche. Il male esiste perché tutto il discorso che se ne può fare, che lo implica e lo domanda va fatto risalire a Dio e non all’uomo.

E nel Regno di Dio ogni cosa è stata fatta secondo un principio di santità, di giustizia e di bontà (oltre che di saggezza).

Nel regno di Dio ogni cosa (anche il male) ha una sua propria giustificazione.


1. La giustificazione del male.


«Per concludere considererò ancora una forma del

concetto di profondità che oggi, dopo il dolore che la guerra

in Germania ha provocato fra gli uomini, forse non è più tanto

attuale e quindi ai giovani forse non apparirà così importante;

essa ha però avuto un’importanza decisiva anche e

precisamente nella diffusione dell’ideologia nazista, per i cui

processi formativi un concetto come quello del sacrificio, che

proviene dal mito, ha svolto una funzione spiccatamente

centrale. Si tratta dello sfondo del concetto di profondità

tradizionale, non analizzato, preso senza discutere,

e cioè dell’idea della giustificazione del dolore.

Con questo intendo tutti gli sforzi filosofici che non si

sono limitati a spiegare, dedurre, comprendere nella sua

necessità la sofferenza che regna nel mondo, ma che hanno

inoltre cercato, proprio perché il dolore ha questo

carattere di necessità, perché per così dire le cose non

possono essere diverse, di sublimare il dolore stesso,

e di denigrare come piatti e superficiali tutti i tentativi di

eliminare il dolore nelle sue forme eliminabili.

Questa concezione è profondamente radicata nella tradizione

Tedesca, e potrebbe essere collegata col fatto ( a cui

devo limitarmi ad accennare) che in Germania l’illuminismo

Risale a Leibniz e in questo modo è stato congiunto

fin da un momento molto lontano con l’apologia teologica.

In una delle opere principali di Leibniz (ammesso che

l’espressione “opera principale” possa essere usata nel caso

di questo pensatore), nella Teodicea, la giustificazione

del male, del male, del peccato e della sofferenza nel mondo

svolge una funzione decisiva»

THEODOR W. ADORNO, Terminologia filosofica

 

 

Dio ha agito in maniera ineccepibile. Nulla gli si può attribuire, nulla gli può essere imputato. Il male fa parte del mondo - di questo nostro mondo - perché questo nostro mondo è il migliore tra tutti quei mondi che Egli aveva a disposizione nel momento in cui doveva effettuare la sua scelta poi fatta, appunto, per questo.

Nei Saggi di Teodicea sulla bontà di Dio, la libertà dell’uomo e l’origine del male Gottfried Wilhelm Leibniz afferma che «nulla può essere cambiato nell’universo (non più di quanto si possa in un numero) salvo la sua essenza o, se preferite, la sua individualità numerica. Così, se il minimo male che accade nel mondo vi mancasse, non sarebbe più questo mondo che, tutto sommato e considerato è stato trovato il migliore dal creatore, che l’ha scelto» (p. 215).

Tra tutti i possibili Dio ha scelto il migliore.

In esso è presente anche il male.

La scelta di Dio ha dunque contemplato tale circostanza, tale particolarità del nostro mondo. Nonostante ciò Dio è stato sempre Dio.

Perché «Dio, formando il disegno di creare il mondo, si è proposto unicamente di manifestare e di comunicare le proprie perfezioni nella maniera più efficace e più degna della sua grandezza, della sua saggezza e della sua bontà» (p. 313).

E Dio non è affetto venuto meno a questo suo progetto.

Infatti «la permissione dei mali deriva da una sorta di necessità morale: Dio vi è obbligato dalla sua saggezza e dalla sua bontà» (p. 409).

Dio ha scelto per noi «il meglio» (p. 393) e, continua Leibinz, «dopodiché, il male che accade è una conseguenza indispensabile del meglio» (p.393).

Se le ragioni del male che si trova nel mondo vengono cercate nel Regno di Dio allora ogni cosa è chiara.

Dio ha creato proprio questo mondo e l’ha fatto senza venire meno, nemmeno per un momento, a se stesso.

Dal punto di vista della teologia (in virtù della scelta divina del migliore tra i mondi possibili) il male di questo nostro mondo è così del tutto giustificato.

 

 

2. Il meglio.

 

«Era l’intento di Leibniz quello di comprendere

il male nel mondo e di conciliare lo spirito

pensante col negativo».

NICOLAI HARTMANN, La filosofia dell’idealismo tedesco

 

I Saggi di Teodicea sulla bontà di Dio, la libertà dell’uomo e l’origine del male furono pubblicati (anonimi) ad Amsterdam nel 1710 presso l’editore J. Troyel.

In essi Leibniz afferma fin da subito che «ci sono due labirinti famosi, nei quali molto spesso la nostra ragione si smarrisce: uno riguarda la grande questione della libertà e della necessità, soprattutto in relazione alla produzione e all’origine del male; l’altro consiste nella discussione circa la continuità e gli indivisibili, che sembrano esserne gli elementi, discussione nella quale deve entrare la considerazione dell’infinito. Il primo imbarazza pressoché tutto il genere umano, l’altro mette alla prova soltanto i filosofi. Sul secondo avrò l’occasione di esprimermi un’altra volta e di fare osservare che, per mancanza di una giusta concezione della natura della sostanza e della materia, si sono assunte posizioni false che conducono a difficoltà insormontabili, la vera utilità delle quali dovrebbe consistere nel ribaltamento di quelle stesse posizioni. Ma se la conoscenza della continuità è importante per la speculazione, quella della necessità non lo è meno per la pratica; e proprio quest’ultimo punto, unitamente a quelli che ci sono connessi, vale a dire la libertà dell’uomo e la giustizia di Dio, sarà l’oggetto del presente trattato» (p. 15).

Leibniz inizia perciò ad occuparsi del suo argomento appellandosi ripetutamente alla sua consolidata teoria dell’Armonia Prestabilita tra l’anima e il corpo ed al parallelismo che egli indica e insegna fra il Regno della Natura e quello della Grazia.

Il filosofo di Lipsia dice infatti che «Dio stesso, pur scegliendo sempre il meglio, non agisce secondo una necessità assoluta, e… le leggi della natura prescritte da Dio, fondate sulla convenienza, stanno a metà fra le verità geometriche, assolutamente necessarie, e i decreti arbitrari» (p. 35). Da ciò derivano le molteplici prese di posizione di Leibniz sia contro Spinoza (per il quale «il dominio di Dio non è altro… che il dominio della necessità» [p. 801]) e sia contro Pierre Bayle secondo cui «Dio si è determinato a creare il mondo per un movimento libero della propria bontà» (p. 697).

Dio agisce dunque secondo le leggi e la misura della convenienza.

Nell’atto/fatto di scegliere per noi il migliore tra i mondi che aveva a disposizione al momento della creazione, Dio ha corrisposto al proprio dovere, non è venuto meno alle proprie prerogative. Dal suo punto di vista il risultato ottenuto è stato proprio quello previsto.

Leibniz infatti dice ancora che «Dio vuole antecedentemente il bene e conseguentemente il meglio. E per quel che concerne il male Dio non vuole affatto il male morale, né vuole in modo assoluto il male fisico, cioè le sofferenze: è per questo che non c’è predestinazione assoluta alla dannazione. Del male fisico si può dire che Dio lo vuole spesso come una pena dovuta alla colpa, e spesso anche con un mezzo per raggiungere un fine: vale a dire per impedire mali più grandi o per ottenere beni più grandi» (p. 239).

E continua poi affermando che «è appunto in questo senso che Dio permette il peccato: egli infatti verrebbe meno a ciò che deve a se stesso, alla propria saggezza, alla propria bontà, alla propria perfezione, se non seguisse il grande risultato di tutte le sue tendenze al bene e se non scegliesse ciò che è assolutamente il meglio, nonostante il male di colpa che vi si trova incluso in virtù della suprema necessità delle verità eterne» (p. 241).

Ma Dio non è venuto meno a se stesso.

Egli, con la sua scelta, ha realizzato anzi il suo capolavoro.

Un capolavoro nel quale è presente il male tanto quanto il bene.

E di questo male non gliene si potrà certamente chiedere ragione (o conto).

Dio ha scelto il meglio e per il meglio.

Di più proprio non poteva fare.

Ecco che per comprendere l’origine del male e per cercare di rendersi conto dei motivi che sovrintendono alla sua stessa esistenza occorrerà spostarsi verso Dio. Tutto sarà chiaro, allora.

 

 

3. Ogni cosa nel mondo è stata creata in virtù della saggezza, bontà e perfezione del suo autore.

 

Dio è stato all’altezza del suo ruolo e di se stesso.

Si trattava dunque proprio di Dio.

A livello teologico nessun errore è stato riscontrato.

In questo senso Dio davvero non può essere evitato, non può essere superato.

Non si può fare a meno di Dio perché Dio è stato ligio, corretto, rigoroso, morale.

In una parola: ogni cosa nel mondo è stata creata in virtù della saggezza, bontà e perfezione del suo Creatore.

« Ora, sebbene il male fisico e il male morale non siano necessari, basta che, in virtù delle verità eterne, siano possibili. E poiché questa immensa regione delle verità contiene tutte le possibilità, bisogna che ci sia un’infinità di mondi possibili, che il male entri in parecchi di essi, e che anzi il migliore di tutti ne contenga: è questo ciò che ha determinato Dio a commettere il male» (p. 237).

 

 

3. Tutto è bene (quel che finisce bene).

 

In questo nostro mondo (che è solo uno dei possibili) c’è il male. Dio non ha esitato a scegliere proprio questo e non un altro; nessuno degli altri; che erano tutti egualmente possibili tanto quanto questo ai suoi occhi e al suo volere.

Ed inoltre «Dio scelse gli esseri possibili che gli piacque scegliere. Bisogna infatti considerare che, quando io dico, questo mi piace, è come se dicessi che lo trovo buono. Pertanto è la bontà ideale dell’oggetto a piacere e a farlo scegliere tra molti altri che non piacciono o che piacciono meno: vale a dire, che contengono in misura minore una bontà che mi tocchi. Ora, non ci sono che i veri beni a esser capaci di piacere a Dio: di conseguenza, ciò che piace di più a Dio, e che si fa scegliere, è il migliore» (p. 363).

Ma questo nostro mondo è già il migliore. Ed è certo che «Dio fa il meglio che sia possibile: se infatti così non fosse, o se egli mancasse di buona volontà, l’esercizio della sua bontà risulterebbe limitato, e ciò equivarrebbe a limitare la bontà stessa di Dio; oppure equivarrebbe a limitare la sua saggezza e la sua potenza, se fosse privo della conoscenza necessaria per discernere il meglio e per trovare i mezzi per ottenerlo, o se non avesse le forze necessarie per impiegare questi mezzi» (p. 373).

Ovvero «non c’è nulla che possa impedire a Dio di pronunciarsi per il meglio» (p. 375); così Egli fa ed agisce.

A questo punto il problema dell’esistenza del male e quindi il problema della giustizia di Dio (da cui la parola Teodicea secondo l’etimo della stessa: theos = Dio e dike = giustizia) è risolto.

Intanto il male nel mondo non è superato dal bene e lo stesso male è condizione indispensabile per lo stesso bene.

Dunque, io, Gottfried Wilhelm Lebniz vi avviso dunque che «dicendo che il male è stato permesso quale una conditio sine qua non del bene intenda ciò non secondo il principio di necessità bensì secondo il principio della convenienza» (p. 61).

Il bene del Tutto è perciò il meglio ed il meglio perciò è il bene del Tutto.1

La teologia ha quindi dato la sua risposta al problema del male.

E tutto quanta la filosofia (non sistematica) di Leibniz è stata mantenuta, dimostrata e verificata.

 

 

4. La giustizia di Dio.


«…Del 1710 è la Teodicea, una sorta di favola filosofica

la quale racconta come, nonostante il disordine e le

probabilità” della storia, le necessità disumane

delle discipline formali, le aberrazioni rinnovate

dell’esperienza, i decentramenti costanti imposti

dalla varietà del reale e dei discorsi inadeguati che

cercano di renderne conto, è bene credere ironicamente

alla Provvidenza».

RAFAËL PIVADAL, Leibniz o il razionalismo

spinto al paradosso

 

«I beni in quanto tali, considerati in se stessi, sono l’oggetto della volontà antecedente di Dio: Dio produrrà tanta ragione e tanta conoscenza nell’universo quante il suo piano ne può ammettere» (p. 379) dichiara Leibniz.

Per cui «il male, o la mescolanza di beni e di mali in cui il male prevale, non avviene che per concomitanza, poiché è legato a beni più grandi che si trovano fuori di tale mescolanza» (p. 381). Dio ha scelto il male per convivenza: «La saggezza non fa che mostrare a Dio il miglior esercizio possibile della sua bontà: dopo di che, il male che accade è una conseguenza indispensabile del meglio» (p. 393). In fin dei conti «se Dio scegliesse ciò che non è il meglio in senso assoluto e rispetto al tutto, il risultato sarebbe un male più grande di tutti i mali particolari che potrebbe impedire con questo mezzo. Questa cattiva scelta sovvertirebbe la sua saggezza e la sua bontà» (p. 411). Cioè in questo caso Dio verrebbe meno a quelli che sono due dei suoi principali attributi; verrebbe meno a se stresso, e abbiamo visto che questo non gli è possibile.

Perciò Dio permette e fa esistere il male.

Trattandosi di Dio tutto questo è possibile, tutto questo fa parte del suo discorso e della sua stessa natura.

Con questa torsione verso il Regno di Dio dunque Leibniz spiega la presenza del male nel mondo degli uomini.

E giustifica Dio nello stesso momento in cui giustifica la sofferenza, l’errore, la pena, la miseria del mondo.

Giustificando nello stesso tempo così il mondo, il suo ordine e la sua particolarità.

La Teodicea di Leibniz illustra dunque la vera giustizia di Dio che sorregge tutto quanto l’universo creato.

Giustizia che è una giustificazione del male e dello stesso universo.

Una giustificazione che (per potersi esplicitare) sconfina al di fuori della nostra vita.

Tale sconfinamento è lo spostarsi verso Dio.

 

Gianfranco Cordì

 

 

NdA. Tutte le citazioni fra parentesi sono tratte da: Gottfried Wilhelm Leibniz, Saggi di Teodicea sulla bontà di Dio, la libertà dell’uomo e l’origine del male (Introduzione, traduzione, note e apparati di Salvatore Cariati), Bompiani, Milano, 2005.


1 Nel lascito manoscritto di Wittgensteing si trovano queste due annotazioni (risalenti entrambe al 1929): «Se qualcosa è buono, allora è anche divino. In questo stranamente si compendia la mia etica. Solo il soprannaturale può esprimere il soprannaturale» e «Non si può condurre gli uomini al bene; si può condurli solo da qualche parte. Il bene è fuori dello spazio dei fatti»; da Ludwig Wittenstein, Pensieri diversi, (a cura di Georg Henrik von Wright con la collaborazione di Heikki Nyman, edizione italiana a cura di Michele Ranchetti), Adelphi, Milano, 1980, p. 21.


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