Massimo Bevilacqua
Morfologia dell'abbandono
LietoColle, 2007, € 10,00
Bevilacqua non è solo un poeta ma un musicista rock professionalmente già affermato e molte sono le influenze che determinano il suo esprimersi (vedi testi apparsi su antologie diverse).
I testi di questa raccolta appaiono ancor più maturi, nati da una vibrante ed estatica volontà di crear poesia.
[...] attento calibratore di immagini e ritmi, fine calcolatore del suo dire, più poeta che polo catalizzatore di un dramma intimo ed umano ma troppo personalizzato, più consapevole di poter trasmettere ad altri un messaggio che coinvolga i molti e che non si riduca al resoconto d’una vicenda intima. [...]
Attende Massimo Bevilacqua una prova difficile che consiste nel far sì che la sua lirica non decada, o non si adagi nel tempo, sul nulla della ripetizione, o non divenga il gioco d’uno scaltro affabulatore di parole.
Ma questo il poeta vero lo sa. Sa che superata la prova dell’esordio l’attende il dolore e la gioia del cimentarsi in un’arte ingiustamente, troppo spesso, relegata ad un ruolo minore ma che è regolata da leggi estetiche che le impongono di non divenire mai luogo della banalità o dello sfogo intimistico.
Se Massimo ha abbandonato definitivamente le terre incolte delle troppe voci poetiche di questo passaggio di secolo, sappia ora volare nel cielo di chi ancora crede la poesia arte e mistero.
Questa è la sua e la nostra speranza.
dalla prefazione di Claudio Recalcati
dalla sezione Partenze dal Sonno
Hai chiuso le frasi possibili
nella schiena che spacca alla vista
la fine del letto, se gli occhi non chiudono
ancora le cose, ci penserà il buio
che sogni nel corpo o il lume,
se vorrai dargli una fine;
spetta a me ora decidere una posizione
ed incastrarmi umido
fra le tue seccature.
*
Si sta mozzando un giorno nelle coperte
migliaia di parole raggruppate in frasi
hanno fatto il loro tempo e una linea retta
tira il tuo respiro sulla nuca nuda e inarcata.
Meno male che i tuoi sogni non muoiono mai.
Che i segni il corpo se li tiene come alvei i fiumi.
Cambiamo i respiri, una fisarmonica passa in minore
le tonalità del buio, siamo radici della prossima assenza
che hanno tanto eroso il materasso e la veglia.
*
Dove guardi quando dormi
e le linee riformano il viso
ti ho tra le mani, tra i denti
sotto le ciglia scombinate.
La coperta mossa nei respiri
sopra le guerre della voce
fuori e dentro il sonno, se
ogni cosa ritornasse a frinire
al di là delle cicale saremmo
nomi inquieti in un bosco
di parole destinate a sommarsi.
dalla sezione Distanze parentali
la grande attesa
Il padre sta raggiungendo la sua terra
e prepara le smorfie sull’aereo, sul mare
appena pronto per essere qualcosa di nuovo
nel qualcosa di sempre. Il figlio tira segmenti
scombinati per mappare la sua vita. Le valigie
alla stazione avranno bisogno di quattro braccia
per farsi portare. La strada per la casa è fatta di scorie
nella città, resuscitate dal niente. Il padre si allunga
nei racconti, il figlio giace sfollato senza mappe
lo spirito o qualcosa di santo stringerà i colori,
l’unisono dei corpi nell’auto rimpicciolita
tramortita nella storia finita, senza ancora diventare.
senza
come potrei singhiozzare senza uno sfondo
coerente con le lacrime che ti devo
madre tenera di respiri e vedute
a strapiombo, madre che non c’entri
con nessun rumore,
non ci sono regole in questa convivenza
perlomeno io non ne incontro in queste
brulicanti equazioni,
le foto sono il ritratto della stabilità
amano essere il desiderio
di qualsiasi abbozzato movimento
appena poco fuori da mio padre
Fuori dalle crepe, dall’altra parte delle cose
lanciarti nel mare, portare tuo figlio
a funghi e tesserti a lui per non cadere.
Un tormento di realtà, gli occhi lucidi
senza fronde, il cemento e le carriole spirate
nelle mani. Forse abbiamo corso entrambi
appena poco fuori dal dolore, per anni
gelandoci lacrime e sangue. Sarò con te
attaccato alle tue mani di bambino sordo
nelle espressioni, scivolato in ogni riga
di sudore. Forse queste le cose
che nell’abbraccio si staccheranno.
dalla sezione Passanti ed altri quasi sconosciuti
mute
Eravamo schiacciati nelle punte di quelle scarpe
il confine estremo di quel corpo a mandorla
che fendeva il mondo, l’aria che lo ricopre.
Ogni volta una feritoia dove la farfalla si lascia
andare per le cose. Le ragazze con le scarpe a punta
hanno corpi di larva prima di intendere il volo,
sappiamo in pochi di questa naturale mutazione
sfugge spesso quando le vie del centro
hanno una faccia tesa, quando paia d’ali sommesse
svaniscono nei possessori.
scuola dell’infanzia
Fronti di lentiggini, puntini per smarrire gli occhi
genitori in posizione, tenuti stretti nei loro figli
gli anni e gli incroci, qualche innamoramento
nascondigli sotto le ciglia.
L’incontro alla scuola dell’infanzia
un accentratore di casualità e coincidenze,
mamme e papà stretti poco dopo le loro adolescenze
contornate di sogni grezzi
che rimbalzano feriti nelle memorie, senza direzione
trascorsi e risorti fino a queste lame
taglienti come sciabolate sul presente.
dalla sezione Stagioni e Ricongiunzioni
La manopola scivola di continuo fuori dal manubrio
della bici lungo il fosso avvinghiato alla strada
di terra, ed è un problema se non trasformarla in spada laser
inventarle la morte dal fondo degli occhi stretti del ragazzo.
Cadute e prepotenze feriscono quei sentori di primo
autunno, nelle corse di settembre giù nel fango allo stallone.
Quando una stagione penetra quella successiva in un coito
anticipato, stordendole le membra e ferendola su un prato.
*
La lunghezza di una pausa nel corpo, una valle sfiata
asciugata nel sudore, le estati così lunghe
da ragazzo, le estati concentrate da semiuomo
corrono da sempre al fianco, svuotano scaricano le pupille
nell’autunno. Ho da darti un’altra notizia,
stiamo chiudendo i conti e l’afa non vuole finire
neppure dopo un temporale. Il tempo ha delle
croste ed io il mio bisogno di grattare.
*
Le ragazze in un pugno hanno ballato
le canzoni moderne che si scuotono
oggi nel corpo, un campeggio le sceglie
e le fa incontrare in qualcosa che
è già ricordo, frammento del mare.
E qualcuno apparirà di sbieco nelle
foto immortali di famiglia, così per te
a volte vorrei essere quello di sbieco,
il viso laterale che l’immagine si prende
risucchia portandolo negli anni
come un graffio il suo segno.
Massimo Bevilacqua è nato a Morbegno (Sondrio) il 29 aprile 1975.
Vive e lavora a Morbegno presso una Cooperativa Sociale del territorio.
Suona chitarra e violino e ha militato in vari gruppi musicali esibendosi in Italia e all’estero. Dal 1997 scrive poesie, e suoi testi sono apparsi su riviste e nell’antologia Tutta la forza della poesia con altri sette giovani poeti valtellinesi (Labos Editrice, 2003).
Cura la rubrica di poesia “ITACA. I luoghi i non luoghi della manutenzione poetica” presso il mensile 'l Gazetin di Morbegno.
Morfologia dell’abbandono è la sua opera prima.
Opere di Fabio Bonelli