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Antúnez, un “diamante nero” nelle carceri cubane
12 Maggio 2007
 

Jorge Luis García Pérez Antúnez (foto), conosciuto tra i dissidenti cubani come il Diamante Nero, è stato scarcerato e Gullermo Fariñas Hernández, giornalista indipendente di Cubanacán Press, ne ha approfittato per intervistarlo.

Nel corso di un pacato colloquio, a tratti nostalgico e commovente, Antúnez ha detto di essere stato incarcerato il 15 marzo del 1990, accusato di propaganda nemica e successivamente condannato a cinque anni di reclusione, per aver espresso opinioni politiche divergenti da quelle governative. Antúnez in realtà è stato recluso per oltre diciassette anni, perché il regime di Castro ha inventato a suo carico reati più gravi, cercando di far perdere al dissidente la qualifica di prigioniero di coscienza nei confronti di Amnesty International.

Il prigioniero politico dimostra grande integrità morale.

«Non mi pento delle mie scelte, perché ho sempre lottato per la libertà della mia patria e contro il totalitarismo che la opprime da quasi cinquant’anni» sostiene.

Antúnez ha scritto La vida en la prisión Kilo - 8 e Boitel Vive e sta lavorando a un terzo libro dove racconta l’esperienza tra le sbarre. «Voglio raccontare tutte le crudeltà e le operazioni di genocidio delle quali sono stato testimone privilegiato» afferma.

Antúnez è il coordinatore dei prigionieri politici Pedro Luis Boitel e si propone di denunciare tutte le atrocità del regime castrista. Lo scopo di questa organizzazione è la lotta al castrismo che secondo Antúnez deve essere svolta dentro Cuba e non da un comodo esilio.

«Rispetto chi non sopporta la galera e sceglie la strada dell’esilio ma non è il mio caso. Io resto qui per lottare contro chi ci opprime» dice.

Il Diamante Nero non ha usurpato il soprannome e proprio come un diamante non c’è niente che lo possa rompere o scalfire, prosegue nella lotta nonostante gli anni di carcere duro e le privazioni, pensa alla salute fisica dei prigionieri politici e non alle sue condizioni personali, combatte e invita a lottare per rendere Cuba finalmente democratica. Antúnez è un esempio per tutti, soprattutto per le decine di migliaia di cubani che vivono comodamente all’estero e si astengono dal prendere posizione politica perché temono di non poter fare ritorno in patria. Per cambiare le cose occorre rischiare…

È importante anche leggere la trascrizione di un discorso di Antúnez pronunciato in un programma di Radio Agenda Cuba (agendacuba.org) dove afferma che nell’isola la tortura è una pratica quotidiana. Antúnez dice che i prigionieri politici sono ben visti dai prigionieri comuni e ogni giorno si verifica una solidarietà impensabile dentro il carcere dove le idee anticastriste sono molto diffuse. Antúnez invita a una lotta unitaria contro il regime e a superare ogni divisione per portare la democrazia a Cuba. È importante far sapere all’esterno che sono molti i prigionieri politici nelle carceri di Fidel Castro e che si finisce in galera soltanto per aver espresso opinioni politiche difformi da quelle del regime. Antúnez smentisce Mariela Castro e afferma che le Umap furono strumenti di tortura per antisociali, gay, religiosi e dissidenti, ma aggiunge che nella società comunista tutto è tortura e che in carcere i trattamenti disumani nei confronti dei prigionieri politici sono all’ordine del giorno. Antúnez è stato vittima per anni di un sistematico annullamento personale da parte del regime, soltanto la vicinanza spirituale della sorella Berta lo ha aiutato nella lotta e gli ha fatto superare momenti difficili. Il marito della sorella, Alejandro García Sardiñas, è un’altra persona che combatte a fianco dei dissidenti e cerca di far conoscere all’esterno la situazione politica cubana.

«I cubani stanno acquisendo una nuova mentalità politica e comprendono la situazione delicata che sta attraversando la loro patria. Tutti sanno che è necessario arrivare prima possibile a una Cuba democratica e io sono disposto a continuare a lottare per questo risultato anche dietro alle sbarre» ha detto Antúnez.

Il dissidente chiede l’attenzione della comunità internazionale sui prigionieri politici cubani e auspica un movimento di opinione che possa forzare la mano alla dittatura e contribuire alla scarcerazione incondizionata di tutti i prigionieri per motivi di coscienza.

Antúnez ha scritto Boitel Vive, un libro importante sulla condizione dei prigionieri politici cubani, ma purtroppo la sua diffusione sull’isola è ostacolata dal regime. Le Biblioteche Indipendenti ne possiedono copia, ma è un reato prestare il libro e tenerlo in catalogo, senza contare che l’eventuale lettore rischia molti anni di reclusione. Boitel Vive sarebbe un libro interessante da tradurre e rendere fruibile anche in lingua italiana. Mi propongo come editore.

 

Gordiano Lupi


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