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Silvia Monti: "I love pop". Diario di una giovane poetessa (1)
23 Maggio 2007
 

Lunghissime premesse apparentemente organizzate per presentare una tesi assai banale che, dopo estenuanti, inutile e noiose disquisizioni, non verrà mai compiutamente espressa…

 

 

Della poesia contemporanea, dell’essere poeta, molto si parla e ancor più si scrive.

Molteplici motivi, tra cui il desiderio di chiarirmi le idee, mi hanno spinto a scrivere la mia sull’argomento, nella maniera più sintetica e lineare possibile.

Speriamo di esserci riuscita.

 

 

Intro (della coscienza del poeta)

 

Ho sempre pensato un autore/ un’autrice1 si riconosca dalle opere, dal proprio inconfondibile, originale e personale stile.

Stile che non è mai un semplice marchio di garanzia o una ferrea norma a cui attenersi ma la coscienza del/della poeta.2 Coscienza che nasce nel momento in cui egli/ella si interroga criticamente sul suo modo di fare poesia. Nel momento in cui, cioè, ci si mette alla ricerca del proprio stile.

 

Montale diceva (non ricordo la citazione a memoria) che prima scriveva le poesie, poi, quando leggeva i critici scopriva le sue “reali intenzioni”.

Ho spesso pensato che questa sua visuale fosse terribilmente affascinante e pericolosa.

Sottende l’idea che il/la poeta scrive e scrive senza mai interrogarsi su come e perché sta facendo quel che sta facendo?

O sottolinea, caso mai ce ne fosse il bisogno, quanto un testo poetico non possa mai essere inteso univocamente?

Oppure, ironicamente, mette in discussione l’operato dei critici?

 

Quando un/una poeta scrive una poesia, proprio nel momento in cui l’ispirazione lo ha preso/a, si interroga su quale sia il modo giusto in cui deve operare?

Sinceramente, spero di no. Spero che già lo sappia, che già abbia maturato in sé un progetto suo personale, che sappia andare in bicicletta e ci vada senza chiedersi come faccia a farlo. Che sia perfettamente conscio del fatto che esiste un “poi”, dopo l’iniziale furor ispiratorio, in cui ogni testo poetico ha bisogno di tempo, cure, labor limae.

Cioè credo che il/la poeta debba avere una personale coscienza critica, nei confronti di sé stesso/a e del resto del mondo poetico e che questa sua coscienza critica debba essere in continua evoluzione, discussione, movimento. E che sia alla base del proprio, originale ed inconfondibile stile, appunto.

 

È partendo da questo presupposto che sono riuscita a sviluppare una serie di riflessioni. Le seguenti, ovvio.

 

Del godimento di una poesia

 

Così come credo che ogni poeta debba avere una coscienza, credo che la poesia debba essere alla portata di tutti. Tutti nel senso di ognuno e ognuna. Senza fare particolari distinzioni. Chiunque lo voglia, dovrebbe poter leggersi una bella poesia e godersela. Mi rendo conto di quanto queste possano essere affermazioni all’apparenza assai semplicistiche e semplicemente esposte. Ma non sono banali e sottendono almeno due piccole questioni:

- cos’è una bella poesia?

- cosa vuol dire “godersela”?

Poiché ritengo che ogni testo poetico possa avere una lettura/fruizione a livelli differenti, nella mia testolina li ho definiti in quattro modi:

  1. Emotivo

  2. Razionale

  3. Colto

  4. Pedante

Leggo una poesia, provo delle emozioni, capisco cosa mi ha portato al tale sentimento piuttosto che un altro, mi beo nel riconoscere lo stile e il bagaglio culturale dell’autore/autrice (1-2-3).

Oppure leggo una poesia, la seziono e la sviscero come un revisore dei conti (4).

Ho volutamente slegato il modo pedante di intendere un testo poetico da tutti gli altri perché è quello che meno mi piace. Senza voler giudicare chi ne trae beneficio e godimento.

Gli altri tre modi, che sono quelli a me più congegnali, credo si susseguano e rincorrano compenetrandosi oppure non incontrandosi.

Mi spiego meglio: credo che chiunque lo voglia possa avere un approccio emotivo alla poesia. E fermarsi lì. Oppure razionale. Oppure colto. Dipende da tutti i fattori che, con un termine assai di moda, potremmo riassumere nella parola contesto.

Chiunque lo voglia. Soprattutto per quanto riguarda il fattore emozione: tutti potrebbero emozionarsi leggendo un testo poetico.

Ma come?

Ed è qui che il secondo interrogativo si ricongiunge al primo: credo che solo le belle poesie possano essere alla portata di tutti quelli che vogliono leggerle.

 

 

Della bellezza di una poesia

 

Esistono le belle poesie?

Sicuramente.

Le poesie belle sono quelle che, quando uno/una le legge non lasciano indifferenti. Mettono in moto cambiamenti, rivoluzioni. Muovono innanzitutto un sentimento, un’emozione. E non di quelle a buon mercato, quelle che passano e non si rinnovano mai più. Le poesie belle toccano chiunque. In positivo o in negativo. Poi, siccome e per fortuna non siamo tutti uguali, ognuno/a saprà o potrà entrare nel mondo che la poesia dischiude secondo il proprio essere. Ma solo le poesie belle dischiudono mondi, evocano suoni, odori, immagini. Sono nuove, uniche, irripetibili. Come certi istanti dell’esistenza.

Non so se questa definizione di poesia bella possa essere considerata tecnicamente valida. Sicuramente sarebbe più chiara se sottotitolata da un elenco di belle poesie. Elenco lunghissimo, assai opinabile.

Inoltre, parlare di una bella poesia (una vera poesia?) significa anche parlare di chi l’ha messa al mondo.

Come si fa a scrivere una bella poesia, mi chiedo sempre e costantemente?

Bisogna essere un/una vero/a poeta. E come si fa, mi richiedo altrettanto assiduamente?

 

 

Dell’essere veri/e poeti/ poete

 

Non pretendo di avere la risposta all’annosa domanda su chi sia o non sia il/la vero/a poeta. Ho soltanto le mie semplicissime riflessioni scaturite dalla lettura e dall’incontro con gli autori e le autrici della poesia italiana.

Spesso (se non quasi sempre) si dice che il/la poeta non è una persona qualunque, che non è come tutti gli altri e le altre. Non so quanto questa affermazione descriva un dato di fatto o piuttosto sia un’etichetta, una delle tante che si usano a sproposito. Comunque credo sinceramente che il/la poeta sia un essere umano particolare, speciale e allo stesso tempo concreto/a, reale, uguale a tanti/e altri/e. Consuma la sua esistenza, la vive, ci si immerge, soffre, ride, rimane indifferente, pensa, dorme, si incontra con altre persone, le ama, le odia, le cerca, fugge… Poi, ad un certo punto, sente di voler mettersi in ascolto/dialogo con gli altri attraverso la scrittura. E trova sia necessario alla sua stessa esistenza scrivere e offrire agli altri ciò che scrive. Un/a vero/ poeta lo sa sin da subito, che non scrive esclusivamente per sé.

Per questo è una creatura particolare, speciale. E proprio per questo cerca il modo migliore con cui offrire agli altri quello che vuole condividere. Perciò  conosce la lingua con cui si esprime molto bene (nelle sue strutture morfo-sintattiche, nella sua evoluzione storica, nella semiotica) e sa utilizzarla a suo piacimento, dentro e fuori i canoni, le convenzioni, i codici.

Conosce, legge, ha letto e masticato tanta letteratura di epoche e provenienze differenti.

E poi, necessario e imprescindibile possiede quella “scintilla” indefinibile che rende uniche e geniali solo pochissime persone. (Pochissime, in relazione all’intera umanità…) Che le rende particolari e speciali, appunto.

Insomma, per dirla banalmente: un/una vero/a, grande poeta non rientra nella media. Si nota in mezzo a tutti gli altri. E’ capace di ciò che riesce a pochi. Rimane nel tempo e nelle ere.

Etc etc etc.

Chi incontra un/una vero/a poeta è costretto a cambiare, a guardarsi intorno con occhi differenti, no?

 

 

Dell’esistenza di grandi poeti e poete contemporanee

 

Definire quali siano i/le “grandi poeti/poete” non serve certo a stabilire primati. Credo sia e sia sempre stato naturale e necessario per una serie di molteplici motivazioni che sarebbe assai lungo e complicato enumerare tutte.

E comunque, ognuno di noi, quando si parla di “veri/e e grandi poeti/poete” apre un proprio personale immaginario. Ma credo si possa affermare che ce ne sono alcuni riconosciuti come tali, indiscutibilmente. Se si guarda al passato, al passato italiano ad esempio, certo l’operazione è molto semplice: chi metterebbe in discussione la grandiosità di Dante o Petrarca? L’operazione diventa sempre più complessa man mano ci si avvicina alla contemporaneità; da Montale “in su” il dibattito è ancora in corso. Il novecento italiano non ha fino ad ora incoronato definitivamente tutti i suoi grandi poeti (e, per la solita minima percentuale, poetesse). Il dibattito ferve.3

Non parliamo allora di quel che sta succedendo ai poeti e alle poetesse contemporanee.

Rivolgo spesso questa domanda a chi è del mestiere: “Sai citarmi, senza pensarci, un grande poeta4 contemporaneo, vivente?”.

Il mio campione di indagine è assai limitato, è vero. Ma non ricevo mai la stessa nomination più di due, tre volte. Eppure, questo “giochino”, se fatto pensando alla prima metà del novecento, ad esempio, incorona sempre lo stesso piccolo gruppo di poeti.

Perché?

Ovvio, perché ciò che è trascorso, concluso, è sicuramente più semplice da catalogare e definire. Le antologie, i critici e (ma in quanta parte?) il pubblico hanno espresso la loro sentenza. Meno semplice, invece, è pronunciare un verdetto rispetto al presente. Inoltre il tempo è un utilissimo filtro: chi non oltrepassa la barriera dei secoli, per motivi e cause differentissime, viene dimenticato. E pazienza.

 

 

Della difesa del bello, della cultura e dell’onestà

 

Ma, per non andare fuori strada ulteriormente, arrivo alla questione: a cosa servirebbe, oggi, decidere chi sono i/le grandi poeti/poete contemporanei/ee?

La dico molto semplicemente: a “scremare” un po’.

Sebbene credo che ognuno abbia il diritto di esprimere liberamente la proprio creatività, credo anche sia necessario essere seri quando si tratta di distinguere l’arte dalla passione personale.

In Italia tutti scrivono poesia, pochissimi la leggono. È la contraddizione di cui si parla e straparla da sempre.

Io preferirei si dicesse: in Italia tutti credono di fare poesia, pochissimi la conoscono. E lo dico, tengo a ribadirlo, con un sacrosanto rispetto per ogni forma di espressione artistica.

È solo quando si comincia ad assegnare/attribuirsi titoli un po’ a vanvera che il mio sacrosanto rispetto fatica ad esercitarsi… Tutte le parole hanno un senso, quasi sempre ben preciso. Dire che un tale/una tale è poeta dovrebbe implicare tutta una serie di passaggi che spesso vengono superficialmente dati per scontati.

Si interessa di poesia”, “la poesia è la sua passione” sono espressioni che potrebbero essere meglio utilizzate in certi casi. In modo da non creare confusione.

Mi vien quasi la tentazione di dire: decidiamo chi è un/una poeta e chi no, tanto per non avere tutta questa anarchia! A quale scopo? A difesa del bello, della cultura e dell’onestà.

Oppure smettiamo di utilizzare titoli e titolazioni e consideriamo le opere soltanto…

So quanto questo discorso possa risultare pericoloso. Eppure è fatto con estrema ironia e provocazione da una persona che ama l’arte e la rispetta in tutte le sue forme ma non sopporta chi, esprimendosi, produce tanto rumore, tanti “eventi” che non hanno nulla di artistico e cercano solo la spettacolarità, il riconoscimento. Da una persona che ha rispetto e venerazione per tutti gli/le artisti/artiste oneste, quelli che trovano nell’arte una dimensione di espressione personale, ma anche una via per offrire ad altri/altre qualcosa di unico e bello.

 

 

Della mediocrità contemporanea

 

Per questo soffro a causa della mediocrità della poesia contemporanea. E lo dico riferendomi in particolare al gruppo dei cosiddetti “giovani poeti”, che non sono anagraficamente definibili ma piuttosto quanto di nuovo la contemporaneità ci offre. Una schiera, un gruppo, tutt’ora in via di definizione e che conosco seppure non in toto condividendo la loro medesima passione: scrivere poesie.5

Sia ben chiaro: non ho nulla contro i mediocri. Anche perché sono assolutamente conscia d’essere anch’io una mediocre che fatica ad accettarlo.

Soprattutto non ho nulla contro tutti noi mediocri onesti che ci dedichiamo con animo e abnegazione alla nostra più intima passione. Ma temo quelli disonesti che costruiscono intorno alla loro pochezza la virtù che non posseggono, diventando dei personaggi più che degli artisti, quelli che arrivano a credere ed affermare: ho pubblicato, ergo sono.6

 

E allora, come arrestare l’avanzata della mediocrità? Di questa subdola mediocrità?

Sinceramente non credo sia possibile trovare un’immediata ed attuabile soluzione. Molto di quel che accade intorno all’arte si regge su principi che poco hanno a che spartire con la genialità, la competenza, il bello, l’onestà. Potrebbe comunque essere un bel tema intorno a cui affaccendarsi.

 

E comunque, ritornando ai giovani e alle giovani poeti e poete contemporanee, mi preme precisare che quando mi riferisco alla loro (nostra) mediocrità non voglio certo dire che tutti, uniformemente, siano tali. Esistono casi evidenti di veri giovani poeti/poete che fanno ben sperare per il futuro. Persone che non scrivono per esistere in qualche modo ma per mestiere, passione, talento. Persone che non cercano esclusivamente il riconoscimento, il far parte della società, di un gruppo esclusivo di pari. Che non si fanno soffocare dai troppi circoli poetici chiusi e poco ospitali (che soffrono probabilmente anche di un altro male, quello di prendersi troppo sul serio).

Esistono, resistono ma non sempre sono visibili.

Mi rendo conto che anche questo poterebbe essere l’ennesimo annoso argomento su cui si potrebbero imbastire molteplici discussioni.

 

 

Della necessità di una conclusione

 

Fatte tutte le debite (e non) premesse, sono arrivata alla fine. Alle conclusioni che sono necessarie in ogni saggio che dir si voglia serio.

E siccome la serietà è una delle mie principali virtù, non posso esimermi dal farlo.

Dunque…

Non so bene dove volessi arrivare quando ho cominciato a formulare simili pensieri riguardanti la poesia e il mestiere del poeta. Sicuramente mi trovavo in vacanza ed avevo voglia di assumer pose da intellettuale che vaga tra i boschi con il computer.

Inoltre ero rimasta affascinata e scossa da alcuni dibattiti letti (purtroppo)7 qua e là in rete riguardo alla poesia e ai giovani poeti contemporanei (le poetesse sono incluse…).

Ma credo che avrei anche abbandonato il tutto, mi sarei lasciata trascinare dalla solita pigrizia, se non mi fossi imbattuta in una certa frase di Andy Wharol tra le tante che stavo leggiucchiando nel suo libro. È stato a quel punto che e ho cominciato a costruire una serie di pensieri e mi son detta: “Scrivili, ché poi te li dimentichi…”.

 

Spazio sprecato è qualsiasi spazio in cui ci sia dell’arte. Un artista è uno che produce cose di cui la gente non ha alcun bisogno ma che lui per qualche ragione – pensa sia una buona idea dar loro”.8

 

Andy Wharol è un artista che ha giocato molto sulla provocazione. Ma è anche stato un artista che ha seguito un preciso percorso scaturito da indubbia genialità e grande competenza. Un artista che ha saputo e voluto coinvolgere il pubblico dentro il suo mondo creativo, inventando l’arte per tutti.

La pop art, appunto. E che è riuscito nel suo intento. Insieme a molti altri.

Perché non è mai accaduto lo stesso alla poesia, mi sono chiesta?

Perché la poesia non è per tutti?

Perché la poesia interessa a poche persone? Non credo proprio.

Forse perché non è ancora stata compiuta una vera e propria rivoluzione…

 

Non si può certo negare che, in campo poetico, una rivoluzione (tutt’ora in atto) è in qualche modo iniziata a partire dalla modificazione del linguaggio utilizzato. Trascurando la metrica e le regole della retorica, la pedanterie e gli accademisti, l’eloquio quotidiano è entrato, ad un certo punto, in maniera preponderante e dominante, nella poesia.

Quando è successo?

Con la riconversione di Montale, da frac a vestaglia, come amava dire?

O prima, con i cosiddetti Crepuscolari? E Saba? E Pascoli?9

Son quasi certa di non sbagliare se, banalmente, affermo che oggidì nessuno si sognerebbe mai di proclamare che il poeta è un vate, che la poesia richiede necessariamente l’uso di forme metriche, rime, figure retoriche standard. O un linguaggio che sia soltanto“alto e letterario”. O che la poesia è per pochi iniziati e non è adatta alla massa…

Trovo che tutto ciò abbia salvato la poesia. Ma credo anche che sia ora di completare questo percorso. E di cominciare un’altra rivoluzione.

 

La poesia è un diritto di tutti/e, in quanto fruitori/trici. E non solo in quanto creatori/trici.

Incondizionatamente di tutti/e.10

Ma i poeti lo sanno?

Ne hanno la ferma convinzione?

Se lo ricordano tutte le volte che si mettono all’opera?

Qualcuno lo ripete loro ogni giorno?

 

Alle volte temo di conoscere la risposta, a queste domande…

Credo sinceramente che ciò che ancora manca oggi alla poesia, in alcuni/troppi casi, sia la voglia dirompente (mi verrebbe da dire prepotente) di arrivare a tutti/e.

Ovvio, sarebbe assurdo pensare di poter raggiungere tutti/e a prescindere dai contenuti espressi. Ma non è questo il punto. Il punto è che qualunque “genere” appartenga, la poesia ha come compito la condivisione, la comunicazione. Altrimenti si ridurrebbe a pure esercizio stilistico o non sarebbe una bella poesia.11

E sono convinta che il massimo grado della comunicazione avvenga nella semplicità intesa come linearità, non come faciloneria. E attraverso un’opera d’arte, una poesia, bella, vera, onesta. Non è un concetto esprimibile senza fraintendimenti… È quasi come se si dovesse dire al/alla poeta: “Parla come mangi, ma mangia sano e con una dieta equilibrata…”.

È la semplicità il cuore di tutto, la rivoluzione.

 

Perciò, per restar legati a quella mente sublime di Wharol, alle sue stravaganti e geniali intuizioni, si potrebbe persino giungere a dire che la poesia non è per nulla pop in troppi casi. Cioè non arriva a tutti e non è per tutti.

Perché un poeta non potrebbe essere pop, smuovere consensi e folle oceaniche, essere osannato come una rock star? Basta circoli estinti, sette esoteriche, gruppetti muffosi e stantii.

Poeti del modo, usciamo allo scoperto!

Portiamo la poesia a tutti/e, in tutto il mondo…

 

Stop!

Il mio ragionamento non fa una piega, lo so. È così semplice da pensare che potrebbe essere attuabile, reale. E lo è, o meglio, lo sarebbe.

Ma…

 

Ed è questa la conclusione della mia delirante trattazione. Esattamente questa: della necessità di una poesia pop.

Una poesia che faccia della semplicità la sua ricerca di perfezione. Che sia per tutti senza essere mediocre, che sia bella anche perché scritta da un/a vero/a poeta. Che nasce da persone geniali, dotate di talento, vive, competenti, coscienti. Che scaturisce dal lavoro paziente dalla passione sincera. Che si esprime per arrivare ad ogni persona che lo voglia. E magari anche a chi non se lo aspetta proprio. Che non teme di essere incompresa e non si chiude in se stessa. Che parla, racconta, grida suggerisce per farsi capire, per farsi ascoltare, per emozionare.

Una poesia pop, insomma.

Una poesia che, in fondo, già esiste e che ha al suo servizio un buon numero di poeti/poetesse. Ma che, probabilmente, non è ancora del tutto conscia del suo potenziale. E della sua missione.

Diversamente non mi spiegherei l’immobilismo, il ristagnìo (se si può dire) a cui ancora troppo spesso siamo condannati, in poesia.

 

Ma fingerò di non aver mai utilizzato questo termine: rischierebbe di diventare l’ennesima etichetta intorno alla quale trascinare le discussioni. Oppure, sicuramente, verrebbe travisata e mal interpretata. Perciò, pur nominandola, fingo di non averla pensata, la poesia pop, e di non avere idea di quel che sto dicendo. Cosa che non è nemmeno del tutto falsa.

 

E questo è veramente tutto.

 

Silvia Monti

 

agosto/ottobre/novembre 2006/ gennaio/marzo 2007

 

 

1 Cercherò, lungo tutta la trattazione, di utilizzare entrambi i generi, maschile e femminile. Per presa di posizione, ovviamente.

2 Ho preferito la poeta alla poetessa, più per praticità che altro.

3 Almeno, questa è la mia umile impressione fondata sull’esistenza delle vari antologie e delle querelle che sorgono a proposito. Impressione dunque che potrebbe facilmente essere smentita…

4 Chiedo di proposito poeta e, solo successivamente, poetessa…

5 Anche in questo caso il discorso meriterebbe citazioni ed approfondimenti. Ma la necessità di giungere alla fine me lo vieta.

6 A tal proposito si potrebbe persino aprire una parentesi riguardante l’editoria e gli editori di poesia in Italia…cosa che, ovviamente, non farò.

7 Non ho nulla contro la tecnologia, anzi. Ma continuo a preferire una intensa e affannosa discussione a un blog o a una chat.

8 da The philosophy of Andy Wharol, ediz. Costa e Nolan, Ge, 1983, pag 114.

9 Potrei citare altri esempi, specificare meglio, ma non sono un granché come critica letteraria, sebbene abbia letto e studiato molto. Temo le mie opinioni, le considero sempliciotte.

10 Ovviamente mi riferisco, con questa affermazione, a quanto esposto in precedenza. Si veda, nello specifico, il paragrafo del godimento di una poesia.

11 Bisognerebbe, ancora una volta, riprendere il discorso espresso nelle premesse…


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