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Un federalista giacobino. Ernesto Rossi, pioniere degli Stati Uniti d’Europa
09 Maggio 2007
 

Anni fa, per il lodevole impegno di Fabrizio Bonali, Giampiero Bonfantini e Antonio Montani, si organizzò a Verbania un importante convegno su “Ernesto Rossi, economista, federalista, radicale”, i cui atti vennero poi raccolti in un volume pubblicato da Marsilio. Un convegno che registrò importanti e qualificati interventi: da Angiolo Bandinelli a Bonali e Bonfantini; da Neri Nesi a Carlo Pelando, da Gianfranco Spadaccia a Lorenzo Strik Lievers e Valerio Zanone. Una relazione venne svolta anche da Antonella Braga: “L’elaborazione europeista di Ernesto Rossi prima del Manifesto di Ventotene”.

Già allora – il convegno è del 1998 – la professoressa Braga sfatava quello che ancor oggi è un luogo comune su Rossi:

«Secondo l’interpretazione corrente il Manifesto di Ventotene sarebbe stato sì il risultato della collaborazione fra Rossi e Spinelli, ma in realtà, il prodotto quasi esclusivo della penna di quest’ultimo, fatta eccezione per il terzo paragrafo relativo alla Riforma della società, che si ascrive alla paternità di Rossi. Alcune lettere inedite, recentemente scoperte nell’archivio privato di Rossi, mettono, però, in dubbio tale giudizio, evidenziando lo stretto legame esistente, da un punto di vista contenutistico e formale, fra il testo del Manifesto e alcuni scritti precedenti dello stesso Rossi. Il federalismo di Rossi veniva, infatti, da lontano. Già in una lettera del 1915 all’amico Onofrio Molea, scritta poco prima di partire volontario per il fronte, Rossi esprimeva il suo disgusto per tutta la retorica nazionalista del tempo, affermando: “Ho troppo chiaro il concetto dei doveri che dovrebbero legare gli uomini con gli uomini per essere un buon patriota: o campanilista o internazionalista…».

Questa semplice citazione rivela quanto ancora ci sia da “scavare”, “scoprire” e capire della e nella sterminata produzione di Ernesto Rossi. E più si “scava”, più si “scopre”, più si comprende perché quella produzione si è tentato di occultarla, cancellarla, silenziarla. È inaccettabile, ma una logica c’è.

I temi dibattuti il quel lontano convegno, Sonia Braga li ha ulteriormente sviluppati, “scavati”, indagati. E ci regala ora il poderoso Un federalista giacobino. Ernesto Rossi, pioniere degli Stati Uniti d’Europa (Il Mulino, pagg. 676, 46 euro). Poderoso, ma le dimensioni del volume non devono spaventare: che si tratta di godibile e intrigante lettura; per le note a pie' pagina non si ha grandissima simpatia: solitamente sono un inutile sfoggio, e appesantiscono il lavoro. Non in questo caso: sono anzi una indispensabile “bussola” per orientarci in quegli anni e in quelle vicende ricca di fermenti e di pulsioni politiche e culturali.

È il tipo di lavoro che occorreva, colma una lacuna. Perché – si saccheggia l’introduzione – nell’immagine divulgata di Ernesto Rossi

 

«L’immagine divulgata è quella del polemista brillante, del bastian contrario della nostra pubblicistica, dell’implacabile fustigatore di scandali, che combatté intransigentemente finché visse, contro tutti i ladri, i corruttori e i corrotti, i profittatori e i prevaricatori, i fautori dell’oscurantismo, clericale e staliniano,  e tutti gli epigoni del fascismo…Nell’immagine divulgata è però trascurato quasi completamente un importante aspetto dell’impegno politico e culturale di Rossi: il suo federalismo…» (pag. 20).

 

È una lettura, quella del saggio della Braga che utilmente andrebbe fatta in “parallelo” con quella di un altro poderoso volume (ma anch’esso, ci si faccia fiducia) è di fantastica lettura: il grosso volume (994 pagine) Dall’esilio alla Repubblica, raccolta delle lettere che Gaetano Salvemini e Ernesto Rossi si scambiarono dal 1944 al 1957 (a cura di Mimmo Franzinelli, Bollati Boringhieri editore, 55 euro). In queste lettere non c’è solo la prova documentale dell’affetto padre-figlio che legava i due, e che nessun dissenso ha mai incrinato («Col tuo esempio mi hai impedito di cadere in uno sterile scetticismo; hai dato un significato alla mia vita…», scrive Rossi a Salvemini il 24 marzo 1944). C’è anche il “racconto” dell’impegno federalista ed europeista di Rossi: entusiasta, al centro e “motore” di mille iniziative; che Salvemini osserva e registra con occhio benevolo, ma anche incredulo.

Scriveva Rossi l’11 marzo 1945, da Ginevra:

 

«La nostra funzione oggi è analoga a quella che hanno svolto Settembrini, Spaventa, Crispi, Minghetti, Manin, durante il Risorgimento. Dobbiamo cercare di suscitare nei paesi vincitori (e specialmente in Inghilterra e in Francia) delle forze che appoggino la risoluzione federalista; persuadere i nostri connazionali ad accettare la “leadership” di questi paesi; combattere ogni politica nazionalista…Ormai non sono più un italiano, sono un europeo che si propone di svolgere la sua attività politica in Italia solo perché in Italia la sua azione è più efficace in quanto parla italiano, conosce gli usi, i sentimenti, le tradizioni del popolo italiano…» (pag. 75).

 

Ma torniamo al libro della Braga. Nel periodo svizzero, dopo la lunga carcerazione e prima di rientrare in Italia, Rossi fu il fulcro di un’attività politico-culturale-editoriale che lascia stupefatti: con la scarsità di mezzi di allora, con la prudenza che lo status di rifugiato imponeva (e consigliava: per non tirare troppo la corda con le autorità svizzere), in pochi che erano, seppero e riuscirono a fare cose straordinarie. Merito della Braga documentarle con minuziosità certosina. Si ricostruisce con pazienza ed esattezza la “rete” e gli intrecci di influenze che alimentarono Rossi, e le sue evoluzioni e maturazioni: da quella fondamentale della madre Elide, alle prime “educazioni” mazziniane e risorgimentali, fino ai tempi della maturità intellettuale, in quel formidabile cenacolo fiorentino che vedeva con Salvemini, i fratelli Carlo e Nello Rosselli, Nello Traquandi, Dino Vannucci, e altri; le discussioni (e divisioni) con gli altri di Giustizia e Libertà (Riccardo Bauer, Vinenzo Calace, Francesco Fancello…

È ricco di notazioni preziose, il libro della Braga. Per esempio, si vada a pagina 134. Studiando l’enorme mole di lettere e falconi rossiani ancora inediti, ha potuto accertare (grazie a una lettera del 20 aprile 1937) che a quella data Rossi

 

«aveva già tracciato il sommario di uno studio sugli Stati Uniti d’Europa che avrebbe desiderato scrivere, se solo avesse potuto avere libero accesso alla letteratura esistente sull’argomento…».

 

Non solo. Si vada a pagina 148:

 

«…A suo avviso (di Rossi, ndr) una federazione di Stati, che avesse fatto dell’Europa ‘un solo mercato con una sola moneta e una sola unione doganale’ avrebbe consentito di aumentare rapidamente il tenore di vita di una popolazione anche più numerosa dell’attuale, garantendo la specializzazione della produzione e la riduzione delle spese militari…».

 

Il virgolettato cui la Braga fa riferimento è parte di una lettera di Rossi alla madre, scritta nei giorni in cui era detenuto a Roma, e ha come data il 13 agosto 1939 (compresa nella raccolta Elogio della galera). E giustamente viene sottolineato come sia stupefacente la capacità di impostazione di Rossi, ma anche il suo riuscire ad arrivare a tali risultati

 

«…in una condizione di quasi completo isolamento e senza aver potuto attingere alla vasta letteratura esistente sull’argomento soprattutto in lingua inglese…» (pag. 152).

 

Libri come questo Un federalista giacobino di Antonella Braga sono un vero nutrimento; e ci riconciliano: aiutano a capire di chi e cosa siamo “figli”; da quale “bizzarria” nasce il nostro essere federalisti e l’origine della nostra idea di Europa, opposta a quella delle Merkel e dei Sarkozy, che anzi, ne sono i più feroci avversari. E da qui che nasce quella straordinaria intuizione – cui purtroppo non si è saputo e potuto dare ancora pratica realizzazione – del Partito Radicale Nonviolento Transazionale e Transpartito. Siamo figli di quei “matti”.

 

Gualtiero Vecellio

(da Notizie radicali, 7 maggio 2007)


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