«Ventiquattro ore a San Pietroburgo. Per un incontro informale con “l’amico” Vladimir Putin, tra un torneo di full contact dal nome evocativo (“Russia contro Stati Uniti”) cui assistono insieme all’attore lega Jean-Claude Van Damme e una passeggiata a sera tardi nella capitale degli zar, con sosta all’italianissima “Enoteca divina” per un sorso di Brunello di Montalcino e qualche foto di gruppo di turisti. Poi, notte nel suggestivo complesso del palazzo Kostantinovskij di Strelya, sul golfo di Finlandia…». Più o meno su tutti i giornali in questo modo viene presentata la visita privata di Silvio Berlusconi al “caro amico Putin”.
Seguono poi apprezzamenti e riconoscimenti: manifestazione “gonfiata” da chi ha qualche interesse a presentare negativamente Putin; le cariche della polizia sono qualcosa di molto poco grave, perché l’opposizione aveva organizzato manifestazioni in strade non concesse «per ragioni di traffico». Una questione di viabilità, insomma. Perché Putin «crede nella democrazia», ma non in una «democrazia di secondo piano», e vai a capire quale sia il “piano” della democrazia secondo Putin (e Berlusconi). Agli occhi del leader di Forza Italia il leader del Fronte civile Kasparov, ha una grave colpa: «Nel suo schieramento accoglie anche il Partito Bolscevico che è ai limiti della legalità». E comunque grande comprensione: «La Russia ha in Putin una guida molto positiva perché bisogna interpretare il passaggio del totalitarismo alla democrazia alla luce di quello che esiste»; e ancora: «Ci sono immagini che si vogliono sostenere di una democrazia minore di cui francamente io non avverto i sintomi».
Non ci si poteva del resto aspettare altro, da un personaggio che ha giudicato luogo di villeggiatura neppure tanto male Ventotene e altri luoghi dove Mussolini spediva gli antifascisti. Anche quella, probabilmente, alla luce di quello che esisteva; e non legge neppure i libri che la sua casa editrice pubblica: parliamo di Proibito parlare, di Anna Politkovskaja, dove si racconta appunto di Cecenia, Beslan, Teatro Dubrovka e di altre «verità scomode della Russia di Putin» (pubblicità editoriale, non parole nostre). Non sorprende: ha da tempo dimostrato di essere capace di tutto. Ad ogni modo, che si tratti di una visita di cortesia e di piacere, fatichiamo davvero a crederlo. Non perde di vista, mai, il quattrino e il suo interesse, Berlusconi; ci appare improbabile che non sia andato a trattare di qualcosa di solido e concreto con il “caro amico Putin”. E di cosa, prima o poi, si saprà.
Ci sono poi i “buoni a nulla”. Massimo D’Alema giudica Putin un «partner affidabile, anche se ha un potere molto forte con una capacità di controllo sui mezzi d’informazione abbastanza preoccupante, diversa dagli standard democratici». Significative le dichiarazioni del presidente della Commissione Esteri del Senato (Ulivo) Lamberto Dini. Se Eduard Limonov, il leader del partito bolscevico, viene arrestato, è «perché la polizia ha ravvisato un pericolo per l’ordine pubblico. Del resto non penso che l’Occidente possa fare il tifo per chi sogna la restaurazione della vecchia Unione Sovietica. Le manifestazioni contro Putin ci sono state: questo vuol dire che comunque c’è democrazia».
Allora, se l’italiano non è un’opinione: un signore alfiere di opinioni non condivisibili e che non si condividono può tranquillamente essere arrestato, perché la polizia lo ritiene un pericolo pubblico. Proprio perché ha idee che non sono condivisibili, non bisogna preoccuparsi o dolersi troppo se assieme a lui vengono malmenate e arrestate centinaia di persone. E proprio il fatto che abbiano manifestato e siano finite in galera è segno di democrazia.
Dini però poi mette il dito nella piaga, e chiarisce benissimo le ragioni dell’inerzia occidentale. Il Corriere della Sera se non si debba ricordare la brutale repressione in Cecenia e dell’uccisione di Anna Politkovskaja. «Certo», risponde Dini. «E a questi casi bisogna aggiungere che Putin ha fatto della politica energetica del suo paese uno strumento della sua politica estera. Oggi non c’è più la minaccia dell’arma nucleare, ma dell’arma energetica, soprattutto dell’uso del gas naturale. Anche questo è un aspetto contestato dall’Occidente. Ma è chiaro che quando c’è una situazione di oligopolio, sia esso privato o statale, è difficile che prevalgano i meccanismi di mercato tout court».
Tra la generale indifferenza in Russia sta accadendo qualcosa che dovrebbe inquietare; solo in occasione della uccisione della giornalista Anna Politotkovskaja, e senza neppure scaldarsi tanto, si è inarcato un sopracciglio preoccupato. Recentemente l’Alto Commissario del consiglio d’Europa per i diritti dell’Uomo Thomas Hammarberg si è recato in Cecenia. Ne ha parlato ai microfoni della britannica BBC; un’intervista che non ha avuto alcuna eco: Hammarberg ha denunciato il ricorso sistematico alla pratica della tortura per costringere i prigionieri ad ammettere reati mai commesso, e di aver raccolto molte prove relative alla diffusa violazione dei diritti dell’uomo. Ma non sono “sintomi”, appartiene al patrimonio della “guida positiva”…
A Mosca sono in pieno svolgimento le manovre di consolidamento per sistemare uomini fidati in posizioni chiave. Serghei Ivanov, già ministro della Difesa e vice-premier, è stato nominato primo vice-premier: pari grado con Dmitrj Medvedev (anche lui pietroburghese), presidente di Gazprom il gigante energetico da cui mezza Europa (Italia compresa) dipende. A Ivanov, Putin ha affidato il compito di promuovere lo sviluppo in settori delicati e di enorme sviluppo: elettronica, gas, petrolio, nucleare civile, comunicazioni…
Il messaggio è chiaro: sull’esempio americano, il complesso militar-industriale è chiamato a dare il suo contributo economico e tecnologico. Una complessa operazione per dare vita a un “sistema” controllato da Putin anche quando non sarà più presidente (sempre che, per “un’improvvisa” e quanto mai “provvida” emergenza non sia “costretto” a smentire la promessa di non modificare la Costituzione, per così farsi eleggere una terza volta).
È in questo scenario che vanno inquadrate le cariche, gli arresti e le repressioni di questi giorni. E, naturalmente, la brutale eliminazione di giornalisti e imprenditori non allineati: uccisi come la Politkovskaja, o “suicidati”. Ne sono stati censiti almeno una trentina di casi.
Perché tanta indifferenza da parte dell’Occidente, per quel che accade in Russia? Perché nessuna protesta da parte di governi, di istituzioni, manifestazioni e denunce di movimenti e organizzazioni per la difesa dei diritti umani (salvo rarissime eccezioni)? Perché al funerale di Anna Politkovskaja era presente, tra tutti i parlamentari europei, solamente Marco Pannella? Perché in Occidente tanti ritengono inaccettabile quel che accade in Afghanistan o in Irak, ma nessuno trova intollerabile quel che è accaduto e accade in Cecenia? E perché subito, davanti alle rappresentanze diplomatiche russe nelle varie capitali europee non si sono formati picchetti e organizzate proteste per la repressione di ieri a Mosca? Fosse accaduto a Washington o a Londra, ovunque si sarebbe infiammata la protesta.
Sono domande che attendono risposta, spiegazione, anche se è da credere che difficilmente verranno. E sarà per questo che nessuno si sogna di andare nel cimitero di Troekurovskoe, alla periferia ovest di Mosca a portare un fiore sulla tomba di Anna Politkovskaja. Il “caro amico” Putin ne sarebbe contrariato; e proprio per questo, invece, bisognerebbe farlo...
Gualtiero Vecellio
(da Noitizie radicali, 16 aprile 2007)